Banda larga e misteri ancestrali
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A quanto pare, anche la pandemia è un brand, e necessita di un’immagine coordinata. Lunedì sono state diffuse le prime immagini dei padiglioni che verranno allestiti in tutta Italia per vaccinarci a partire, in teoria, dal 15 gennaio; i padiglioni li ha disegnati Stefano Boeri, che tra le tante cose è il figlio di Cini Boeri, designer e architetta, curatrice tra le tante cose della casa museo di Gramsci a Ghilarza, in Sardegna; salendo al primo piano della casa di famiglia dei Gramsci si può vedere la camera da letto della madre, il letto severissimo, una camera identica al secolo scorso, non fosse per un’enorme vela di plexiglass che dovrebbe proteggere il sito dai visitatori: il coronavirus non c’entra, la vela era parte dell’allestimento originale, pesantissimo e rigido.
I padiglioni per la vaccinazione invece sembrano presentarsi leggeri, temporanei, e con tutte quelle primule stampigliate si prestano idealmente alla memetica, cioè alla costruzione di tentativi di consenso nelle più diverse direzioni che vengono scambiati sui social network. Non è mai stato chiaro quanto nell’ultima primavera, quando succedeva che lo stesse meme ti arrivasse nelle chat di lavoro e dalla cugina, e il subconscio della comunità, della massa popolare, di quello che è, prendeva le forme più diverse.
Non parlo mai volentieri di meme perché, pur riconoscendone la potenza, non riesco a condividere la fede nel loro potenziale politico, l’esagerazione delle presunte qualità trasformative del mezzo; il meme non è un manifesto di Engels o Goebbels, è un amplificatore; in quanto mezzo, è vero, si presenta come neutrale. Se per ora ha attecchito meglio a destra, o più precisamente: nel complottismo xenofobo e antisemita, è perché quel folklore era già vivo e vitale come sempre, energico, seducente. Se ha attecchito meno a sinistra, è perché il pensiero che si fa politica, a sinistra, è inceppato da trent’anni almeno. I meme di sinistra, spesso cinici e disarmati, ininfluenti (almeno: per ora), sono il trionfo della nostra incapacità di agire.
Ora: nel Regno Unito è iniziata la campagna di vaccinazione contro la COVID-19. L’evento, è ovvio, è stato fotografato come si usava nei libri di scuola. La prima persona vaccinata è stata una donna alla soglia dei 91 anni, Margaret Keenan, che ha detto:
È il più bel regalo in anticipo che potessi desiderare perché significa che posso finalmente iniziare a pensare a trascorrere del tempo con la mia famiglia e gli amici nel nuovo anno, dopo essermene rimasta sola per quasi un anno.
Una tenerezza disarmante; ma molti di noi, di questo evento, ricorderanno qualcosa del genere, l’ennesima occasione per ridicolizzare il complottismo no-vax.
Non dico che i meme non siano divertenti: fanno ridere. Mi sembra però che la parte razionale dello scontro, che mi forzerò a non chiamare «noi», stia mettendo in gioco esattamente lo stesso dispositivo di difesa della parte irrazionale, che non chiamerò «loro»; un dispositivo che in antropologia viene chiamato blaming, il gesto con cui una comunità incolpa il presunto colpevole di una calamità, di una catastrofe.
Nel suo Antropologia dei disastri, Gianluca Ligi cita largamente Purezza e Pericolo di Mary Douglas, antropologa anche lei. Il punto di Douglas è semplice: di fronte alla tragedia collettiva, alla morte insensata, l’osservatore non deve guardare l’errore della comunità «primitiva» nell’attribuzione della colpa, ma a chi viene data questa colpa. E qui si torna alla radice della disciplina antropologica, ovvero la distinzione tra cosiddetti primitivi e moderni. Di fronte alla catastrofe questa distinzione non va costruita rivendicando una differenza quantitativa degli strumenti cognitivi, ma qualitativa. Cioè: un gruppo non ragiona meglio dell’altro, ma diversamente.
È indagando sui «colpevoli» che si legge lo stato mentale di una società. E allora ecco che la borghesia medio-piccola, conservatrice, ma anche il sottoproletariato non garantito, ma anche il paleodietista di città, il grillino yogico, si trovano terrorizzati dall’invisibile.
Non diversamente dall’altro gruppo, che teme la verità invisibile di un virus, con più voglia e lucidità per cercare di capire come un pezzo di codice genetico passa da una persona all’altra, dopo essersi originato dal contatto tra un animale selvatico e della carne alimentare. È una storia complessa: e non sono le verità fisiche (un metro è lungo un metro, l’acqua bolle a 100 gradi) a unire le persone: gli esseri umani hanno costruito imperi e acquedotti senza sapere cosa fosse l’RNA, o un bit: a tenere insieme le società, in fondo, c’è sempre un racconto. Storie d’amore e di guerra, noi contro loro.
Se avessi cinquanta e più anni, o non avessi la «testa», cioè la combinazione di studio e possibilità e fortuna che mi porta a capire chi siano Bill Gates o il 5G, magari…
Questa primavera, quando i cellulari scambiavano miliardi di meme, coincideva con l’invasione del tempo libero in milioni e milioni di persone, e a quell’invasione corrispondeva la ritirata della vita sociale, di quel reticolo di azioni e reazioni che ci servono per capire gli altri, le loro ragioni, il mondo; per capire quando si è stupidi e in cattiva fede. Ed è in quella finestra di tempo che persone magari prima immuni al pensiero del complotto hanno scoperto la vera verità del mondo: Bill Gates ha inventato la COVID-19 per inserirci dei microchip sottocutanei attraverso la vaccinazione.
Avere la ragione
RASHIDA JONES: Bill, qual è la bugia più strana che tu abbia mai sentito su di te?
BILL GATES: Questa cosa che mi ha coinvolto nella creazione del coronavirus. Non credo possa esistere niente di più strano.
RJ: Perché pensi che la gente pensi questo di te?
BG: Se vuoi un cattivo, è utile trovarlo con più soldi di quanti un umano dovrebbe averne, e convinto di essere troppo intelligente. [ride]
RJ: Ti ritieni troppo intelligente?
BG: Assolutamente sì. [ride]
RJ: [ride ]
BG: Molte persone temono che il vaccino possa causare molti danni, o forse che l’obiettivo del vaccino sia in qualche modo quello di rintracciare le persone con un microchip con qualche connessione alla rete 5G. Quei complotti che mettono quasi a repentaglio lo sforzo della Fondazione per salvare vite umane sono le cose più folli che abbia mai sentito su di me. Non è che il pubblico sia meno istruito. Si lasciano ingannare da qualche meme allettante. Ma l’opinione pubblica non risolverà i problemi difficili, e quindi è fondamentale cercare degli esperti e assicurarci che questi esperti siano messi al comando. Credo che continueremo a migliorare l’assistenza sanitaria, l’istruzione e la riduzione della povertà.
(Fonte: un’intervista del 30 novembre 2020)
L’idea di un complotto ordito da un miliardario filantropo, per quanto fiabesca e anche un po’ geniale, è ovviamente una stronzata; questo non significa, però, che stiamo evitando meccanismi tribali.
Parte della comunità sta somatizzando la paura della smaterializzazione e l’oltraggio delle tecnologie di sorveglianza – quelle a casa propria, nel computer, e quelle fuori, la telecamera accanto al lampione – rafforzate dalla gestione della pandemia, e designa quindi il colpevole, cioè l’intreccio tra potere e tecnologia, l’infrastruttura; seguendo sentieri magici e millenari l’infrastruttura si incarna nella bestia, cioè Bill Gates; il contagio si incarna nel chip, e Satana vola nella banda larga.
Ecco: è utile sondare il polso della collettività attraverso i meme, ma non ci si può fermare lì: gli esseri umani hanno paura che si dissolvano le relazioni, e non hanno del tutto torto; hanno paura di essere spiate, e non hanno del tutto torto; hanno paura di perdere il lavoro, eccetera. Cercare il nemico nella banda larga non è semplicemente «da idioti», «ridicolo», o cose del genere; sì, una parte di me pensa sia profondamente stupido, così in profondità che non riesco a evitare di dirlo, ma l’altra parte di me nobilita il meccanismo della frustrazione. Della rabbia. Se si dà la colpa alle onde, è anche perché le trasformazioni invisibili hanno tagliano ferite tanto maligne quanto quelle visibili. Bill Gates, dalla stessa intervista:
Penso che alla fine abbastanza persone prenderanno il vaccino e questa cosa finirà, ma ci sarà qualche forma di «noi contro di loro». Un conflitto che frantumerà il progresso verso il pensiero di un’umanità unita, che si trova nella stessa situazione, e che ha bisogno di lavorare insieme.
Solo un miliardario, o il Papa all’opposto, possono vedere l’umanità nella stessa situazione. Un secolo fa Gramsci, cresciuto nella casa arredata poi dalla madre di Tito Boeri, scriveva che in Italia abbiamo il vizio di distinguere il Nazionale dal Popolare: perfino in letteratura, se nell’Ottocento russo o inglese i poveri (di condizione, di spirito, di cultura) erano esseri umani in carne e ossa, nei libri di Manzoni erano dei fantocci pietosi. Anche in una pandemia invece, è meglio non distinguere il Nazionale dal Popolare. Potrebbe essere che chi si sente il migliore, per una volta, sia anche il più gentile.