Bestie
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Qualche tempo fa, cercando di riassumere Perché guardiamo gli animali? di John Berger (il Saggiatore), scrivevamo che, nel racconto umano, gli animali sono stati messaggeri e promesse: hanno assunto funzioni magiche e sacrificali, e per colmare la nostra solitudine di specie li abbiamo trasformati in storie, leggende, metafore. Gli animali sono stati i primi intermediari tra l’uomo e le sue origini.
Aggiungiamo qualche appunto a quelle considerazioni.
Herzog, di nuovo
La ballata di Stroszek (1977), di Werner Herzog, racconta la parabola triste di Bruno Stroszek, musicista di strada, emarginato galeotto berlinese, ubriacone con una lunga serie di piccoli reati compiuti per colpa dell’abuso di alcool. In cerca di redenzione, Bruno lascia la Germania in compagnia di una prostituta e intraprende la sua personale deprimente versione del sogno americano. Cerca fortuna e riscatto a Milwaukee, ma gli Stati Uniti si dimostrano un luogo inospitale, impenetrabile, spietato nei confronti dei falliti. Il film termina nel baraccone di un luna park indiano, con le immagini di una giostra a gettoni mal funzionante dove alcuni animali addestrati, un pollo, un’anatra, un coniglio, si muovono nelle loro gabbie arredate come case di bambole, con miniature di mobili umani: una sala da ballo, una caserma dei pompieri.
Dopo due ore in cui mostra la storia disperata di un essere umano, Herzog esemplifica quella stessa storia, raccontandola da capo con degli animali come protagonisti: la loro esistenza, come quella di Bruno, è desolata, chiusa nella recita vana che sono costretti a mettere in scena quando qualcuno infila un dollaro nella giostra, e le luci si accendono e parte la musica.
Ian Curtis, il cantante dei Joy Division, si impiccò nella cucina di casa sua qualche ora dopo aver visto La ballata di Stroszek in onda sulla BBC.
Bestiari
I bestiari sono uno degli strumenti che l’essere umano ha inventato, ai tempi di Aristotele, per cercare di dare un metodo alla sua relazione con il resto del mondo vivente. Enciclopedie pre-scientifiche, cataloghi ideati per mettere ordine tra le conoscenze che si avevano su un determinato animale e le storie umane che circolavano attorno a quell’animale. Natura, folklore e cultura. Soddisfare il bisogno di comprendere noi stessi grazie al confronto con le altre forme di esistenza, di riflettere l’essere umano nella vita animale.
I bestiari medievali trovarono presto la via del fantastico, perdendo la loro funzione descrittiva e arricchendosi invece di superstizioni, leggende e simboli legati agli animali che venivano raccontati. Qualche secolo più tardi Jorge Luis Borges si ispirò a quelle opere per il suo Manuale delle creature fantastiche (uscito poi in versione aggiornata con il titolo di Il libro degli esseri immaginari) zoo assurdo di mostri mitologici, bestie completamente inventate e vaghe idee di esistenze alternative: animali sferici, «l’animale sognato da Poe», gnomi, pigmei, il Golem.
A Borges si è ispirato qualche anno fa Caspar Henderson per il suo Libro degli esseri a malapena immaginabili, appena pubblicato in Italia per i tipi di Adelphi (traduzione di Massimo Bocchiola, disegni di Roberto Abbiati). Animali non più immaginari ma a malapena immaginabili, e quindi reali: il bestiario di Henderson è una lunga lista di creature davvero esistenti ma che conservano elementi di surrealtà. Sono animali che conosciamo poco, e ci stupiscono per il loro aspetto assurdo: l’axolotl, lo squalo goblin, il granchio yeti. Oppure che pensiamo di conoscere bene, ma il cui comportamento ci risulta comunque sorprendente:
«I delfini grazie ai click e gli squittii possono localizzare un oggetto lontano molti chilometri, ma anche penetrare nella pelle di un essere umano o di un delfino a pochi metri di distanza e “vedere” un cuore che batte o i movimenti di un feto nell’utero. Si hanno testimonianze di delfini che, avendo identificato lo stato di gravidanza di alcune donne prima che esse lo sapessero, le trattavano come femmine gravide della loro specie».
La natura è misera e maligna, ignobile, è vero. Ma noi ne facciamo parte.
Ne esce fuori una Wunderkammer di storia naturale, un catalogo pressoché infinito di citazioni (di scrittori, filosofi e scienziati), di aneddoti, di racconti, un tentativo evidentemente impossibile di compilazione globale del sapere.
La visione di Hernderson e quella di Herzog sono solo apparentemente inconciliabli. «I believe the common denominator of the universe is not harmony; but chaos, hostility and murder», dice Herzog in Grizzly Man (2005). Eppure la ricerca di questo comun denominatore tra esseri umani e esistenze animali è la traccia ossessiva di gran parte dei suoi lavori. La natura è misera e maligna, ignobile, è vero. Ma noi ne facciamo parte: «It is not that I hate it, I love it. I love it very much. But I love it against my better judgment» (da un’intervista durante le riprese di Fitzcarraldo, 1982).
Henderson parte da questa stessa consapevolezza per porsi un obiettivo politico: quello di «ampliare la nostra immaginazione fino a comprendere altre forme di esistenza». Rinnovare e riscoprire la relazione tra umano e non-umano è la responsabilità più grande che abbiamo «noi cittadini dell’Antropocene», scrive. E così, nella sua lista delle meraviglie, appare anche Homo sapiens tra gli altri esseri a malapena immaginabili. Ma è uno tra tanti, nascosto nei capitoli, tra Gonodactylus e Iridogorgia pourtalesii.