La peggior nemica delle donne
C’è chi dice si perde il senso quando non c’è il soggetto. C’è chi preferisce sciogliersi in 3 o 4 pseudonimi purché non si perda il posizionamento. E infatti Woman’s Worst Enemy Woman di significato è denso anche se la sua autrice faticava a identificarsi in una e ne conteneva almeno altre quattro: Beatrice Tina, Hastings, Triformis, T.K.L, mai Emily né Haigh, scriveva perché non poteva fare altrimenti, post-identitaria ante-litteram diremo oggi. Lei di sicuro non si curava del posto che al presente o al futuro le avrebbero dato altr*: femminista antimodernista o modernista antifemminista? Autrice o attivista? Singolarità frammentata, girovaga e dislocata, Beatrice Hastings (come T.K.L, Triformis e Tina) era una penna affilata, una scrittrice (due? quattro?) che indossava maschere per dismettere filtri, che sparava dritto al petto per farti arrivare tutto il senso. E allora la lettura del suo Woman’s Worst Enemy Woman non lascia scampo, le provocazioni si susseguono e pare che io sia stata chiamata a renderne conto. Posso capirlo, ho scritto un libro che si intitola Per farla finita con la famiglia, non l’ho toccata meno piano di Hastings la questione del non voler mai fare figl*.
Io da sola tuttavia non basto, Beatrice Hastings aveva con sé anche Tina e Triformis e a volte anche T.K.L, perciò come minimo mi faccio soccorrere da Lole Montale e a zig zag sulla linea del tempo da tutt* quell* che sento vicin* (un grazie su tutti a Valentina Greco). Giocheremo con le barre e ci infileremo dentro rimandi ad altre voci, faremo la parafrasi per individuare di chi è la citazione. Non temete non vi siete imbattut* in una recensione, ma in una sorta di freestyle hip hop sul tema dell’autodeterminazione. Che poi maggio, si sa, in Italia è il mese della legge 194, quella sull’aborto, e allora conviene dirlo da subito che questo contributo usa Woman’s Worst Enemy Woman come una scusa per ribadire quello che Hastings cercava di spiegare già a inizi Novecento: si può diventare genitor* di figl* che noi hai partorito, riprodursi è un’opzione tra le tante non un obbligo né un destino, abbiamo sempre abortito e sempre abortiremo!
Sono trascorsi 114 anni e devo ripetermelo mentre la leggo, tanto attuali sono le sue pagine: è al 1908 che risale la Dichiarazione, il primo testo di Beatrice Tina riportato in Woman’s Worst Enemy Woman, tradotto per Astarte edizioni da Carolina Paolicchi ed Elena Alibrandi. Incastonati tra l’introduzione di Maristella Diotaiuti e i saggi di Stefania Tarantino e Giada Bonu, ci sono via via gli altri scritti di Beatrice Tina/Hastings/Triformis/T.L.K. I preferiti di Lole Montale, quelli che ispirano le barre che state per leggere (suggerisco su una strumentale di J. Dilla, tipo Timeless), sono: Dichiarazione; La sventura della madre inadatta; La donna come creditrice dello Stato; L’amore, i figli, la civiltà.
Strofa 1
Posizionarsi: il rifiuto
Chissà se Beatrice Hastings
si è mai innamorata
di un maschio cis-etero*
e come gli ha spiegato
che lei madre
non ci sarebbe mai diventata.
Bisessuale, Tina si innamorava anche di maschi cis-etero (come molt* di noi, purtroppo) ma non le mandava certo a dire (come molt* di noi, per fortuna). E con il suo individuare nella donna il peggior nemico della donna lei intendeva mirare alla violenza cui per secoli ci ha costrette il desiderio del maschio eterosessuale: quel cortocircuito che alle donne ha fatto a lungo e ancora fa desiderare la soggezione nella relazione. Tina voleva rapporti tra pari, mutuo riconoscimento delle differenze, criticava gli uomini che non la ascoltavano tanto quanto le donne che non parlavano. Beatrice parlava da un posizionamento preciso, quello di chi per la violenza di un uomo aveva anche abortito. E non si può dire che non ci si potesse aspettare che con la gravidanza indesiderata arrivasse la fine della relazione. Hastings nel 1908 dalle pagine del New Age lo aveva già spiegato nella Dichiarazione, prendiamone incipit e conclusione:
Mai, in nessun momento della mia esistenza ho desiderato essere madre. Da ragazzina l’idea del processo mi turbava e disturbava e qualsiasi accenno al parto mi dava la nausea.
Al mio giovanile disgusto verso l’idea del parto aggiungo una conclusione: in vita mia non ho mai conosciuto un adulto di cui vorrei essere la madre.
Strofa 2
L’abisso: senza piacere né sapere
A me pare sempre una fatica mal ripagata
accollarsi ’sti maschi
per cui se non sei moglie
sei santa immacolata
o sei ridotta a fica.
Un buco per il tutto
e il tutto è il loro orgasmo
il nostro corpo un contorno
un involucro addomesticato
utile al piacere dell’altro
e dallo Stato finalizzato al parto.
E tutto il piacere che a noi viene tolto
il sapere che ci è stato sottratto
il dolore che avanza come un abisso
rimane nel non detto del vissuto
che a torto chiamate privato.
Qui insieme a Tina c’è tanta Carla Lonzi e un pizzico di Lole Montale, o meglio c’è quello che a Lole Montale hanno insegnato la vita e le sorelle femministe, i collettivi e i movimenti transfemministi, da Non una di meno a La Mala Educación, fino alla Collettiva Matsutake. È evidente che nessuna qui ha voglia di sposarsi né farsi suora o peggio regalarla a maschi cis-et che quando va bene arrivano a 5 minuti di sesso rigorosamente penetrativo. Hastings non lo scriveva meno dritta e io, a più di 20 anni di sessualità da donna cis-et, mi sento un po’ una sociologa esperta nel settore per cui mi autorizzo a usare i dati raccolti sul campo e scrivere altrettanto: con il dovuto rispetto, cari maschi siete un disastro.
Che siate interessanti scrittori o musicisti, vili banchieri affaristi o noiosi ingegneri, fidati compagni dei movimenti o brillanti ricercatori, bisogna sempre ricordarvi che il coito è un piacere più vostro che nostro e che a noi basta un dito per un orgasmo. E con lo stesso rispetto Tina ci ricorda che quando restiamo in silenzio, quando ci facciamo sedurre dai o confinare nei ruoli di moglie/santa/puttana, siamo il nostro nemico. Lo fa in L’amore, i figli, la civiltà, quando parla del desiderio di divenire moglie nei termini di un desiderio di servitù che in ultima istanza porta le donne a considerare “il sesso un peso”:
La donna si circonda di quante più protezioni possibili per sottrarsi al peso dell’atto sessuale. Perché è un peso. Per la maggior parte delle donne il piacere del sesso è di gran lunga inferiore all’eccitazione dell’allattamento.
Certo quando il sesso è essere ridotte a un buco per il tutto (e dopo ti toccano pure una gravidanza e un parto che non hai scelto) non è esattamente descrivibile nei termini di un sollievo. Le parole di Hastings sono pesanti quanto le sensazioni vissute per anni e anni da troppe donne e da troppo tempo relegate al non detto del privato. Tina denuncia la mancanza di informazioni: se lo Stato ha deciso che il destino delle donne è vendersi come spose e madri, qualcuna dovrebbe almeno anticipar loro la noia mortale, la frustrazione, l’“abisso” in cui sprofonderanno. Il rischio è che altrimenti le giovani finiscano, pur di uscire dalla casa paterna, per desiderare un’altra prigionia, quella della casa coniugale. Lei stessa ammette:
Indugiavo nella mia mente tra dilettevoli fantasie, finché il violento trauma della conoscenza non mi mostrò un abisso spalancato di dolore: e quell’abisso, mi dissero, era il destino di tutte le donne.
Quell’abisso: la coppia eterosessuale meglio se sancita da vincolo matrimoniale e obbligata alla riproduzione. In quell’abisso chiamato matrimonio e più in generale nella società la donna viene costretta “ad affrontare la maternità come un aut-aut” (Rivolta Femminile [1970], in Lonzi 2010, 6). Ed è sempre con Rivolta Femminile che torniamo sulla questione del piacere: è un peso rimanere incinte per il piacere dell’altro, cosa altro dovrebbe essere? Rivolta Femminile così si esprimeva:
Noi dobbiamo assolutamente intervenire con la coscienza che la natura ci ha dotate di un organo sessuale distinto dalla procreazione e che è sulla base di questo che noi troveremo la nostra autonomia dall’uomo come nostro signore (…) e svilupperemo una sessualità che parta dal nostro fisiologico centro del piacere, la clitoride.
La questione del sapere sottratto e la questione del piacere negato coincidono: lo sapevate che la clitoride non è un punto x o g ma un insieme di terminazioni nervose, pare più di 8000, che si estendono dentro, fuori e tutto intorno? L’orgasmo vaginale è un mito da sfatare: se lo sa pure Wikipedia che siamo tutte clitoridee, come è che pare che in troppi non se ne siano accorti? Noi stesse non sappiamo benissimo cosa possono i nostri corpi, alcun* non conoscono il significato della parola squirting. Fica potens (2015) di Diana J. Torres ci viene in aiuto spiegandoci che anche le assegnate donne hanno una prostata e possono persino eiaculare (indipendentemente dall’orgasmo). Sappiamo poco della nostra sessualità e anche della nostra potenza generativa, e questo per Hastings era inaccettabile. Come è stato possibile che proprio le donne fossero espunte dalla medicina, in particolare da quella riproduttiva, lo ha chiesto in La sventura della madre inadatta:
Gli specialisti dividono la scienza per dar prova della propria efficienza. Solo i mali delle donne sono lasciati a ciarlatani e inesperti. L’uomo sarà sempre e solo un ciarlatano e un inesperto in tema di ostetricia. Con inspiegabile superficialità si rifiuta di riconoscere la naturale attitudine delle donne per questa branca della medicina.
L’esclusione delle donne dalle scienze della vita non pesa oggi in Occidente quanto pesava nel 1908, certo, eppure le storture attuali le dobbiamo a questa assenza strutturale, legata all’evolversi del tecno/biocapitalismo. Shulamith Firestone ne La dialettica dei sessi aveva già colto i nessi tra la divisione sessuale del lavoro, l’obbligo alla riproduzione nel nucleo familiare cellulare ed eterosessuale e la costituzione di una scienza androcentrica ma universalizzante che più tardi altre spiegheranno come funzionale all’evolversi del biocapitale (Cooper 2013). Ovviamente, la soluzione proposta da Hastings non è quella di aumentare tout court il numero di donne ostetriche o chirurghe. Hastings sa che il sesso biologico non è una garanzia di complicità femminista, o forse io voglio leggerla attraverso Sandra Harding, operando il capovolgimento da lei proposto: importante non è la mera questione numerica delle donne nella scienza, ma la questione qualitativa del posizionarsi come femministe nel fare scienza.
Strofa 3
Il desiderio: scienza e reddito
Spezziamo il cerchio!
Il nostro corpo è desiderio:
a ognun* il suo criterio
per decidere del sesso!
Sul serio: la sessualità si basa sul consenso
la maternità non è un obbligo
non c’è nessun destino biologico!
Beatrice Hastings nel 1908
lo aveva già frantumato l’orologio.
Eppure ancora a noi tocca rivendicarlo:
aborto libero sicuro e gratuito
per tutt* nel mondo!
Dovreste pagarci pure per questo
perché ancora stiamo qui a spiegarvelo
dovreste pagarci per il nostro lavoro
riproduttivo, di cura o di amore:
facciamo il mondo da sempre
ci spetta reddito di autodeterminazione.
La sfiducia di Tina, come la mia del resto, non è mai per la scienza in sé, che anzi è da lei invocata a sostegno della sua tesi “la maternità non è un obbligo bensì una scelta”. Tina sa già che è possibile una “prevenzione scientifica del concepimento” e che il problema è “la repressione di queste scoperte da parte degli uomini”. Lei agli inizi del XX secolo, noi nel mezzo del XXI ancora dobbiamo porci la domanda di Lonzi, per il piacere di chi abortiamo?, e provare a trasporla, interrogando anche quelle che abbiamo considerato conquiste. Chiediamoci ad esempio: per il piacere di chi abbiamo preso la pillola fino a oggi?
La quasi totalità della contraccezione, a livello globale, è a nostro carico, mentre “l’uso della contraccezione da parte di uomini rappresenta un relativamente piccolo sottoinsieme dei tassi di prevalenza generali”. La contraccezione maschile si compone di metodi barriera, spermicidi e vasectomia, ma nessun contraccettivo ormonale è disponibile in commercio.
La sperimentazione per la pillola anticoncezionale è iniziata nel 1953 e già nel 1960 è stata approvata la sua commercializzazione, mentre la sperimentazione per il “pillolo” è iniziata nel 1990 e oggi, trent’anni anni dopo, non è ancora terminata. Eccezione fatta per le donne che hanno beneficiato della sperimentazione, nessun’altra ha provato il brivido della redistribuzione delle responsabilità sessuali e riproduttive, in pochissime hanno avuto il piacere di chiedere a un uomo: ti sei ricordato di prendere il pillolo?
Per fare davvero della giustizia riproduttiva occorre spezzare questo circolo vizioso, mezzi ne abbiamo eccome! Oggi la fantascienza transfemminista è realtà: gli uomini cis possono allattare, possono eiaculare senza fecondare, le donne cis possono non partorire, possono generare producendo da sé sia ovociti che spermatozoi, le macchine tra poco potrebbero fare tutto il lavoro riproduttivo biologico (e non solo) al posto nostro (Balzano 2021). Quando Hastings scriveva, la parola ectogenesi non era ancora stata coniata, eppure lei sollevava già nel 1908 una questione oggi molto viva, quella della strutturalmente iniqua divisione sessuale del lavoro anche in relazione alle tecnologie, perché in effetti quello riproduttivo, biologico e/o sociale, d’amore e/o di cura, è un lavoro arduo a macchinizzarsi:
Non tutti gli uomini zappano la terra, e non tutte le donne partoriscono con dolore. Ma mentre lo zappatore può essere esonerato per sempre dal lavoro grazie a qualche invenzione, nessuna macchina può produrre uomini e donne.
E invece quella macchina oggi c’è e la chiamiamo biobag, la procedura di esternalizzazione di gestazione e parto la chiamiamo ectogenesi. L’ectogenesi è oggi tecnicamente fattibile, ma le normative internazionali bloccano il proseguire delle ricerche. Diversi gruppi di ricerca sono riusciti a far sopravvivere un embrione umano fuori dal corpo materno per tredici giorni e si sono fermati solo per il divieto riconosciuto quasi ovunque a livello mondiale dei 14 giorni (Degli Incerti et al. 2016; Shahbazi et al. 2016).
Tra le bioeticiste femministe c’è oggi chi sostiene che l’ectogenesi potrebbe garantire la redistribuzione del lavoro riproduttivo tra i generi: Kendal (2015), ritenendo la gravidanza un compito gravoso, si chiede perché i rischi connessi alla riproduzione della specie umana debbano ricadere solo sulle spalle delle donne, sostenendo che l’ectogenesi potrebbe liberarci dagli eccessivi sacrifici economici, sociali e fisici della gravidanza. E forse Hastings sorriderebbe ad apprendere che oggi stiamo smagliando i confini della genitorialità, che negli anni siamo passate dal femminismo ai transfemminismi e che le nuove tecnologie riproduttive, laddove le leggi lo consentono, ci danno una notevole mano in questo senso. Gestazione per altr* ed ectogenesi ci affascinano perché con queste tecniche non sono più solo le assegnate donne a diventare madri, non è più la sola biologia a sancire il legame genitoriale, perché anche grazie a loro il lavoro riproduttivo potrebbe essere ripartito in modi inediti. Ciò che ci affascina della tecnoscienza è ciò che terrorizza neofondamentalisti e neoliberisti che pur intendono controllarla e metterla a valore: la possibilità che la riproduzione non passi più solo per la famiglia nucleare eterosessuale.
Ci muoviamo oggi tra clonazione ed ectogenesi, solo che lo facciamo in società regolate da leggi di mercato, chiese e Stati, siamo in grado di ricreare il vivente (umano e non) ma ancora alcun* di noi devono lottare per aver accesso all’aborto libero, sicuro e gratuito, ancora le persone trans, single, lesbiche e gay vedono quasi ovunque negati i loro desideri sessuali e riproduttivi. Backlash. Il nostro corpo è desiderio, a ognun* spetterebbe il suo criterio per il sesso, eppure ancora abbiamo l’obiezione di coscienza al 70%, ancora dal papa al presidente del consiglio arrivano strali sul calo delle nascite e sull’improduttività delle donne che preferiscono le gatte alle famiglie. In sintesi: viviamo le contraddizioni del connubio neoliberismo&neofondamentalismo. Hastings aveva colto il nodo tra scienza, diritto ed economia, quella repressione delle scoperte che nei secoli è stata anche sottrazione di sapere e piacere, esclusione dall’esercizio del potere e dall’accesso al reddito:
Nessuna legge promulgata dall’uomo, nessuna preferenza accordata dall’uomo può davvero aiutare le donne.
È chiaro alle donne che il primo timido tentativo di ricompensarle per il loro contributo nel creare l’umanità, si basa sullo spietato disconoscimento della grandezza del servizio reso.
Ancora le parole di Rivolta Femminile si intrecciano con quelle di Hastings:
Noi accederemo alla libertà di aborto e non a una nuova legislazione su di esso a fianco di quei miliardi di donne che costituiscono la storia della rivolta femminile.
Rivolta Femminile e Hastings insieme ci insegnano che “la negazione della libertà d’aborto rientra nel veto globale che viene fatto all’autonomia della donna” e che il “lavoro domestico non retribuito” è “la prestazione che permette al capitalismo, privato e di Stato, di sussistere”.
Ricapitolando: per spezzare il cerchio il primo step è riprendersi orgasmi e reddito, il secondo è fare parentele per piacere e non popolazioni per lo Stato!
Strofa 4
Parentele, non popolazioni!
Quella etero non è la sola riproduzione che conta
possiamo fare parentele
e farla finita con la famiglia!
Ricordate che famiglia e sicurezza
sono la base dello Stato fascista?
Oggi sono pilastri dell’economia neoliberista.
Questa è chiaramente Lole Montale che vuol portare Hastings dove le pare e cioè a com/pensare nella sua spaziotemporalità: parliamo del desiderio di riprodurci oggi che siamo 8 miliardi, oggi che sappiamo che da quando abbiamo cominciato a crescere senza limiti si estinguono 1000 altre specie all’anno (Pimm et al. 2014)? Come si fa con la consapevolezza di abitare la Sesta estinzione di massa a non pensare la genitorialità umana in relazione alla rigenerazione del pianeta? È questo il problema con cui rimanere a contatto, il guaio nel quale siamo (Haraway 2019; Clarke e Haraway, 2022).
Il guaio i suoi responsabili li ha, non fa piacere sentirselo dire ma siamo noi occidental*, anche se incastrat* e costrett* tra norme e flussi di denaro, siamo noi il ground zero (un po’ come dire “il peggior nemico della donna: la donna”). È per questo che bisogna decrescere ri/produttivamente: sottraiamo il livello zero alla produzione, non garantiamo più la riproduzione. Questo non ci porterà all’estinzione: la decrescita ri/produttiva non è no future. “Meno umano, meno esigenze” non vuol dire no future, anzi. Vuol dire: prendiamoci una pausa dalla ri/produzione, facciamolo per la comune rigenerazione, che è sempre terrestre, mai solo umana. La Terra ha un sacco di futuri anche senza il futurismo riproduttivo bianco, senza le politiche pro-vita dei neofondamentalisti e dei neoliberisti nostrani.
Il no future vale solo per il “futuro normativo e riproduttivo bianco”. Il we are the future ci riguarda nella misura in cui ci decentra, il nostro decentramento in quanto uman* occidental* non corrisponde all’assenza di futuro. La decrescita ri/produttiva è la mia risposta all’appello di Muñoz:
È importante non consegnare la futurità al futuro normativo e riproduttivo bianco. Questa modalità dominante di futurità è infatti “vincente”, ma a maggior ragione occorre fare appello a un’immaginazione politica utopica che ci permetta di intravedere il baluginio di un altro tempo e di un altro spazio: un “non ancora” dove le giovani generazioni di queer of color possano davvero giungere per crescere.
Come con Timeto e Ferrante abbiamo scritto nella postfazione a Making Kin. Fare parentele, non popolazioni, infatti:
La Sesta estinzione di massa e la Grande accelerazione, il Capitalocene e i suoi annessi guai non sono ascrivibili in egual modo a tutte le vite sul pianeta. Sono forse più imputabili agli umani che sono per primi stati sulla Luna e che ora, alle prese con il countdown dell’apocalisse da loro stessi innescato, guardano con entusiasmo alla terraformazione di Marte: i bianchi occidentali.
L’Occidente: è qui che devono decrescere le esigenze (Haraway 2019, p. 156). Chiediamoci “quanto impattano sugli ecosistemi terrestri le strutture familiari e le dinamiche sessuali e affettive che abbiamo prodotto e consolidato” (Sturgeon, 2022, p. 168) e che in Occidente consideriamo appunto indiscutibili esigenze da soddisfare. Nel rispondere teniamo a mente il monito di Rivolta Femminile: se le nostre esigenze sono la famiglia e la sicurezza occorre ricordarci che entrambe stanno alla base dello Stato fascista, per il quale la popolazione è in primis ricchezza e potenza di guerra. Se in Occidente la facciamo finita con la famiglia, se ci sottraiamo dalla coazione alla riproduzione e alla crescita illimitata dell’umano bianco e delle sue esigenze, gli ecosistemi terrestri ne beneficeranno immediatamente. Non solo: se ci fermiamo attardandoci nei piaceri dell’improduttivo, se scegliamo di accogliere le persone migranti di ogni età invece di riprodurre bio(tecno)logicamente noi stess*, Stati/capitali/chiese e annesse guerre vacilleranno inesorabilmente.
Note
* Che significa cisgenere? Ce lo spiega così Valentina Greco: “Il termine cisgenere (cisgender) indica le persone che si riconoscono nel genere assegnato loro alla nascita, più specificamente, restando nel sistema binario sesso/genere, le persone assegnate femmina alla nascita che si identificano come donne e le persone assegnate maschio alla nascita che si identificano come uomini. È chiaro che non tutte le persone etero sono cis e non tutte le persone cis sono etero (vedi anche il concetto di cisnormatività introdotto nell’ambito degli studi e dell’attivismo trans)”. In questo caso si intende chi è nato e cresciuto maschio in società occidentali e non ha mai interrogato/modificato né la propria identità di genere né il proprio orientamento sessuale.
Bibliografia
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Pimm, S.L., Jenkins, C.N., Abell, R., Brooks, T.M., Gittleman, J.L., Joppa, L.N., Raven, P.H., Roberts, C.M., Sexton, J.O., 2014, The biodiversity of species and their rates of extinction, distribution and protection, in “Science”, vol. 344, n. 6187 (May).
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