Gianni Rodari con caratteristiche cinesi
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Un giorno Gianni Rodari si trova a passeggiare lungo la Grande Muraglia cinese. “La millenaria strada prensile scala e scende le montagne secondo pendenze ripidissime, che in certi punti diventano gradini mozzafiato. Da una torre di guardia bisogna prima precipitare, poi arrampicarsi. […] La muraglia si allontana, serpeggiando a perdita d’occhio in un paesaggio azzurro, interrotta da crolli, sconnessure, smottamenti. Si allontana anche il sogno infantile di percorrerla tutta, da un capo all’altro dei suoi diecimila lì, che è un modo cinese di indicare una distanza infinita”.
Rodari si trova nella Cina dell’ultima fase maoista, la più cupa e surreale: ma le ripercussioni del Grande Balzo in Avanti e della Rivoluzione Culturale conclusasi solo qualche anno prima, i milioni di morti, i linciaggi e i massacri, il sadismo cannibalista, non sono ancora noti in Occidente: quantomeno, non emergono dall’esperienza di Rodari, pilotata forse dai funzionari del Partito.
È un Paese che cerca di fare i conti con il suo patrimonio, nel pensiero politico (torna ossessivo nei cartelli il mantra di Stato: “l’uno si divide in due”, cioè accogliere l’ambiguità del passato imperiale, l’opulenza schiavista), e nei conti veri, quelli che si fanno con i numeri: di fronte alla tomba di Wanli, imperatore della dinastia Ming, in una teoria di sale solenni e marmi di ogni vena, un altro cartello: “questa tomba è costata settantacinque milioni di giornate lavorative”. Con la stessa cifra “cento milioni di contadini avrebbero potuto mangiare per sei anni e mezzo”.
Uno degli obiettivi della Rivoluzione Culturale (“dove non ci sono state persecuzioni né violenze di tipo poliziesco”), scrive Rodari, era “trasformare la mentalità della gente”. E come si fa, nel Novecento? Il libretto Rosso certo, che poi finirà anche in tante mani italiane, poi slogan, slogan, slogan: “la donna sostiene la metà del cielo”, “bisogna scoprire, inventare, creare, progredire”, “bisogna lottare contro il cielo, la terra e i nemici di classe, essere preparati alle calamità naturali e a una guerra”. Raccontando la lotta contro le inondazioni e la tenacia necessaria a combattere i fiumi, a Rodari viene detto che “il soggettivo crea l’oggettivo”.
Turista in Cina è una raccolta di reportage scritti nell’autunno del 1971, e redatti per Paese Sera in un italiano pulito, da camicia comunista. Come corrispondente, Rodari combina lo spirito d’osservazione (rispetto ai “temi del vivere”, l’istruzione e la sanità, l’economia rurale e la conservazione dei beni culturali) all’empatia che ci trascina, per vie naturali, verso il contadino Hsu che gli ricorda un certo vecchio varesotto, l’infermiera analfabeta, i bambini che giocano tra le pietre secolari:
“Sui mitici animali di pietra delle tombe Ming montano allegramente in groppa. Nel recinto del Tempio del Cielo giocano al telefono col muro circolare che raccoglie e sussurra a distanza le voci, con un effetto simile a quello che diverte i turisti nella parete interna del Cupolone di Michelangelo.”
Ebbene, dove sono oggi quei bambini che giocavano in groppa ai draghi e alle chimere? Come sono cresciuti, e come si è trasformata la loro mentalità? Problemi enormi, qui si tratteggerà qualche spunto a partire da una lettura di questi giorni. Facendo due conti, oggi quei bambini hanno una sessantina d’anni. Si parla anche di loro nel nuovo libro della collana Not, Contagio Sociale, del collettivo 闯 Chuang. Il sottotitolo recita Guerra di classe microbiologica in Cina, una guerra a macchia di leopardo, vissuta sulle spalle di una percentuale della popolazione, e sopita dalle secchiate del fatalismo, dai venti del tempo che passa.
“Prendiamo anche la nostra padrona di casa. È una coltivatrice, ha una di quelle macchinette per spruzzare i pesticidi sulle piante. A febbraio le autorità distribuivano candeggina in polvere [漂白粉, piǎobàifěn] per disinfettare, quindi lei l’ha messa nella pompa e andava in giro spruzzandola dappertutto. Nel giro di poco la pelle le si è coperta di bolle e si è arrossata, ha passato le settimane successive rintanata in casa, con il terrore di uscire. Aveva paura di entrare a contatto con altre persone, persino con cani e gatti”.
Si leggono pagine e pagine di comitati e chat solidali, burocrazia estrema e spontaneismo selvaggio, e subito ci si attacca a quello che si riconosce, per primi si colgono i riflessi che ci somigliano: e quindi la paura, lo smarrimento, gli ospedali pieni e i pazienti nei corridoi, abbandonati, e poi il cinismo e la satira, eccetera eccetera. Nel terzo capitolo, però, attraverso il montaggio di una lunga serie di interviste viene mostrato, a livello iperlocale, il funzionamento di certe istituzioni locali, le reazioni della gente.
“Chuang: Il comitato di quartiere dello shequ aveva piazzato qualcuno all’entrata del villaggio per registrare le persone e scansionare i codici?
Z: Per lo più erano persone “volontarie” del villaggio, assunte dal comitato [per 200 o 300 yuan al giorno].
Chuang: Pensavo che a marzo la gente non fosse ancora autorizzata a lasciare il proprio complesso residenziale, a parte chi faceva lavori essenziali. Si poteva andare a coltivare?
X: Sì, più o meno in quel periodo il villaggio ha iniziato ad autorizzare le persone a lavorare la terra. Cominciava a fare un po’ più caldo, era il momento della semina. Se avessero aspettato ancora sarebbe stato troppo tardi”.
Le interviste che il colletivo 闯 Chuang ha condotto per Contagio sociale sono una continua miscela di codici da scansionare e impiegati contadini, droni e comitati di villaggio. Insomma, è passato del tempo dal viaggio di Rodari, ma il racconto della Cina (enorme, incalcolabile, non riassumibile) offre la stessa quantità di contraddizioni. Nonostante il suo viaggio cinese risalga a mezzo secolo fa, offre alcuni strumenti di comprensione del mondo ancora funzionanti. Un esempio al volo, rispetto alla continua polarizzazione stupida del discorso, compreso quello sulla Cina oggi:
“Ma insomma, sei per la Cina o contro?”. Ho sempre cercato di dimostrare che una domanda del genere è improponibile. [È come chiedere] “approvi il pianeta Terra o no? Sei per il sistema solare o contro?”
Lucidità, studio, amore, fiducia nel destino dell’umanità, Alice Cascherina e Giovannino Perdigiorno. Sulla fine degli anni Settanta però, la visione del mondo di Rodari sembra incupirsi. Ha già scritto tutto quello per cui viene ancora ricordato, la salute peggiora, parte per un lungo viaggio in Unione Sovietica, dove forse è uno degli italiani più famosi in assoluto.
Nell’URSS sono state stampate nove milioni di copie delle sue opere, il suo nome lo precede in tutte le scuole dello Stato federale. Diversamente dalla breve trasferta cinese, Rodari si concentra proprio sugli istituti scolastici, viene invitato nelle province lontane, dove visiterà delle scuole-caserme, dei ragazzini catatonici. Come può scrivere qualcosa di buono, sulla scuola sovietica? È impossibile. Nella sua monografia (consigliata) Vanessa Roghi cita dei passaggi del diario: “dovrei nascondermi dietro una betulla per parlare solo dei bambini e ragazzi, della società che li educa ma anche li condiziona psicologicamente, li priva d’immaginazione e spirito critico, li abitua al trionfalismo, alla retorica, e vive perennemente in una specie di Villaggio di Potëmkin”.
Diversamente dalla breve trasferta cinese, Rodari si concentra proprio sugli istituti scolastici, viene invitato nelle province lontane, dove visiterà delle scuole-caserme, dei ragazzini catatonici. Come può scrivere qualcosa di buono, sulla scuola sovietica?
Il 23 ottobre arriva finalmente a Mosca, dove lo accoglie un grande freddo:
“Torno dopo un’ora e mezzo con i piedi gelati e le gambe che non mi reggono. Ogni dieci passi mi dovevo fermare. […] Serata da Giulia Dobrovolskaja con il suo seminario di giovani traduttori italianisti. Si può parlare, capiscono. Ma subiscono, non credono nell’utilità di farsi sentire in qualche modo. Ritorno all’albergo alle 23:45. La neve è cessata, freddo. Strade che cominciano a gelare”.
Questa cosa qui è stato l’ultimo compleanno di Rodari, che morirà qualche mese dopo, in aprile. Ma non ha senso finire così. Per chi vuole immaginare che scrittore poteva essere Rodari, oltre alla rivoluzione delle fiabe, all’extra lavoro che l’ha macinato fino alla malattia, lascio questo passaggio scritto al volo, nei parchi imperiali di Nanchino:
“Ci si può perdere, affondare in questo paesaggio, disfarsi in esso come si disfanno, sulla corteccia dei bambù, i nomi incisi col temperino dai giovani innamorati. […] Abbiamo sostato sul terrazzo che sormonta la tomba del primo imperatore Ming, circondati, penetrati dai profumi di una natura rigogliosa ma, sotto la pioggia, come disposta al disfacimento. I monumenti non dominano la natura: vi affondano. A poca distanza sono quasi invisibili”.