Fuori dal ghetto
C’è solo una lungo viale, l’Avenida Infante Dom Henrique, a separare l’Alfama – il più antico e tradizionale quartiere di Lisbona, quello percorso dal tram 28 – da FLUR, un piccolo negozio di dischi che nasce in un deposito accanto al LUX (storico club cittadino), e che in breve tempo si è trasformato in punto di riferimento i compratori abituali di musica in città. Ma FLUR, aperto nel 2001 da José Moura, Marcio Matos e André Ferrerira, è presto diventato qualcosa in più di un pur ottimo negozio di dischi: è la casa della Príncipe Discos. E se pure capita spesso che un’etichetta sia legata alla città in cui nasce, quello che lega la Príncipe a Lisbona prima e al Portogallo poi è qualcosa di viscerale, di indispensabile. Dal punto di vista musicale prima di tutto: il catalogo Príncipe è interamente composto da artisti di Lisbona e dintorni, secondo la missione di essere «pienamente dedicata a pubblicare vera musica dance contemporanea che arriva da questa città».
L’accezione del concetto di città per la Príncipe va ben oltre le vie del centro. DJ Marfox, uno dei primissimi producer a uscire con l’etichetta con Eu Sei Quem Sou (2011) è ad esempio originario di Quinta do Mocho, un sobborgo a una decina di chilometri dal centro cittadino che nei primi anni 2000 – poco dopo la costruzione dei casermoni che lo compongono – poteva essere tranquillamente definito un ghetto, frutto di una gestione demografica discutibile quanto diffusa che ha lì concentrato prime e seconde generazioni di immigrati delle ex colonie portoghesi: Capo Verde, Angola, Guinea. «La mia musica era associata alla povertà e al crimine», ha detto Marfox a Mixmag, «e adesso i dj del ghetto stanno mesi lontani da casa per suonare in giro per club e festival. È un grosso cambiamento». (Nel frattempo, proprio a Quinto do Mocho è nato nel 2014 il progetto che ha portato la zona a diventare una delle gallerie d’arte all’aperto più grandi del paese: O Bairro i O Mundo).
Era il lontano 2006 quando uscì la compilation DJ’s Do Guetto Vol.1, una sorta di versione autoprodotta e prototipale di quella che sarebbe diventata la Príncipe (che poi la ristamperà in una nuova edizione anni dopo), e che conteneva lavori dello stesso Marfox così come di Dj Lycox o Dj Firmeza. La tradizione musicale portata avanti da quella raccolta e da altri originatori della scena come Dj Nervoso, è riconducibile alla batida e al kuduro: generi d’importazione africana che nelle periferie hanno cominciato a mescolarsi con la techno. Alexander Hill su Ransom Note ha scritto: «il suono unico che viene fuori dalla Príncipe Discos è stato etichettato come batida, un genere musicale molto influenzato dal kuduro, stile musicale che arriva dall’Angola con un drum beat molto simile a quello della techno di Detroit. Tuttavia, la differenza tra kuduro tradizionale e batida è che quest’ultima non ha voci ed è molto più elettronica». A questi ingredienti andrebbe aggiunto il tarraxo, una deformazione molto scura ed estremamente sintetica della kizomba, che è invece vagamente riconducibile a un’idea di musica pop africana.
Nel tempo, grazie all’affermazione di alcuni dei suoi artisti – dai NIAGARA a Nigga Fox, che lo scorso anno è uscito su Warp ed è oramai uno degli artisti di punta di festival come Club 2 Club, o la stessa Nidìa alla quale si è interessata anche il New York Times – la Príncipe è riuscita a guadagnarsi un grande credito internazionale, che è servito anche in patria per attirare interesse attorno al progetto. «Questo giornalista portoghese molto influente ha fatto un pezzo su di noi per il maggior supplemento culturale del paese. E una delle cose che ha scritto èche la Príncipe è molto più influente di centinaia di manifestazioni politiche», ha detto una volta a Resident Advisor uno dei soci fondatori del progetto, Pedro Gomes.
Per anni i ghetti portoghesi sono stati abbandonati, lontani non solo culturalmente ma anche geograficamente: «non abbiamo fatto i ghetti come New York, o come le council houses di Londra», spiega ancora Gomes. «Abbiamo messo questa gente nel mezzo del nulla, senza nemmeno le strade a connetterli alla civiltà. E quarant’anni dopo la rivoluzione, queste persone sono ancora isolate. Il livello di sfiducia che hanno verso di noi è totalmente giustificato». Il ruolo della Príncipe è stato quindi anche quello di collante sociale, e questo nonostante agli inizi gli stessi artisti ingaggiati dall’etichetta fossero reticenti e sospettosi: in effetti, i fondatori della Príncipe sono tutti bianchi e cittadini, il che non li rendeva esattamente credibili agli occhi dei dj e dei producer di sobborghi come Quinta do Mocho.
Da qualche mese poi, le stesse menti dietro la Príncipe hanno lanciato una nuova etichetta, la HOLUZAM, che invece punta alla riscoperta di perle nascoste della tradizione lusitana, come già si evince dalle prime due uscite (Belzebu, produzione del 1983 di Telectu, e Taipei Disco, album concepito dal giornalista e musicista Antonio Duarte in Cina tra il 1989 e il 1993). Sono tutte attività che hanno come principale obiettivo quello di lavorare alla costruzione di una nuova identità collettiva portoghese. Un’identità che passa anche da una linea grafica molto riconoscibile, interamente delegata a Marcio Matos, artista che attraverso un simbolismo vagamente tribale è riuscito a far sì che un disco della Príncipe sia immediatamente riconoscibile già dalla copertina; e poi ci sono le locandine che ogni mese tappezzano Lisbona annunciando l’ormai consueta Noite Príncipe, la serata mensile che l’etichetta organizza regolarmente al Music Box, uno dei club più noti della città.
Proprio lo scorso 23 febbraio la Noite Príncipe si è ingrandita e trasformata, allargandosi a diversi club di Lisbona e Porto in occasione del settimo compleanno dell’etichetta. Si tratta di una mossa importante, che serve sia a tirare le somme del successo della Príncipe, sia a dimostrare come tanti degli obiettivi che la Príncipe si era prefissata siano stati in buona parte raggiunti. Quali? Li abbiamo chiesti a José Moura, uno dei fondatori dell’etichetta.
Qual era l’esigenza primaria che avevate voi di FLUR quando avete deciso di fondare la Príncipe?
Due di noi lavoravano (e lavorano ancora) da FLUR e altri due in un’agenzia di booking chiamata Filho Unico, ma l’idea originale comprende anche Photonz, un altro dei producer coinvolti fin dal principio in Príncipe. Io e Marcio (Matos) organizzavamo una serata, e da lì è nata l’idea di provare a mettere insieme tutta la musica «locale» che ascoltavamo, che veniva cioè dal circuito di cui già facevamo parte. Contestualmente anche Pedro e Nelson (Gomes) stavano considerando di lanciare una etichetta che si focalizzasse su alcuni artisti (come Dj Marfox) con cui già lavoravano come promoter; abbiamo dunque solo dovuto unire le forze. Ad ogni modo, l’obiettivo era quello di restare «locali» e di documentare tutta l’incredibile musica che stavamo cominciando a scoprire. Pian piano ci siamo imposti un obiettivo ancora più grande: quello di diventare un raccoglitore di tutto ciò che succedeva in città e nel paese. Pedro ha poi lasciato la label dopo alcuni anni, ed Andé (Ferreira) – che informalmente faceva già parte di Príncipe – ne è diventato uno dei pilastri.
Spesso si parla della Príncipe come un movimento culturale d’avanguardia. Tu come la vedi?
Credo sia inevitabile che si parli di Príncipe in questi termini, prima di tutto perché, tra le altre cose, la musica è certamente cultura – o, come spesso ci piace metterla, la musica è vita. In più, la musica pubblicata dalla Príncipe può essere intesa come una forte dichiarazione d’intenti culturale e locale, non solo per quelle che sono le nostre radici, ma anche per il modo in cui il materiale viene prodotto e distribuito nei sobborghi, all’interno di una comunità che non ha connessioni con alcuno sponsor culturale o promoter «downtown». Filho Unico è stata l’unica agenzia che si è prodigata di portare avanti un certo tipo di musica e un certo tipo di artisti, creando un circuito di artisti underground attraverso party ed eventi a cadenza regolare a Lisbona.
Nello statement iniziale della Príncipe c’era la volontà di «far uscire musica che arrivava dai sobborghi, dalle house project e dai bassifondi». Che ruolo hanno svolto i sobborghi nell’ideologia della Príncipe?
In realtà è stato tutto molto naturale: è semplicemente successo che i sobborghi fossero il luogo da dove arrivava tanta della miglior musica che sentivamo in giro. Non c’era una ideologia precisa o un attivismo in qualche modo politico all’inizio, ma abbiamo subito capito, dopo le primissime uscite e le prime club night mensili, che l’etichetta aveva un ruolo sociale molto forte, non fosse altro che per il fatto di unire insieme folle che non avevano mai ballato prima insieme. Noi per primi abbiamo notato i benefici di questa interazione: la nostra percezione sociale veniva senz’altro allargata e la label diventava sempre più un terreno comune per costruire fiducia tra comunità che, tristemente, tendevano ad escludersi a vicenda. Non l’abbiamo certamente inventato noi, ma all’improvviso sembra essersi imposto questo modo diverso sia di giudicare la musica locale – la «Portuguese music» – che di ragionare su cosa significhi essere portoghesi, anni dopo la decolonizzazione. Alcune di queste cose sono venute a galla molto naturalmente.
Tanti dei producer che escono per la Príncipe appartengono alle seconde o terze generazioni di immigrati africani. Questa tradizione ha portato nella Príncipe diversi suoni, dalla batida alla kizomba, che si sono mescolati con la dance music più europea. Perché credi che questo mix abbia funzionato così bene?
Se devo essere sincero non credo ci sia troppa influenza della musica «europea», ma questo è certamente opinabile. Possiamo dire che più o meno tutti i producer con cui lavoriamo hanno le loro influenze, e queste credo non includano più di tanto producer europei. Ci sono però, come dicevi tu, delle eccezioni, tra cui Nigga Fox (o forse Nidia) perché la sua vita e le sue abitudini lo hanno portato più a contatto con la club music del resto del continente; ma poi quello che lui fa nei set è un grande esempio di come si possa essere i capi della propria narrativa in musica, senza dover per forza dipendere da generi e influenze. L’idea di quel mix a cui tu accennavi funziona bene specialmente con il pubblico straniero, perché c’è il riconoscimento di un certo tipo di forma musicale (in questo caso la techno); ma come Marfox dice spesso parlando della sua musica e di quella di altri artisti Príncipe, c’è un aspetto universale nella musica che immediatamente connette le persone sul dancefloor. Non c’è una scienza perfetta: solo feeling e anatomia.
Non dimentichiamoci inoltre che questi musicisti sono perlopiù nati in Europa, con aspirazioni simili a quelle di qualsiasi altro ragazzo: videogiochi, cultura televisiva, cinema… Dalle loro produzioni traspare questo, più che una vera e propria matrice di «musica europea». Londra, Berlino, Parigi, sono tutti hub che significano poco o nulla per loro in termini di creatività musicale. Luanda e l’Angola significano tanto.
A proposito di ex colonie: nel 2016, con l’uscita della vostra seconda compilation Mambo Levis D’outro Mundo, avete anche allegato una vecchia dichiarazione di Amilcar Cabral – influente politico a capo del movimento indipendentista che portò la Guinea e Capo Verde all’indipendenza dal Portogallo – sottolineando l’importanza della cultura popolare. Possiamo intenderlo come un tratto distintivo della Príncipe?
Certamente. Abbiamo imparato tanto sul campo, con l’azione diretta. Una volta che la nostra strategia principale è stata definita, tutti i risultati che l’etichetta raccoglieva erano il risultato di un contatto diretto e di un processo di apprendimento costante. Era una cosa nuova per tutte le persone che erano coinvolte, dal management agli stessi artisti. Ad esempio è passato più di un anno tra la nostra seconda e la terza uscita discografica, perché eravamo occupati a consolidare la nostra presenza attiva nei club e a costruire un rapporto di fiducia con dj e producer. Dovevamo tutti imparare a conoscerci. Spesso ci piace chiamare questo gruppo (la label e gli artisti che le gravitano attorno) «famiglia». Insieme siamo tutti più forti, ovviamente.
Venendo invece ai legami con altre realtà musicali: come siete entrati in contatto prima con un’etichetta come la Warp e poi con la scena grime inglese?
Come etichetta non siamo mai entrati in contatto con il movimento grime, e vorrei anche chiarire che non c’è mai stata nessuna intenzione di comparare le due scene. Il contatto con la Warp invece avvenne principalmente perché i loro capi vennero letteralmente sconvolti dalle performance di Dj Marfox e Dj Nigga Fox durante l’Unsound Festival di Cracovia del 2013.
Quale valore aggiunto credi che Príncipe abbia portato (e possa ovviamente ancora portare) al suono di Lisbona?
Indipendentemente da noi, la musica che abbiamo cominciato a produrre è stata etichettata come «sound di Lisbona». Ovviamente siamo convinti del fatto che ci siano una serie di circostanze che hanno fatto sì che questo suono, il nostro suono, originasse proprio a Lisbona; ma è ingiusto ergerlo a suono unico della città. Più che altro è una forte espressione culturale del nuovo Portogallo. Un paese è definito dalle azioni della gente che lo vive nella sua quotidianità attuale, ma la cultura mainstream tende a legarlo troppo a tradizioni passate che potrebbero non essere più rilevanti. Príncipe ha contribuito, contribuisce e contribuirà a portare all’attenzione di tutti la modernità della musica portoghese; il fatto è che questa non è per niente come la maggior parte delle persone se la aspetta.
I party sono una grossa componente della «mission» della Príncipe. Come è cambiata (se è cambiata) la composizione del pubblico negli anni?
Molto semplicemente: c’è stata sempre maggiore fusione sociale. È stato un processo che è andato avanti per diversi mesi, ma ora puoi davvero vedere diverse tipologie di persone. Diciamo che la grossa differenza l’ha fatta la monthly night che teniamo da anni al Music Box, che ha cominciato a richiamare sempre più persone e dj da diversi quartieri. Amici, famiglia e follower molto tenaci: quando hai questo puoi dire di aver completato la tua missione.
Per concludere: credo sia possibile ritrovare, nel sound che accomuna la Príncipe, un certo elemento «futurista». Come credi si sia originata questa connotazione?
Credo che «il futuro» sia un termine abbastanza astratto. È come la grande letteratura di fantascienza: quei libri sembrano parlare di futuro, ma in realtà raccontano il presente.