I signori dei Mercati
Borsa, finanza e Terminator: per capire come gli algoritmi stanno cambiando la nostra economia pubblichiamo alcuni estratti da 6|5, il libro di Alexandre Laumonier appena uscito per la collana Not di NERO.
Il 23 marzo 2012, una compagnia di nome BATS Global Markets Inc. esordì in borsa sul mercato americano. La quotazione della società cominciò alle ore 11, 14 minuti, 18 secondi e 436 millisecondi, al prezzo di 15,25 dollari per azione. Alle ore 11, 14 minuti, 19 secondi e 336 millisecondi, ovvero 900 millisecondi più tardi, il valore del titolo non era che di 0,2848 dollari; 1 secondo e mezzo dopo l’inizio della quotazione, il suo valore era sceso a 0,0002 dollari. In 1 secondo e mezzo, il valore di mercato della compagnia passò da 91 milioni di dollari a quasi nulla. La quotazione fu quindi interrotta.
L’introduzione in borsa di questa compagnia – il cui motto era «Rendiamo migliori i mercati» – rappresentava un grande evento, tenuto d’occhio da tutti: creata nel 2005, BATS era proprietaria di due dei più importanti mercati americani, le piattaforme elettroniche BATS BZX e BATS BYX, senza contare Chi-X Europe, una piattaforma che da sola gestiva più di un quarto delle transazioni di borsa europee. La liberalizzazione dei mercati, decisa da una parte all’altra dell’Atlantico, permetteva a un mercato come BATS – il terzo al mondo per valore di titoli di scambio – di entrare in borsa non solo sui mercati storici e quindi avversari (Nasdaq e NYSE) ma anche sulla propria piattaforma. La situazione era insomma un po’ contorta: uno dei mercati più grandi, il cui nome stava per Better Alternative Trading System, non era riuscito a gestire l’esordio in borsa sulle sue stesse piattaforme.
L’insuccesso dell’introduzione in borsa di BATS fu quindi considerato sospetto. Non solo l’avvenimento aveva creato scompiglio, ma ebbe anche conseguenze negative per le altre società quotate sulle piattaforme di BATS. La SEC chiese spiegazioni e i dirigenti della compagnia provarono a giustificarsi: secondo loro si trattava di un «problema tecnico» – in questo genere di situazioni era meglio evitare di pronunciare la parola «bug», un termine volgare che avrebbe messo in discussione l’affidabilità delle macchine.
In realtà, il problema era alfabetico: dalle 10.45, mezz’ora dopo l’entrata in borsa di BATS, le quotazioni delle società il cui simbolo cominciava per A e B iniziarono a diventare imprevedibili sulle piattaforme BATS BZX e BATS BYX. Alle 10.48, BATS cominciò a indagare su questi malfunzionamenti. Alle 10.57, il titolo della compagnia con la più alta capitalizzazione azionaria al mondo, Apple Inc., crollò rapidamente di circa il 10% su BATS BZX e BATS BYX; la sua quotazione fu quindi sospesa per 5 minuti, fatto rarissimo. Essendo tutte le piattaforme concorrenti collegate in rete, i problemi rimbalzarono anche sugli altri mercati: il Nasdaq e il NYSE smisero di aggiornare le quotazioni provenienti da BATS. L’arcipelago dei mercati stava cominciando a sprofondare.
Poiché il simbolo di BATS cominciava con una B, il mercato che si introduceva in borsa sulle proprie piattaforme conobbe un vero e proprio tracollo: un «problema tecnico» aveva ostacolato la sua stessa quotazione. Questa perlomeno era la versione ufficiale fornita da BATS: in qualche centesimo di millisecondo, quasi 100 milioni di dollari erano svaniti nel nulla per colpa di un (non) bug.
Tuttavia iniziarono in fretta a circolare delle voci: l’assurdo crollo della quotazione di BATS non aveva nulla a che vedere coi problemi alfabetici. Gli sguardi iniziarono a volgersi verso un mercato concorrente, e un blog ben informato menzionò un algoritmo ostile che operava al millisecondo.
Nel 1795, grazie alla divisione del lavoro, il matematico Gaspard de Prony riuscì a calcolare 200 logaritmi al giorno con l’aiuto di un’équipe di un centinaio di persone: qualche matematico in cima, una manciata di algebristi appena sotto, e alcune decine di operai alla base della piramide. Senza questa organizzazione piramidale, i 200 logaritmi avrebbero richiesto 2100 collaboratori. Nel 1850, grazie alla meccanizzazione del lavoro dei calcolatori, la macchina di Babbage poteva calcolare 1000 logaritmi al giorno, l’equivalente del lavoro di 10.500 calcolatori umani. Un secolo dopo, un computer come l’ENIAC portava a termine il lavoro di quei 10.500 calcolatori in qualche secondo.
Nel 2013 a un computer sarebbero bastati soltanto pochi nanosecondi per calcolare le migliaia di logaritmi che gli avrebbero permesso (in qualche microsecondo) di prendere la decisione di acquistare o vendere un titolo su una delle tredici piattaforme americane, dove un microchip ottimizzato per il trading ad alta frequenza avrebbe eseguito l’ordine in 740 nanosecondi. L’operazione avrebbe richiesto dieci volte meno tempo di quello necessario a un essere umano per sbattere le palpebre.
Il problema si verifica quando le macchine lottano tra loro a una velocità tale che un essere umano non può più controllare nulla: i mercati allora diventano indomabili. Da qui il soprannome che gli esperti di trading ad alta frequenza danno ormai all’arcipelago mondiale delle piattaforme elettroniche: Skynet, la rete informatica che si rivolta contro i suoi creatori umani nella serie di film Terminator.
BATS era evidentemente rimasto vittima di un attacco algoritmico radicale, il cui obiettivo era ridurre a zero la sua capitalizzazione azionaria. A un essere umano servono 350 millisecondi per sbattere le palpebre, e in soli quattro battiti di ciglia erano svaniti 91 milioni di dollari. Non si saprà mai l’identità di coloro che aprirono il fuoco, millisecondo per millisecondo. Questa vicenda confermò tuttavia che i mercati erano ormai diventati un campo di battaglia e che il vincitore sarebbe stato colui che possedeva l’algoritmo più rapido ed efficace.
«È guerra aperta su Skynet», si poteva leggere sulla stampa specializzata dopo quell’evento esplosivo, ma si sbagliavano ancora. Mentre una guerra è un conflitto dichiarato tra due forze maggiori dove i combattimenti avvengono principalmente su un fronte ben identificato, il teatro delle operazioni che sono diventati i mercati telematici è in realtà un terreno che si presta a un altro tipo di conflitto, molto più malsano e distruttivo: la guerriglia.
La rapidità delle analisi e delle decisioni non è più temporalmente tangibile per gli umani: non solo non possono calcolare alla stessa velocità delle macchine, ma soprattutto sono incapaci di osservare in tempo reale ciò che fanno gli algoritmi.
Che definizione dare del trading ad alta frequenza? «Il termine è relativamente nuovo e non ancora ben definito», rispose la SEC nel gennaio del 2010 in un rapporto intitolato Concept Release on Equity Market Structure. In verità, le autorità pubbliche incaricate di regolamentare i mercati finanziari hanno talmente poca idea di ciò che si cela all’interno di questa rete di macchine così complessa, che il semplice fatto di metterla sotto sorveglianza è praticamente impossibile. L’espressione «è solitamente utilizzata per riferirsi a trader professionali che si impegnano in un gran numero di operazioni su base giornaliera», tentò la SEC. «Altre caratteristiche attribuite spesso alle transazioni ad alta frequenza sono: l’utilizzo di programmi informatici straordinariamente rapidi e sofisticati per la creazione, il routing e l’esecuzione degli ordini; tempi molto brevi per stabilire e liquidare le posizioni». In pratica, le macchine organizzano l’esecuzione di strategie di negoziazione elettronica che implicano una rotazione estremamente rapida dei capitali grazie a programmi che analizzano le quotazioni per individuare e poi sfruttare le opportunità di transazione in qualche milionesimo di secondo. Contrariamente a quelli che investono a lungo termine, i trader ad alta frequenza liquidano le loro posizioni alla chiusura dei mercati: il cosiddetto day trading. I margini di prodotto e le perdite sono minime: in media 0,1 centesimi. Questo spiega il volume mostruoso di quotazioni, di ordini annullati e di transazioni che avvengono quotidianamente: solo il New York Stock Exchange vede scorrere 22 miliardi di quotazioni ogni giorno. I margini esigui spiegano anche l’importanza della velocità e di quello che gli specialisti chiamano «tempo di latenza».
Un trader ad alta frequenza è un robot, una combinazione di codice informatico e microchip il cui compito è osservare e decidere. Grazie a centinaia di algoritmi, ogni macchina cerca di andare più veloce di tutte le altre per cogliere un’opportunità che potrebbe sfuggire agli avversari a causa della loro disattenzione o lentezza. Ogni millisecondo conta: «Tre millisecondi di tempo informatico rappresentano un’ora di tempo umano», afferma uno specialista.
Il trader ad alta frequenza deve quindi ottenere ed elaborare le informazioni prima degli altri: si spiegano così le decine di migliaia di server necessari per immagazzinare i miliardi di dati finanziari prodotti ogni giorno sulle piattaforme elettroniche. Ma tra il 1792 in cui fu fondata la Borsa di New York e oggi non c’è stato alcun cambiamento sostanziale. I ventiquattro borghesi che fondarono il New York Stock Exchange non avevano che un obiettivo: acquistare un titolo al prezzo più basso, rivenderlo al più alto e mettersi in tasca il margine realizzato tra le due operazioni. Oggi è lo stesso, solo che la rapidità delle analisi e delle decisioni non è più temporalmente tangibile per gli umani: non solo non possono calcolare alla stessa velocità delle macchine, ma soprattutto sono incapaci di osservare in tempo reale ciò che fanno gli algoritmi che hanno programmato per osservare il mercato al loro posto.
Nel trading ad alta frequenza, come nel corso di una partita a scacchi, tutto riposa su una strategia di gioco accompagnata da un’osservazione costante dei movimenti dell’avversario, salvo che nei mercati finanziari l’avversario ha mille volti: gli algoritmi di Goldman Sachs si ritrovano di fronte quelli di Morgan Stanley, e gli uni e gli altri devono affrontare quelli di Crédit Suisse, di Getco, di Knight Capital, di Citibank e via di seguito. In questa immensa rete di sistemi di negoziazione elettronica, i nemici sono ovunque; da qui il nome di uno degli algoritmi più celebri: Guerrilla.
Il 3 settembre 2012, Crédit Suisse First Boston, una delle più grandi banche d’investimento al mondo, tra le principali concorrenti di Goldman Sachs, annunciò il lancio di Guerrilla sui mercati asiatici. «Guerrilla è da tempo una delle strategie di negoziazione più popolari negli Stati Uniti e in Europa. È un algoritmo flessibile e sufficientemente intuitivo per adattarsi in tempo reale allo stato del mercato», commentò in quell’occasione un direttore esecutivo di Advanced Execution Services (AES), il braccio armato elettronico di Crédit Suisse.
Unanimamente riconosciuta come uno dei migliori fornitori di algoritmi finanziari di alto livello, AES venne creata nel 2001 da Daniel Mathisson, un esponente di primo piano del trading ad alta frequenza. Dieci anni più tardi AES era attiva in 40 paesi e gestiva da sola più del 14% delle transazioni degli Stati Uniti – oltre un miliardo di transazioni al giorno. Nel 2008, quando la crisi dei subprime fece andare in rosso i conti della maggior parte delle banche mondiali, AES fruttò a Crédit Suisse più di 800 milioni di dollari, un successo in gran parte merito di Guerrilla.
Il compito di Guerrilla è acquistare e vendere titoli con destrezza e rapidità, evitando che le sue attività siano individuate dagli algoritmi avversari: bisogna avanzare di nascosto. Un documento di Crédit Suisse che confronta diverse strategie algoritmiche, dimostra ai clienti della banca che «gli algoritmi hanno diversi livelli di aggressività», che questa aggressività è uno degli elementi più importanti per rendere l’algoritmo efficace e che, ovviamente, «gli ordini eseguiti da Guerrilla sono di solito molto più aggressivi» di quelli della concorrenza.
Oltre a Guerrilla, AES ha supervisionato anche la creazione di un altro algoritmo: Blast. Secondo Advance Trading, una delle riviste specializzate nel trading ad alta frequenza, Blast sarebbe l’algoritmo più aggressivo di Crédit Suisse, ancora più di Guerrilla. È stato progettato per eseguire volumi considerevoli di ordini passati da investitori istituzionali come i fondi pensione, distribuendoli simultaneamente su diverse piattaforme elettroniche, in modo tale che gli algoritmi avversari non possano reagire per tempo alla disseminazione di ordini. Blast seziona questi ordini voluminosi in segmenti quasi invisibili, utilizzando strategie diversificate per dissimulare le sue tracce e imbrogliare le carte.
In passato, l’intermediario chiave delle transazioni, colui che forniva la liquidità, era solitamente un essere umano. Oggi questo modello è stato completamente soppiantato dai trader ad alta frequenza.
«Blast non è fatto per essere utilizzato in modo costante», spiega Daniel Mathisson, «perché se lo fate c’è la possibilità che venga individuato dagli altri. Blast non dà tempo per cambiare posizione. Abbiamo un algoritmo che rende i mercati più efficaci», aggiunge. Eppure anche Mathisson nel 2011 riconoscerà che i mercati erano diventati piuttosto instabili e pericolosi: «Dobbiamo fare qualcosa», dichiarò durante un’udienza alla SEC, quando gli oppositori del trading ad alta frequenza gli risposero che forse, per evitare quella situazione, avrebbe dovuto essere un po’ meno aggressivo in passato. Ma in attesa che qualcuno faccia «qualcosa», Guerrilla e Blast devono affrontare degli avversari altrettanto aggressivi, ognuno a modo suo.
C’è Sniffer, un algoritmo che passa il tempo a individuare la presenza di altri algoritmi. Quando Sniffer ha rilevato un avversario valido, cerca di comprenderne la strategia, poi gioca contro di lui o lo imita, nella speranza di destabilizzarlo a tal punto da poterne ricavare qualche guadagno. Una delle tattiche di Sniffer è quella di fare da esca: «A volte Sniffer invia ordini in piccole quantità e aspetta di vedere se arriva qualcuno che si mostra interessato», rivela un analista, e se il nemico abbocca all’amo allora Sniffer non lascia la preda fino a che non riesce a sfruttare una falla nell’avversario.
C’è Stealth, un algoritmo elaborato da Deutsche Bank, di cui fu lanciato sul mercato un aggiornamento nel 2011. Due mesi prima uno studio annuale indipendente basato sull’analisi di 7500 miliardi di transazioni in 70 paesi differenti aveva mostrato che la prima banca tedesca aveva superato Goldman Sachs nella classi ca degli operatori di mercato ottenendo i prezzi migliori per i suoi investitori. High Frequency Trading Review in quell’occasione fece un’intervista all’allora responsabile del trading elettronico della banca, Jose Marques, il quale si dà il caso fosse l’ex vice di Dan Mathisson a Crédit Suisse. Nell’intervista, Marques spiega che «l’obiettivo della nuova versione è lo stesso della precedente: è un algoritmo opportunista che ricerca la liquidità al minor costo ed è concepito per gli ordini passati da investitori istituzionali» come i fondi pensione.
La liquidità è il sacro Graal dei market makers e dei trader ultrarapidi: la capacità di un titolo d’essere scambiato il più velocemente possibile spiega come un buon numero di algoritmi di trading siano concepiti per fiutare i valori che offrono maggiore liquidità (un esercizio non così semplice), perché più un valore è liquido, più permette delle transazioni rapide e al minor costo. «In passato, l’intermediario chiave delle transazioni, colui che forniva la liquidità, era solitamente un essere umano», continua Marques. «Oggi questo modello è stato completamente soppiantato dai trader ad alta frequenza. Gli umani hanno un modo molto particolare di gestire la complessità: prendono un problema complicato, lo suddividono in un piccolo numero di variabili e poi cercano delle relazioni forti tra queste variabili. Le macchine hanno tutto un altro approccio. Prendono aree complesse, le suddividono in molteplici variabili e poi tra queste variabili cercano connessioni molto semplici. La ragione per cui agiscono così è che sono in grado di realizzare i calcoli necessari in modo molto più rapido rispetto agli umani».
C’è Iceberg, un algoritmo che fraziona un grande volume di ordini in piccole porzioni, così che l’interezza del volume iniziale sfugga al naso dei segugi. Interactive Brokers, la società del miliardario Thomas Peterffy, propone sul suo sito internet un video illuminante sui cosiddetti ordini «nascosti»: le piccole quantità di ordini compaiono sulle piattaforme elettroniche come parte sommersa dell’iceberg, poi questo si scioglie gradualmente mano a mano che il volume iniziale viene rilasciato in parti più piccole.
C’è Shark, il cui compito consiste nell’individuare gli ordini che vengono passati in piccole quantità mascherando così un volume ben più importante. Shark tenta quindi di localizzare Iceberg in modo da poter anticipare gli ordini che sono ancora nascosti nell’oceano, prima che Iceberg li dissolva completamente. Iceberg prova a farsi invisibile all’avversario, ma rischia sempre di essere scoperto.
C’è Dagger, un algoritmo elaborato da Citibank, la cui versione ottimizzata è stata lanciata nel settembre del 2012. Come Stealth, di cui è un concorrente, Dagger va alla ricerca dei valori più liquidi, tranne che per un dettaglio: «Molti algoritmi specializzati nella ricerca di liquidità non considerano l’impatto delle proprie attività sui mercati», spiega il responsabile della divisione Algorithmic Products della banca; «è un problema sempre più ricorrente, e Dagger è stato concepito appositamente per evitarlo».
C’è Sumo, un algoritmo di Knight Capital, un operatore di mercato all’avanguardia nel trading ad alta frequenza, che da solo scambia più di 20 miliardi di dollari di liquidità al giorno. Sumo è specializzato nella negoziazione di volumi d’ordini «floridi»: piuttosto che ripartire gli ordini su diverse piattaforme come farebbe Guerrilla – con lo svantaggio di rendere visibili le sue attività e quindi aumentare il rischio di farsi attaccare dagli squali –, Sumo va dritto al punto e cerca, su una sola piattaforma, un algoritmo in cerca di liquidità pronto ad abboccare.
C’è anche Oasis – un collega di Sumo, ma più magro.
E Sonar.
Sonar Dark.
Razor.
Scouter.
Tex.
Float.
Aqua.
Ninja.
Ladder.
Arid.
Cross Finder Plus.
Night Vision.
Night Owl.
Pathfinder.
Cobra.
Ambush.
Nighthawk.
E molti altri, che si spiano a vicenda.
Vista la complessità con cui circolano gli ordini all’interno della rete dei sistemi di negoziazione, è spesso impossibile sapere da dove vengano questi dispettosi algoritmi che di tanto in tanto destabilizzano i mercati.
Ci sono anche algoritmi senza nome né volto, come quello che distrusse meticolosamente la capitalizzazione di BATS Global Markets in un secondo e mezzo. Vista la complessità con cui circolano gli ordini all’interno della rete dei sistemi di negoziazione, è spesso impossibile sapere da dove vengano questi dispettosi algoritmi che di tanto in tanto destabilizzano i mercati.
C’è questo strano algoritmo che, il 30 novembre 2009, poi il 30 novembre 2010, poi il 30 novembre 2011 e infine il 30 novembre 2012 apparve sulla piattaforma del Nasdaq, in modo sistematico, qualche minuto prima della chiusura del mercato – probabilmente uno di quei programmi concepiti per lavorare qualche millisecondo prima che chiudano i mercati nella speranza che i concorrenti non possano più reagire per tempo.
C’è poi un algoritmo piuttosto astuto che il 18 luglio 2012 acquistò 14.214 azioni di Alliance Holdings – la società madre di una compagnia specializzata nell’estrazione di carbone – quando il titolo era al prezzo più alto, per poi rivendere 14.203 azioni una volta che il titolo era sceso al prezzo più basso, il tutto in qualche secondo e su otto piattaforme differenti. Dato che gli algoritmi non sono concepiti per perdere denaro, ci sono buone ragioni per pensare che quest’operazione sia stata deliberata: giocando rapidamente sulla volatilità delle azioni, l’algoritmo ha probabilmente permesso a un complice di guadagnare qualche centesimo giocando su un titolo associato, più o meno lontanamente, ad Alliance Holdings, una pratica comune nelle negoziazioni di borsa relative alle materie prime. Lo stesso algoritmo si era già scatenato il 2 maggio 2012 giocando a perdere su più di 34 quotazioni in 54 secondi, il che suggerisce che probabilmente il suo complice doveva trarre profitto altrove compensando quelle perdite.
C’è un algoritmo molto oscuro che il primo ottobre 2012 ha piazzato un numero di ordini così voluminoso che da solo fu responsabile di più del 4% delle quotazioni del giorno sulle piattaforme americane, giocando su oltre 500 titoli differenti. Era un algoritmo di puro delirio. Si attivò solo al Nasdaq, iniettando ordini ogni 25 millisecondi, in tranche di 200, 400, 1000 quotazioni, ecc., prima di annullarle tutte. L’algoritmo non realizzò alcuna transazione, ma il volume delle quotazioni fu talmente colossale che assorbì più del 10% della banda dei cavi destinati alle operazioni di trading – pura follia.
Questo, in verità, faceva parte della strategia globale pensata dagli umani che avevano concepito il bellicoso algoritmo: monopolizzando la banda, l’algoritmo rallentava la rete e dunque i suoi avversari. Bel colpo.