La distruzione della natura in Italia
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MEDUSA è anche un libro, che non è una raccolta dei numeri della newsletter ma un saggio narrativo sull’Antropocene: Medusa. Storie dalla fine del mondo (per come lo conosciamo).
L’Italia, come qualcuno ha giustamente detto, è il paese che sa meglio predisporre, organizzare e provocare quelle catastrofi che poi, per consuetudine linguistica, continuano ad essere dette “naturali”. Le frane e le alluvioni che a intervalli regolari devastano il Paese hanno la loro causa prima nel disprezzo che dimostriamo per l’ambiente naturale, nelle insensate manomissioni cui abbiamo sottoposto il nostro territorio, nel rifiuto di esprimere una politica di pianificazione che controlli trasformazioni e sviluppo, subordinandoli all’interesse pubblico.
Col disboscamento e il mancato rimboschimento favoriamo l’erosione, le frane, la furia delle acque selvagge, con le conseguenze a tutti note. All’abbandono della campagna non abbiamo saputo far seguire un’opera sistematica di difesa del suolo, nel quadro di una moderna politica territoriale.
Miopi cultori di un anacronistico laissez faire, ci siamo lasciati travolgere dalla velocità delle trasformazioni e abbiamo assistito senza reagire, credendolo anzi progresso, all’avvento del caos.
Una delle cause del collasso idrogeologico va ricercata nelle condizioni in cui versa il nostro patrimonio boschivo. Il nostro paese è agli ultimi posti per quel che riguarda estensione di foreste di proprietà statale, quelle dove più rigorosa dovrebbe essere la difesa della vegetazione e quindi del suolo.
A differenza di altre società che hanno saputo avvertire per tempo quali sarebbero stati gli effetti dei grandiosi fenomeni dell’epoca moderna (urbanesimo, industrializzazione, motorizzazione, inquinamento) e hanno quindi saputo esprimere, pur tra difficoltà e contrasti, strumenti adatti a controllare la situazione e a soddisfare le sempre maggiori esigenze della collettività, noi non ci siamo accorti della grande svolta storica: inerti, scettici, furbi, vittime stracche di miti retorici, miopi cultori di un anacronistico laissez faire, ci siamo lasciati travolgere dalla velocità delle trasformazioni e abbiamo assistito senza reagire, credendolo anzi progresso, all’avvento del caos.
Tutta l’Italia, in assenza di qualsiasi effettiva programmazione economica e urbanistica, rischia di essere a poco a poco ricoperta, dalla Alpi al Capo Passero, da un’informe, ininterrotta, repellente crosta edilizia di asfalto che tra qualche decennio, se le cose non cambiano, ne cancellerà praticamente ogni carattere e fisionomia.
Un’attività urbanistica attuata al di fuori di ogni piano di interesse generale, ciecamente puntata sull’accumulo di sole “case” e a beneficio esclusivo della speculazione edilizia, ci ha portato a trascurare le esigenze elementari della vita civile e associata.
L’attuale collasso economico è anche il risultato di decenni di pirateria urbanistica, di questo nostro capitalismo coleroso e straccione. Venezia, “restaurata” dalle società immobiliari, è distrutta nei suoi valori umani e storici. A Roma si è calcolato che in media vengano perdute l’equivalente di quaranta giornate lavorative all’anno solo negli spostamenti casa-lavoro. Milano diventerà una città meno ingrata e più abitabile solo se saprà rinunciare a ogni pretesa di megalopoli accentratrice, e coordinare i propri sviluppi con quelli del più vasto territorio che la circonda.
In generale, la crisi delle città italiane è soprattutto crisi dei servizi sociali e delle attrezzature collettive: un’attività urbanistica attuata al di fuori di ogni piano di interesse generale, ciecamente puntata sull’accumulo di sole “case” e a beneficio esclusivo della speculazione edilizia, ci ha portato a trascurare le esigenze elementari della vita civile e associata.
Luigi Ghirri, Comacchio, 1989
Spostiamoci sulle coste: su 8000 chilometri, circa la metà sono da considerare perduti a un razionale e civile uso turistico. La fila ininterrotta di monumentali stabilimenti, cabine, alberghi, chioschi, case e casotti, che spesso per chilometri e chilometri impediscono di raggiungere il mare e lo rendono accessibile solo pagando sempre più esosi pedaggi, è il risultato delle concessioni e delle licenze che il ministero e i suoi organi periferici usano rilasciare indiscriminatamente in zona demaniale, con un sistema che sembra fatto apposta per favorire irregolarità di ogni genere.
Per quanto riguarda la maggior parte dei centinaia dei centri sciistici italiani, il discorso è simile a quello fatto per gli insediamenti lungo le coste: disordine, congestione edilizia, mancanza di servizi pubblici primari, sottodimensionamento degli spazi pubblici, piste che vanno a sbattere contro i condomini… Col pretesto del turismo, in realtà per speculazione, lottizziamo e privatizziamo perfino i parchi nazionali, “santuari della natura”, orgoglio dei paesi civili.
Politici e amministratori, anche se complessivamente peggiori dell’insieme del Paese, riflettono pure il livello della cultura italiana, anche quella con la maiuscola. Una cultura il cui massimo sforzo è stato quello di ridurre la natura a paesaggio e il paesaggio a stato d’animo; che ha imparato a disdegnare come impure le scienze umane e sociali (sociologia, urbanistica, antropologia, ecologia ecc.). La lotta contro la turpitudine ambientale, la lotta per un ragionevole uso del territorio, dello spazio fisico, della natura in tutti i suoi aspetti, è la lotta stessa per la sicurezza del suolo, per lo sviluppo economico, per la giustizia sociale, per la salute e l’incolumità pubblica.
Qualche giorno fa, nel mucchio di offerte di una bancarella, ho trovato La distruzione della natura in Italia, una raccolta di saggi di Antonio Cederna. Leggere Cederna fa uno strano effetto. Non ci si sente mai all’altezza della sua intransigenza, della sua scrittura franca, profetica, da agitatore politico più che saggista. L’articolo che avete appena letto, che riassume bene un pezzo d’Italia degli ultimi mesi, è composto da frasi estrapolate dalle 380 pagine del libro. Pubblicato da Einaudi nel marzo 1975.