Geronto-fascismo
Come in un incantesimo, allo scadere del centesimo anno dalla Marcia su Roma, la discendenza diretta di Benito Mussolini si prepara a governare l’Italia. Governare è una parola esagerata. Nessuno può governare lo scatenarsi degli elementi tellurici, psichici e geo-psico-politici.
Giorgia Meloni, segretaria di Fratelli d’Italia, sarà il primo presidente del consiglio di sesso femminile nella storia italiana.
Il fascismo è dovunque sulla scena italiana ed europea: nel ritorno della furia nazionalista, nell’esaltazione della guerra sola igiene del mondo, nella violenza antioperaia e antisindacale, nel disprezzo per la cultura e la scienza, nell’ossessione demografico-razzista che vuole convincere le donne a fare figli con la pelle bianca per evitare la grande sostituzione etnica e perché se le culle sono vuote la nazione invecchia e decade, come dice Lui.
Tutta questa spazzatura è tornata.
È Fascismo? Non proprio. Quello di Mussolini era un fascismo futurista, esaltazione della giovinezza, della conquista, dell’espansione. Ma cento anni dopo l’espansione è finita, all’impeto conquistatore si è sostituito il timore di essere invasi dai migranti stranieri. E al posto del futuro glorioso c’è la disintegrazione in corso delle strutture che resero possibile la civiltà.
“Sole che sorgi libero e fecondo / tu non vedrai nessuna gloria al mondo / maggior di Roma” diceva la retorica nazionalista del secolo passato.
Ora il sole fa paura perché i fiumi sono in secca e le foreste bruciano.
Quello che avanza è geronto-fascismo: il fascismo dell’epoca senile, il fascismo come reazione rabbiosa alla senescenza della razza bianca.
So bene che anche un po’ di giovani (non molti) hanno votato per Meloni, ma l’anima di questa destra è in preda a una sorta di demenza senile, un oblio delle catastrofi passate che sembra provocato dall’Alzheimer.
Il geronto-fascismo, agonia della civiltà occidentale, non durerà a lungo.
Ma nel breve tempo in cui starà al potere potrebbe produrre effetti assai distruttivi. Più di quanto possiamo immaginare.
L’identità nazionale è una superstizione cui la gente delle città non ha mai creduto, ma che viene imposta da una minoranza influenzata dal Romanticismo più reazionario.
Cosa fu il fascismo storico?
Rapida lezioncina di storia italiana.
Italia è un nome femminile. Dal Rinascimento le cento città della penisola vivono le loro storie senza pensarsi come nazione, ma piuttosto come luoghi di passaggio, di residenza, di scambio.
La bellezza dei luoghi, la sensualità dei corpi: l’autopercezione degli abitanti della penisola dei cento comuni è femminile fin quando non arriva l’austera fanfara della nazione. Nei secoli successivi al Rinascimento la penisola è terra di conquista per eserciti stranieri, ma il popolo si arrangia.
“Francia o Spagna, basta che si magna.”
Il paese decade, ma alcune città prosperano, altre se la cavano.
Poi viene l’Ottocento, un secolo retorico che crede alla nazione, parola misteriosa che non vuol dire niente. Il luogo della nascita, oppure l’identità fondata sul territorio che abbiamo in comune?
L’identità nazionale è una superstizione cui la gente delle città non ha mai creduto, ma che viene imposta da una minoranza influenzata dal Romanticismo più reazionario. I piemontesi, montanari presuntuosi succubi della Francia pretendono che i napoletani e i veneziani e i siciliani accettino di sottomettersi al loro comando. Il Meridione viene allora conquistato e colonizzato dalla borghesia del Nord: venti milioni di italiani meridionali e veneti emigrano tra il 1870 e il 1915. In Sicilia si forma la mafia che all’inizio è espressione delle comunità locali per difendersi dai conquistatori, poi diventerà struttura criminale di controllo del territorio. La questione del Sud come colonia non si è mai conclusa: ancora oggi il Sud continua a sprofondare, anche se le città (Palermo, Napoli) vivono una loro vita extra-italiana, cosmopolita.
Durante le guerre di indipendenza un giovane di nome Goffredo Mameli scrisse le parole di Fratelli d’Italia, che divenne dell’inno nazionale.
Non è un inno bellissimo: una congerie di frasi retoriche guerrafondaie e schiaviste. Mameli morì giovanissimo, e non meriterebbe di essere ancora esposto al ludibrio di chiunque ascolti quella musichetta che cerca di essere maschia e invece fa ridere.
Le pose guerresche riescono male perché gli abitanti delle città italiane sono da sempre troppo intelligenti per credere nella mitologia della nazione. Sono veneziani, napoletani, siciliani, romani, genovesi, bolognesi… vuoi mettere? Solo la borghesia piemontese, che lasciatemelo dire non è mai stata molto brillante, può credere in quella finzione bianco rosso e verde.
Poi arrivano le grandi prove del nuovo secolo, il secolo dell’industria e della guerra. Occorre diventare competitivi, aggressivi, non più femminucce.
Nel 1914, mentre la Serbia e l’Austria scendono in guerra, infuria la polemica tra interventisti e non interventisti. I Futuristi, intellettuali di mezza tacca, si agitano sulla scena.
Disprezzo della donna, la guerra sola igiene del mondo urla il pessimo poeta Marinetti nel suo Manifesto del 1909.
Abbasso l’Italietta! gridano gli studenti interventisti per convincere siciliani e napoletani a essere italiani e andare a farsi ammazzare alla frontiera con l’Impero austroungarico che per napoletani e siciliani non significa niente.
La storia della nazione italiana è storia di sistematico tradimento.
Immagine: Istubalz
Quando nel 1914 scoppia la guerra in Europa, l’Italia è alleata dell’Austria e della Germania, ma il governo italiano decide di non entrare in guerra, e si rimane in attesa di capire come evolve la situazione. Nel 1915 gli interventisti prevalgono e l’Italia entra in guerra dalla parte di Francia e Inghilterra, contro quelli che erano i suoi alleati. L’andamento della guerra è catastrofico. Quindicimila morti a Caporetto. I ventenni mandati a morire cantano: “O Gorizia tu sia maledetta / per ogni cuore che sente coscienza / dolorosa ci fu la partenza / e il ritorno per molti non fu.”
Dopo la guerra le potenze vincitrici, Francia e Gran Bretagna, più gli Stati Uniti che per la prima volta entrano nelle faccende europee, convocano il Congresso di Versailles per dare un nuovo ordine all’Europa, e magari anche al mondo.
I vincitori francesi e inglesi vogliono punire la Germania, ma in un libro intitolato Le conseguenze della pace John Maynard Keynes consiglia di non esagerare perché coi tedeschi, anche sconfitti, non si scherza.
Il presidente americano Woodrow Wilson, ignorante di storia e di antropologia, pensa di mettere le mutande al mondo e proclama l’Autodeterminazione dei popoli. Ma Wilson dimentica di spiegare cosa vuol dire popolo, anche per il fatto che questa parola non significa niente. Come l’altra parola: Nazione. Due parole prive di senso logico che trasformano la storia del Novecento in un inferno di guerra ininterrotta.
Al Congresso di Versailles gli Italiani vorrebbero essere trattati come vincitori, rivendicano la Dalmazia, l’Albania, e qualche pezzo di Africa. Ma i veri vincitori, le potenze imperialiste consolidate trattano gli italiani come dei leccaculo e traditori, e non prendono in considerazione le loro petulanti richieste. Sidney Sonnino, azzimato primo ministro del Regno d’Italia se ne va via, piangendo nel fazzoletto.
L’umiliazione è cocente per coloro che avevano combattuto, per i reduci che avevano creduto che stare dalla parte dei vincitori portasse gloria ricchezza e colonie.
Un romagnolo di nome Benito, che aveva lasciato il partito socialista nel 1914 per mettersi dalla parte degli interventisti, prende la direzione dei reduci i quali si rendono conto di aver combattuto per niente, e gridano vendetta contro la plutocratica Inghilterra. Benito ha una cultura provinciale e retorica, ma una buona memoria, e incarna le virtù del bel maschio latino: arroganza, fanfaronaggine, opportunismo. La sua voce è potente nell’amplificazione elettrica, e le sue pose sono perfette per il cinema, nuovo medium che accompagna la creazione dei regimi di massa nella prima parte del Novecento.
Nel 1919 gli operai del Nord industriale occupano le fabbriche e i braccianti emiliani scioperano contro gli agrari per migliori condizioni di lavoro.
Benito Mussolini guida l’orgoglio della nazione contro i meschini interessi degli operai. La patria contro le organizzazioni della società reale.
Così nell’ottobre del 1922, dopo avere ottenuto la maggioranza relativa alle elezioni, Mussolini guida la Marcia su Roma, e instaura il fascismo: un uomo solo al comando, violenza contro i sindacati, persecuzione degli intellettuali, assassinio dei dirigenti della sinistra. Antonio Gramsci in carcere scrive i suoi quaderni dove spiega quello che era e che resta il nucleo essenziale del fascismo: violenza padronale contro la classe operaia.
L’Italia s’è fatta maschia e la maschia Italia vuole un impero, e questo non piace agli inglesi e ai francesi, nazioni consolidate che un impero ce l’hanno già.
Le nazioni giovani, Italia, Germania, Giappone, rivendicano il diritto ad avere anche loro un posto al sole, e stringono alleanza. Nasce l’asse Roma Berlino Tokyo (RoBerTo).
Mussolini manda truppe in Libia, in Etiopia, in Abissinia: giovani italiani vengono mandati a combattere in quelle terre, guidati da criminali di guerra come il generale Graziani. Massacrano popolazioni civili. Lanciano bombe all’iprite contro villaggi del Corno d’Africa.
L’umiliazione genera mostri, e i mostri vogliono vendetta.
Qualche migliaio di morti per sedere al tavolo delle trattative
Dal suo balcone romano Mussolini proclama a una folla oceanica che è rinato l’Impero di Roma. È il 1936, dalla Spagna giunge il rumore di una nuova guerra, Hitler manda la Luftwaffe a bombardare Guernica, Mussolini manda 5000 militari a combattere a fianco del fascista Francisco Franco contro i repubblicani spagnoli.
Nel frattempo la potenza tedesca è risorta, e si è incattivita, come aveva previsto Keynes.
L’umiliazione genera mostri, e i mostri vogliono vendetta.
La vendetta degli umiliati tedeschi si scatena nel 1939 con l’invasione dei Sudeti, poi della Polonia, infine della Francia. Milioni di ebrei che vivono in Germania, Polonia, e altri paesi europei sono additati come nemici da sterminare. Anche in Italia gli ebrei, che avevano vissuto pacificamente nelle città di Roma, Venezia, Livorno, sono isolati, licenziati. Leggi razziali preparano la loro deportazione, la consegna degli ebrei italiani all’alleato nazista.
Nel 1939 centoventimila ebrei fuggono via mare dalla Germania, vogliono sbarcare in Inghilterra, ma gli inglesi li respingono come oggi respingiamo gli africani che chiedono di sbarcare sulle nostre coste.
Mussolini è alleato di Hitler, ma non si fida del suo alleato, anzi teme che voglia invadere la regione del Nord Est dove si parla tedesco. Quando, nel settembre del 1939, Hitler lancia l’invasione della Polonia per andare a conquistare il suo sbocco sul mar Baltico, e la guerra precipita rapidamente coinvolgendo una dopo l’altra le potenze mondiali, Mussolini esita.
Come già all’inizio della prima guerra mondiale il governo italiano aspetta un po’ prima di decidersi a entrare in guerra. “Non belligeranza” la chiama Mussolini, cui piacevano le parole difficili.
Ma quando nel 1941 apparve chiaro che Hitler stava vincendo la guerra, quando la Germania aveva occupato quasi tutta l’Europa, allora Mussolini decise di intervenire a fianco dei nazisti vincitori, dopo aver pronunciato la frase che forse meglio definisce l’anima del fascismo: “Mi occorre solo qualche migliaio di morti per sedere al tavolo delle trattative”.
I morti furono molti di più, e il tavolo delle trattative Mussolini lo trovò quattro anni dopo a piazzale Loreto, Milano, dove venne impiccato con la testa in giù.
Nel giugno del 1941 le truppe italiane entrarono in Francia (che però era già occupata dai tedeschi), e qualcuno commentò, ripetendo le parole pronunciate a Firenze da Francesco Ferrucci al suo boia nel 1530: “Vil Maramaldo tu uccidi un uomo morto”.
Mussolini pensava che la vittoria dei nazisti si potesse dare per certa e la fine della guerra fosse imminente. Ma l’infame sbagliava: non aveva considerato il fatto che il popolo sovietico avrebbe resistito, che avrebbe pagato il prezzo di venti milioni di morti (altro che qualche migliaio) rovesciando il tavolo delle trattative al quale l’infame avrebbe voluto sedersi. Non aveva considerato che gli Stati Uniti sarebbero entrati nel conflitto con tutto il peso dei loro armamenti.
La guerra italiana fu un disastro, ancora una volta. Mentre i tedeschi occupavano l’intero territorio europeo, Mussolini mandò i disgraziati militari italiani mal vestiti e mal equipaggiati a combattere in Africa, in Russia e in Grecia. Aveva minacciato di spezzare le reni alla Grecia, ma le offensive italiane furono dei rovesci.
C’è un film di Gabriele Salvatores (Mediterraneo) che racconta di un gruppo di militari italiani mandati a spezzare le reni alla Grecia, che si ritrovano in un’isoletta dell’Egeo, dove rimangono per anni, senza più alcun contatto con il resto del mondo.
Gli italiani, che in grande maggioranza avevano creduto nelle spacconate del Duce fin quando sembrava che non ci fosse pericolo di essere coinvolti in qualcosa di così orrendo come quella guerra, ora cominciavano a rendersi conto di cos’era il fascismo, del baratro di orrore che si nascondeva dietro parole senza senso come Nazione, Patria, Onore, Bandiera, Fratelli d’Italia e così via. Il 25 luglio 1943 il Gran Consiglio del Fascismo (il parlamento degli infami che l’avevano spalleggiato fin quando sembrava vittorioso) destituirono il Duce e lo misero agli arresti. I tedeschi lo liberarono poco tempo dopo, perché costituisse la repubblica sociale di Salò, che controllò parzialmente il nord Italia per circa due anni: ne facevano parte residui gruppi di fascisti che aiutarono i nazisti a perpetrare massacri che punteggiarono gli ultimi due anni di guerra, come l’eccidio di Marzabotto e quello di Santa Anna di Stazzena.
L’8 settembre di quell’anno l’esercito italiano si dissolse, molti divennero partigiani e combatterono a fianco delle truppe angloamericane che risalivano la penisola dal Sud verso il Nord, e nell’aprile del 1945 liberarono le città del Nord dalla presenza dei residui nazisti e fascisti.
Tra quei partigiani c’era anche mio padre, che mi ha raccontato questa storia fin da quando ero bambino. Mio padre ha avuto la fortuna di morire prima di vedere quello che sta accadendo oggi, credo che gli farebbe male.
Ma cosa sta accadendo oggi in Italia? E cosa sta accadendo in Europa?
Vediamo.
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Un uomo solo al comando, cioè una donna
Il governo Draghi è caduto. Draghi, che fu un tempo funzionario di Goldman Sachs, poi direttore della Banca Centrale Europea, ha un’assoluta fiducia nel pilota automatico che governa tutto. In nome del pilota automatico, nel 2015 contribuì a distruggere la democrazia in Grecia, e quindi in Europa: il sistema finanziario europeo doveva piegare il popolo greco che al 62% aveva votato contro un memorandum che ordinava la privatizzazione generale e la riduzione delle pensioni e dei salari. Draghi era direttore della Banca Centrale Europea, e fece la sua parte per imporre l’umiliazione e l’impoverimento brutale dei greci. Era il suo mestiere, era la volontà del pilota automatico.
Draghi è una persona colta, a differenza della grande maggioranza dei politici italiani che in generale sono di un’ignoranza imbarazzante, come il Ministro degli Esteri Di Maio, un tirapiedi convinto che Pinochet sia stato dittatore in Venezuela.
Il governo Draghi nacque all’inizio del 2021, dopo una congiura di palazzo ordita da un killer professionista amico di bin Salman, di nome Matteo Renzi. Il sistema finanziario europeo voleva sostituire il premier Giuseppe Conte, il leader Cinque Stelle che appariva troppo favorevole alle richieste della società perché gli si potesse affidare tutto il denaro che l’Unione Europea investe per sostenere l’economia d’Italia, il paese che ha più sofferto per gli effetti del contagio.
Si trovò il modo per togliere di mezzo Conte e si chiamò Draghi per salvare il paese, e per trasformarlo finalmente in un paese serio, cioè rispettoso delle leggi del profitto e delle regole stabilite dal sistema finanziario.
Il caos barocco della politica italiana doveva piegarsi al rigore protestante della finanza tedesca, e il compassato Draghi era la persona giusta per questo.
Per la prima volta nella storia italiana una donna fonda un partito, e lo chiama, geniale paradosso, Fratelli d’Italia.
Tutti si prostrarono ai piedi del Duce finanziario, tutti elogiarono la sua autorevolezza, tutti si dichiararono disposti ad appoggiare il suo programma, i suoi metodi, le sue finalità.
Tutti, tranne lei.
Tranne Giorgia Meloni, una romana verace, autoproclamata femminista, fondatrice di un partito. Per la prima volta nella storia italiana una donna fonda un partito, e lo chiama, geniale paradosso, Fratelli d’Italia.
Il femminismo di Giorgia lo spiega lei stessa: “A sinistra parlano tanto di parità delle donne, ma in fondo pensano che la presenza femminile debba essere comunque una concessione maschile. Che tu sia donna o uomo, dove sei ci devi arrivare per capacità e non per cooptazione. E se le donne arrivano, quando arrivano non è per concessione di un uomo.”
Alla Meloni piace competere con gli uomini come se fosse un uomo. E vince.
“È forse per reazione al complesso di inferiorità che porta molte donne a competere fra di loro, che io mi diverto di più a competere con gli uomini.”
Femminismo e competizione: un ossimoro che funziona. Quale messaggio più convincente per l’elettorato femminile, dal momento che l’ideologia dominante ha messo la competizione al centro, e l’ipocrita adulazione delle donne è uno dei motivi ricorrenti della pubblicità commerciale e della propaganda liberista?
Il fascismo come Alzheimer
Fratelli d’Italia è l’unico partito che non ha preso parte al governo Draghi; almeno formalmente ha fatto opposizione. In realtà non ha fatto nessuna opposizione sulle questioni sociali.
Non ha fatto nessuna opposizione quando si è trattato di mandare armi all’esercito ucraino per prolungare all’infinito la guerra e quindi l’agonia della popolazione di quel paese.
Però ha fatto finta di fare opposizione, ha rifiutato le poltrone ministeriali che tutti gli altri hanno invece occupato comodamente.
Per questo Meloni ha vinto: perché meritava di vincere.
E adesso merita di governare.
Sarà il primo presidente del Consiglio di sesso femminile nella storia dell’Italia unita.
Interessante, no?
Cento anni dopo quel maschiaccio di Mussolini, una donna riporta al governo del paese il culto della patria, della famiglia tradizionale, dell’eroismo militare, il rispetto delle gerarchie, il respingimento dei migranti, una concezione razziale della cittadinanza.
In una parola: il Fascismo.
Ma le cose non sono così semplici.
Alcuni caratteri del fascismo – nazionalismo, razzismo, repressione delle organizzazioni dei lavoratori, militarismo – sono riemersi nella cultura nazionale e nelle scelte politiche, ma non sono un’esclusiva del partito di Giorgia Meloni. Sono condivise da molte altre forze politiche che si presentano alle elezioni. Certamente sono condivise dal Partito Democratico, responsabile al pari della Lega del respingimento sistematico di cui sono vittima decine di migliaia di stranieri che annegano nel Mediterraneo.
L’artefice della politica ipocrita e crudele di respingimento e detenzione dei migranti è infatti un esponente del PD che si chiama Marco Minniti, che fu ministro degli Interni nel decennio scorso e adesso dirige la principale agenzia militare italiana, Leonardo.
Il razzismo è la politica non ufficiale ma sostanziale della Repubblica italiana e dell’Unione Europea. I rifugiati dalla pelle bianca sono accolti a braccia aperte, mentre quelli che hanno la pelle di colore un po’ diverso sono invitati ad annegarsi in mare. Da questo punto di vista Giorgia Meloni non è diversa dagli altri partiti che gestiscono il potere nel continente.
Quanto al resto il fascismo, violenza padronale contro i lavoratori, è già lo stile del potere in Italia, da quando i governi di centrosinistra hanno firmato leggi per precarizzare il tempo, la vita e il lavoro.
E la guerra?
La lealtà nelle alleanze non è mai stata un punto forte della storia italiana, come abbiamo visto nella prima guerra mondiale e anche nella seconda. Adesso che sta cominciando la terza, c’è ragione di chiedersi a che gioco l’Italia vorrà giocare.
Dopo il 24 febbraio il governo Draghi ha mostrato lealtà adamantina alla politica della NATO e dei guerrafondai della Casa Bianca.
Mentre il 73% degli cittadini erano contrari a partecipare a quella guerra, Draghi e tutti i suoi draghetti, a cominciare dall’ultramilitarista Enrico Letta, hanno mandato armi e munizioni agli ucraini perché la guerra non finisca mai.
Sarà adesso la destra vincente altrettanto leale?
Non dimentichiamo che la lealtà nelle alleanze non è mai stata un punto forte della storia italiana, come abbiamo visto nella prima guerra mondiale e anche nella seconda.
Adesso che sta cominciando la terza, c’è ragione di chiedersi a che gioco l’Italia vorrà giocare, visto che i tre caporioni della destra hanno intimi amici nel fronte avversario: Orban è il prediletto di Giorgia Meloni, e lo stesso Putin è un vecchio amico di tutti e tre.
Gli Atlantici coalizzati per alimentare il fuoco alla frontiera orientale d’Europa sono preoccupati di quello che potrebbero fare il vecchio mammasantissima Silvio Berlusconi grande amico di Putin, e il già Ministro degli Interni Matteo Salvini, un energumeno che qualche anno fa ha firmato un patto di alleanza della sua Lega Nord con Russia Unita, il partito che governa la Russia.
Giorgia Meloni ha una posizione più ambigua. Nel passato naturalmente le piaceva il nazionalismo cristiano del neozarismo russo, ma quando è scoppiata la guerra in Ucraina, quando l’Europa pacifica si è trasformata nell’Europa Nazione in armi, la leader del partito neomussoliniano si è precipitata a promettere eterna fedeltà alla sua nuova patria.
Vedremo.
L’estate del 2022 è stata la più calda a memoria d’uomo: bruciate le foreste da Trieste a Livorno, i fiumi in secca, i ghiacciai che si sciolgono, i lavoratori morti nei cantieri sotto il sole. L’inflazione taglieggia i magrissimi salari, e l’inverno all’orizzonte fa paura.
Il popolo italiano non fu sempre così smemorato, così inacidito, così triste, nervoso, rabbioso, e quindi razzista e anche un po’ fesso. Ci fu un tempo in cui i padroni non potevano liberamente licenziare gli operai aderenti al sindacato, perché tra i lavoratori c’era solidarietà, e perché era facile fare amicizia, non come oggi che in strada non sorride più nessuno e siamo pronti a sbranarci perché la precarietà ha trasformato i lavoratori in concorrenti miserabili che hanno paura di perdere il lavoro.
Un popolo di depressi rabbiosi vota per chi gli promette di restaurare un onore perduto che non è mai esistito, e gli promette di aumentare il numero di africani annegati perché vogliono sbarcare sulle nostre sacre rive, e gli promette guerra, e ancora guerra e ancora guerra.
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Nessuno potrà governare il caos
Dicono che ha vinto Giorgia Meloni, ma mi pare che l’astensionismo sia il primo partito italiano.
Un obiettivo dichiarato di Giorgia Meloni è il cambiamento in senso presidenziale della Repubblica che la Costituzione antifascista del 1948 volle parlamentare: un uomo solo al comando, appunto, anche se quest’uomo al momento è una donna.
Ma il problema è che nessuno può governare il Caos, e il Caos sarà il re dell’inverno che viene. L’Italia sta entrando nella crisi più devastante da sempre: povertà e disoccupazione stanno crescendo.
La migrazione cresce perché guerra e disperazione dilagano tutt’intorno al Mediterraneo. Quanti milioni di migranti arriveranno dall’Ucraina e dalla Russia e quanti dal Pakistan, un paese di 224 milioni di abitanti sommerso dalle acque di un’apocalisse che l’Occidente ha provocato con la sua crescita illimitata?
Meloni intende “rilanciare la natalità” (vaste programme).
Come in tutto il nord del mondo anche in Italia le donne hanno deciso di non essere più animali da riproduzione, e vogliono vivere la loro vita senza dover obbedire agli ordini del marito o della nazione.
Le nuove generazioni inoltre sono sempre più consapevoli del fatto che fare figli oggi significa compiere un gesto irresponsabile, consegnare degli innocenti all’inferno di un clima intollerabile, di un mondo che sta regredendo verso condizioni di vita disumane, con salari sempre più bassi e condizioni di vita sempre più simili a quella degli schiavi.
Meloni vuole figli per le guerre che si preparano, vuole schiavi per l’economia di sfruttamento assoluto. E soprattutto vuole che le donne facciano figli per evitare che i migranti di luoghi lontani vengano in Italia a sostituire la popolazione che diminuisce.
Questo è il carattere più profondo del Geronto-Fascismo: una popolazione di vecchi che per cinque secoli ha rapinato, violentato, sfruttato le popolazioni del sud del mondo ora ha paura dell’invasione.
Proprio per questo il geronto-fascismo è destinato a perdere: le donne non si metteranno a fare figli per la fornace del futuro.