Incel contro il patriarcato
Di cosa si parla quando si tratta del concetto di incel? Nel nominarlo ci si riferisce unicamente a un preciso movimento di estrema destra, sviluppatosi principalmente negli USA e legato a certi fatti di cronaca nera? Si dà per scontato che la teorie LMS (Look, Money, Status) e RedPill siano state fatte proprie da ogni incel fin nelle loro conclusioni? L’etichetta incel dipende unicamente da un’auto attribuzione volontaria oppure può essere assegnata a qualcuno da altri? E in ogni caso, in base a quali precise caratteristiche avviene questo incasellamento?
Il termine incel nasce dalla fusione di involuntary e celibate. Nella sua accezione più estesa possibile sembra quindi riguardare tutt* coloro che fino a un certo momento della propria esistenza non hanno compiuto, e non per una scelta esclusivamente propria, esperienze sessuali insieme a un’altra persona. L’uso della parola «involontario» mi fa rabbrividire, come se una scelta volontaria dell’altr* potesse coincidere con la negazione della propria volontà! Forse in modo più corrispondente alla realtà si può dire che la volontà di condividere questa sfera con qualcun* non ha per ora incontrato una reciprocazione.
In un’accezione più ristretta invece per incel si intende una precisa sottocultura nata negli anni novanta e sviluppatasi pienamente su forum online a partire dal duemila. Nel 2017 la comunità incel di 42.000 membri presente su Reddit viene chiusa per incitamento all’odio. Successivamente essa si spostò su 4chan, piattaforma notoriamente utilizzata negli ambienti dell’Alt-right. In Italia un esempio in parte analogo di tali comunità si può trovare nel Forum dei Brutti. Il nocciolo fondamentale delle teorie elaborate da questa sottocultura è costituito dalla convinzione che gli incel siano biologicamente impossibilitati a soddisfare i propri bisogni sessuali in quanto oggettivamente inappetibili secondo vari criteri «scientifici», quantitativamente misurabili. Una soluzione a tali frustrazioni è individuata quindi nell’eliminare la competizione sessuale restaurando un sistema patriarcale che imponga relazioni monogamiche prestabilite dall’alto. Tale movimento ha ottenuto risonanza mediatica negli ultimi anni per via di numerose stragi di massa (in continuo aggiornamento) compiute da individui a esso collegati. Caso emblematico è quello di Elliot Rodger che nel 2014 pubblicò il proprio manifesto incel prima di uccidere 6 persone, ferirne altre 14 e successivamente suicidarsi a Isla Vista in California.
Nell’ultimo periodo il tema è stato affrontato in tutti i modi possibili e immaginabili ma, almeno per quanto ne so, mai da persone che condividono con gli autodefiniti incel, che abbracciano le LSM and RedPill theories, un’esperienza in parte comune: ovvero quella della verginità in età adulta. Io ho 24 anni e sì, partecipo a questa condizione che mi provoca dolore. Tale sofferenza è stata però in gran parte alleviata dall’incontro con i femminismi e i men’s studies e dalle analisi, spesso accalorate e turbolente, svolte assieme a persone amiche.
Non credo sia rilevante narrare alcun evento specifico della mia biografia. Ogni persona in età adulta che non abbia avuto esperienze sessuali ha la propria irriducibile storia che non può e non deve prestarsi ad alcuna semplificazione posticcia. Ciò che però mi preme dire è come questa mancata esperienza abbia influenzato la mia vita in passato e in parte tutt’ora. Per tutta l’adolescenza ho sentito di non essere abbastanza bello, intelligente, interessante e divertente. Pensavo di essere costitutivamente manchevole, un essere impossibile da desiderare sessualmente perché strutturalmente inadatto a tale scopo. Ritenevo la mia maschilità storta, malriuscita. In una parola: β.
Grazie alla scoperta e allo studio di tematiche di genere ora mi sento molto più libero di un tempo. Se tendevo a giudicare il mio carattere, le mie inclinazioni e più in generale tutto il mio modo di essere come un problema, qualcosa da dover cambiare per poter ottenere un apprezzamento esterno, ora mi accetto molto di più. Mi rendo anche conto che ho sempre avuto difficoltà anche solo a esprimere un mio interessamento sessuale per qualcun* a causa di una certezza a prori del rifiuto. «Io sono un rifiuto, per cui esprimere il mio desiderio non ha alcun senso. Sarebbe solo un’ulteriore occasione dolorosa per un’ennesima riconferma di ciò che già so». Per questo ogni sentimento era da celare, rivelato solamente sotto l’influsso dell’alcol con un misto di rabbia e senso di colpa.
Mi sento in dovere di fare queste riflessioni dal mio posizionamento perché credo che spesso la questione incel sia trattata con superficialità, senza tenere conto di tutte le implicazioni e stratificazioni di discorsi che le sarebbero proprie. Si tende infatti a liquidare sbrigativamente l’argomento appiattendolo su considerazioni che riguardano unicamente il movimento di estrema destra a esso collegato. Certo che il sesso non è un diritto e non può essere rivendicato dagli incel come tale. Certo che l’intento di «restaurare il patriarcato» per sanare i «danni causati» dalla rivoluzione sessuale è un’assurdità. Il limitarsi però a questo tipo di analisi da parte di filosofi femministi felicemente sposati mi fa male. Mi fa male perché non ha alcuna considerazione per il dolore che le persone adulte senza esperienze sessuali possono provare: pretende di parlare da un punto di vista maschile astratto e universale e non prende minimamente in considerazione la sofferenza che sente una parte di quel punto di vista e non solo di esso, in quanto condizione che può riguardare tutt*.
Per non parlare poi della tossicità di incensate figure maschili libertarie che non fanno che vantarsi delle proprie continue conquiste sessuali. Non è per caso evidente che anche se queste persone non sono oppressive con i/le propri* partner in ogni caso perpetuano, non diversamente dalla figura classica del macho, la riproposizione di una forte gerarchia tra persone α e β? Se infatti rispetto ai machisti tradizionali essi perdono caratteristiche oppressive quali la gelosia e la possessività, ne mantengono però inalterate altre: essi continuano, in forme spesso più implicite e subdole rispetto al passato, a marcare una essenziale differenza tra sé e gli/le altr*, tra vincenti e perdenti.
Dico questo perché ritengo che i femminismi possano essere uno strumento veramente efficace per vivere meglio per tutte le persone con un’esperienza simile alla mia. Ciò a patto che esso non venga recepito per parole d’ordine e senza un vero approccio critico e problematizzante alle questioni: senza queste due condizioni infatti non può che apparire ipocrita e moralista. Il pensiero deve trovare il suo modo di andare di pari passo con il sentire e non può farlo tagliando la realtà con l’accetta. Io non penso che un rifiuto di un mio desiderio sessuale comporti una mia perdita di valore come essere umano, però può capitare che di tanto in tanto io lo senta, tanto sono radicate in me concezioni difficili da estirpare. Di più: mi capita di sentire questo rifiuto sommarsi a tutti i precedenti e costituire un muro di dolore invalicabile. Accettare il proprio sentire non vuol dire giustificarlo, è anzi il primo passo per accordarlo a pensieri nuovi e liberi dalla cultura patriarcale che ci ha formato e ci è penetrata fino al midollo.
Forse un primo passo in avanti per tutt* sarebbe quello di riflettere sul proprio desiderio, dissezionarlo per eliminare quella parte di influsso tossico che ci ha permeato e renderlo veramente proprio. Certo, nessuno potrà permettersi di fare quest’analisi per qualcun altr* (ed è un bene! Spiegare all’altr* perché e per come desidera qualcosa è l’atteggiamento più paternalistico che riesco a immaginare) ma se ogni persona rifletterà sul proprio desiderio sono certo che le bislacche teorie incel inizieranno a far ridere tutt*.