Anidride Story
MEDUSA è una newsletter bisettimanale che parla di Antropocene, dell’impronta dell’essere umano sulla Terra, di cambiamenti climatici e culturali. A chi si iscrive, ogni due mercoledì arriveranno un articolo inedito, delle brevi news e un po’ di dati per ragionare su questi temi. Una volta al mese un contenuto di MEDUSA viene ospitato anche su Not: può essere un estratto di un articolo già pubblicato sulla newsletter, una sua variazione, o un contenuto appositamente pensato per la rivista. Insomma, se ti interessa MEDUSA, la cosa migliore è iscriversi alla newsletter.
L’anidride carbonica venne «scoperta» nel 1754 dal fisico scozzese Joseph Black. Dieci anni più tardi un altro scozzese, James Watt, inventò un’efficiente macchina a vapore, inaugurando quella che oggi è chiamata era dell’industria – e che le generazioni future potrebbero battezzare era delle emissioni. Già alla fine del diciannovesimo secolo, le attività umane avevano innalzato la temperatura media della Terra di un decimo di grado Celsius. Oggi, il pianeta è più caldo di almeno un grado rispetto ai tempi di Black, e le conseguenze stanno diventando sempre più evidenti. «As the world warmed, it started to change, first gradually and then suddenly».
Nel suo ultimo pezzo pubblicato sul New Yorker, Elizabeth Kolbert cita uno dei passaggi più noti di Hemingway per descrivere l’inconsapevolezza con la quale abbiamo dato il via all’Antropocene e la fermezza con cui la natura ci sta mostrando il conto. Come Mike Campbell, uno dei personaggi di Fiesta, veterano di guerra e scozzese anche lui, ci siamo ritrovati invischiati con passo asincrono nelle conseguenze delle nostre stesse azioni – prima lentamente e poi tutto d’un colpo.
«Come sei finito in bancarotta?», domandò Bill.
«In due modi», disse Mike. «A poco a poco e poi all’improvviso».
Le cose importanti sono spesso le più difficili da vedere, soprattutto quando ci riguardano davvero da vicino. A poco a poco e poi all’improvviso, quando è stata la prima volta che abbiamo capito come le attività umane stessero cambiando il clima? Lo racconta la stessa Kolbert, in un capitolo di un suo libro di qualche anno fa, Cronache da una catastrofe.
Anni Venti del 1800: il fisico e matematico Joseph Fourier è il primo a suggerire che i gas dell’atmosfera sono capaci di trattenere il calore del Sole come i vetri di una serra.
I dati di assorbimento, relativi a decine di gas e vapori, emergono grazie al lavoro del fisico irlandese John Tyndall – siamo negli anni Sessanta del 1800.
Svante Arrhenius, fisico e chimico svedese, effettua i primi calcoli dell’effetto serra che tengono conto del rilascio di gas di origine antropica. È l’aprile del 1896.
I calcoli di Arrhenius sono rudimentali e goffi se confrontati ai modelli utilizzati oggi. E sono faticosi: tra 10.000 e 100.000 equazioni, buttate giù con carta e penna. «Uno dei lavori più noiosi della mia vita». Arrhenius si chiese che cosa sarebbe successo al clima della Terra se i livelli di CO2 fossero raddoppiati: determinò che le temperature globali medie sarebbero aumentate di 5 gradi, una stima più che dignitosa. Capì così, per primo, che cambiamento climatico e industrializzazione erano intimamente connessi e che il consumo di combustibili fossili avrebbe portato, col tempo, a un globale riscaldamento del pianeta.
I calcoli di Arrhenius sono stati fondamentali per le scienze climatiche. Parlare di «consapevolezza» per descrivere il suo lavoro, però, sarebbe un eccesso di generosità. Forse scosso dallo spirito positivista dell’epoca, Arrhenius si disse convinto che i cambiamenti climatici sarebbero stati lentissimi, non sarebbero apparsi prima di 3.000 anni, e che comunque sarebbero tutto sommato tornati utili ai nostri pronipoti, beati loro, che avrebbero goduto di «climi migliori e più uniformi, in particolare per quanto riguarda le regioni più fredde della Terra» e di «tempi in cui la Terra produrrà raccolti molto più abbondanti di oggi, a tutto vantaggio dell’umanità e della sua rapida propagazione».
Nel 1958, un giovane chimico statunitense, David Keeling, mise a punto un nuovo metodo di misurazione dell’anidride carbonica atmosferica. «Convinse l’US Weather Bureau a iniziare a usare la sua tecnica per controllare la CO2 nel nuovo osservatorio costruito a più di 3.000 metri sul livello del mare», racconta Kolbert, «sulle pendici del Mauna Loa, un vulcano nella Grande isola di Hawaii. Da allora queste misurazioni sono state effettuate in modo continuo nella stazione». Costituiscono quella che tutt’ora viene chiamata curva di Keeling, emblema della crescita inesorabile delle percentuali di C02 nell’aria.
Il primo anno in cui furono registrati i dati dell’anidride carbonica alle Hawaii, la media annuale era di 316 parti per milione.
L’anno seguente 317.
Nel 1970 era 325.
Dopo altri vent’anni era 354.
Nel 2005, 380.
Al momento dell’uscita di questo articolo, nell’aria danzano 406,30 ppm di CO2.
A poco a poco e poi all’improvviso.