App + Ormoni

Dal portapillole-panopticon agli smartphone che controllano il ciclo mestruale: a che punto è l’autosorveglianza del corpo delle donne?

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Produttività, gestione del tempo ed efficienza sono molto più di semplici ideali o strategie capaci di mettere in relazione la nostra vita lavorativa con l’economia capitalista. Da quando negli anni Cinquanta sono stati inventati gli ormoni sintetici, i prodotti farmaceutici hanno permesso di applicare al corpo, attraverso la gestione ormonale, l’ideale ormai universale di produttività. Mi permetto di sottolineare come il «tempo ormonale» – ad esempio: cicli mestruali, sbalzi d’umore, livelli energetici, capacità riproduttiva, processi di invecchiamento – si comporti come un nuovo strumento biopolitico per gestire la produttività delle popolazioni, principalmente attraverso la pianificazione e la sorveglianza.

L’espressione «corpo che lavora» descrive il corpo nella sua duplice funzione: lavorare per guadagnare e consumare beni, oltre che a produrre la prossima generazione di lavoratori. Sebbene sia i corpi maschili che quelli femminili debbano essere considerati biologicamente «riproduttivi», culturalmente i ruoli della riproduzione biologica e della cura della prole sono stati assegnati alle donne, e questo vale sia nelle società occidentali che in molte altre. L’attenzione medica, politica, culturale e aziendale riguardo alla gestione della riproduzione si è concentrata principalmente sulle donne, riflettendo e simultaneamente generando questa realtà.

Le nuove biotecnologie, compresi gli ormoni sintetici, non si limitano a «liberare» le donne dai vincoli biologici legati all’avere un figlio (il famoso orologio biologico o la necessità di un rapporto eterosessuale). Al contrario, lo sviluppo e l’applicazione di tali tecnologie enfatizzano il ruolo riproduttivo delle donne. Come spiega Nelly Oudshoorn, teorica della salute e della tecnologia, «con l’introduzione del concetto di ormoni sessuali, gli scienziati hanno esplicitamente collegato le funzioni riproduttive delle donne con la pratica di laboratorio». Inoltre, terapie ormonali sempre più comuni, tra cui la «fecondazione in vitro, la terapia ormonale sostitutiva […] la pillola contraccettiva, oltre alla vasta gamma di contraccettivi per le donne, hanno messo in evidenza il distinto ruolo riproduttivo delle donne e quindi designato il corpo femminile come un sito naturale di intervento».

Come teorizzato da Michel Foucault, il regime della biopolitica ha come scopo quello di amministrare, ottimizzare e moltiplicare la vita e tutti i suoi processi. Esso descrive la forma di gestione alla radice della governamentalità moderna. Le pratiche governative di pianificazione, o biopotere, sono dirette verso il corpo individuale, che contiene «la meccanica della vita» ed è «alla base dei processi biologici: propagazione, nascita e mortalità, livello di salute, aspettativa di vita e longevità, e tutte le condizioni in grado di modificare tali processi. La supervisione [dei corpi] è stata effettuata attraverso una serie di interventi e di controlli normativi: una biopolitica della popolazione ». Nel nostro caso la biopolitica offre un quadro critico per analizzare le strutture di potere e le tecnologie che agiscono sul corpo riproduttivo, in ultima analisi per ottimizzare e garantire la sua (doppia) produttività nell’economia attuale.

Portapillole panopticon

Attraverso l’analisi di Foucault del Panopticon di Jeremy Bentham – un modello di prigione di stampo illuminista, applicabile anche a strutture ospedaliere – Paul B. Preciado ha recentemente sviluppato il concetto di biopotere in un contesto transfemminista. Nel suo Testo Tossico: Sesso, droghe e biopolitiche nell’era Farmacopornografica, Preciado confronta la forma fisica dell’architettura carceraria di Bentham con il meccanismo legato all’autoregolazione (self-control) che negli anni Sessanta entrò fra le mura domestiche con il nuovo packaging della pillola contraccettiva.

All’epoca, il portapillole anticoncezionali della DialPak era «il farmaco più facilmente riconoscibile sul mercato». Preciado porta l’attenzione sulle sorprendenti somiglianze tra il design circolare del portapillole e l’architettura disciplinare del Panopticon, entrambi «dispositivi performativi» che «automatizzano il movimento, controllano lo sguardo, programmano l’azione e ritualizzano le pratiche corporee quotidiane». Essendo diffuso e molecolare, il controllo farmaceutico è molto più difficile da individuare rispetto a quello esercitato dalle gerarchie governative del Panopticon di Bentham. Tuttavia, Preciado giunge all’affascinante (e inquietante) conclusione che dovremmo considerare la pillola contraccettiva come «un personale panopticon chimico: leggero e portatile, in grado di cambiare il comportamento, programmare un’azione, regolare l’attività sessuale, controllare la crescita della popolazione e la purezza razziale, e ridisegnare l’aspetto sessuale (nel ri-effeminarlo sinteticamente) del corpo che la assume».

Nell’analizzare la forma e la funzione del DialPak, Preciado spiega come il rapporto fra individuo e potere sia più complesso rispetto al binomio dominazione e oppressione. Un numero sempre maggiore di donne scelgono di assumere prodotti ormonali, e nonostante siano a conoscenza dei loro effetti collaterali, accettano anni di depressione e ansia, libido ridotta, e l’aumento del rischio di cancro. Questa forma di controllo delle nascite e di gestione della femminilità è diventata una norma assoluta per le donne a partire dagli anni Sessanta: «E tutto ciò avviene liberamente, in virtù dell’emancipazione sessuale del corpo controllato». Per Foucault, il biopotere non è antitetico al potere disciplinare ma simultaneo. Se per Foucault il Panopticon rappresenta il primo caso di studio su come il potere disciplinare agisce sul corpo, allora l’analisi del DialPak di Preciado rivela quanto la stessa logica disciplinare persista tutt’oggi – in maniera più discreta, privatizzata, individualizzata e compatta –  nell’era del biopotere.

Ancora più dematerializzati sono gli onnipresenti software che oggi registrano le funzioni corporee. Le applicazioni per il ciclo mestruale e l’ovulazione come Clue – oltre all’assunzione di ormoni farmaceutici tramite pillola contraccettiva, impianti, iniezioni o dispositivi intrauterini – contribuiscono ulteriormente all’autogestione del comportamento e delle funzioni corporee. Pertanto, gli odierni strumenti digitali come Fitbit, l’applicazione iPhone Health, ecc., continuano l’eredità di autoregolamentazione lasciata dal Panopticon e dal DialPak. In sostanza, se il biopotere produce il soggetto, allora la combinazione che chiamerò «App+ormoni», produce la femminilità contemporanea.

L’applicazione per smartphone per il ciclo mestruale Clue  – sviluppata dalla start-up berlinese BioWink nel 2013 – registra dati e previsioni su funzioni corporee, stati d’animo e fertilità, esattamente come tante altre applicazioni simili. Queste app possono essere interpretate come versioni digitali del portapillole portatile con calendario circolare integrato. Esattamente come per l’architettura del Panopticon e il design del DialPak, l’App+ormoni può essere utilizzata per spazializzare il tempo e controllare il comportamento. Nell’era del «sé quantificato» registriamo e tracciamo volontariamente i dati riguardanti la nostra attività corporea (frequenza cardiaca, passi da percorrere, ritmi del sonno, apporto calorico), sotto forma di infografiche ad uso personale, in grado di autodisciplinarci. Questo tipo di «lifelogging» si basa sulla cooperazione degli utenti fra autoregolazione (self-control) e autosorveglianza, come nel caso del DialPak, con la differenza che i dati corporei digitalizzati vengono sfruttati a scopo di lucro dalle aziende che li raccolgono e di cui, successivamente, diventano proprietarie. L’autosorveglianza alimenta quindi la sorveglianza aziendale, producendo una nuova forma di biopotere.

Sebbene la società contemporanea sia – ora più che mai – attenta al controllo assoluto della riproduzione, l’idea della «massima fertilità» persiste come essenza della femminilità.

Il Panopticon è stato originariamente progettato come un’architettura industriale per monitorare e controllare il processo di lavoro in una fabbrica, come una sorta di «ispettorato» sviluppato secondo il principio della produttività piuttosto che dell’internamento forzato, con l’obiettivo di sorvegliare i corpi al lavoro. Questa massima produttività alla base della spazializzazione, sincronizzazione e disciplina del corpo al lavoro è altrettanto fondamentale per il contemporaneo strumento biopolitico App+ormoni.

L’orologio è fondamentale per la gestione del lavoro postindustriale: il giorno lavorativo, il turno, il lavoro notturno, gli straordinari. Allo stesso modo, la pillola contraccettiva segue una routine coreografata da blister mensili, assunzione giornaliera, promemoria, allarmi, e dal pericolo di perdere il controllo sul proprio corpo nel dimenticare, nel perdere la cognizione del tempo o nel non seguire il ritmo (la pillola contraccettiva va assunta per via orale, ogni giorno, alla stessa ora. Alcune delle prime confezioni includevano una sveglia incorporata onde evitare di dimenticare l’assunzione). Il design del DialPak, ricorda Preciado, evoca la rappresentazione del tempo tipica di un orologio analogico, nel dispensare il farmaco secondo un «calendario chimico». La App+ormoni ottimizza l’organizzazione ormotemporale nel gestire il lavoro e aumentare la produttività al di fuori della sfera domestica. Nonostante l’integrazione di App+ormoni all’interno della new economy, il suo focus rimane strettamente vincolato al genere.

Nella società occidentale contemporanea è sempre più importante per le donne che lavorano gestire perfettamente il proprio corpo in ogni momento, in modo da raggiungere una sorta di emancipazione dove le funzioni corporee cicliche non interferiscano mai con gli orari precari di lavoro: facendo saltare il ciclo mestruale per non avere interferenze con la scadenza di un progetto o di un viaggio d’affari, gestendo il carico di lavoro e programmando la vita sociale in base alle variazioni d’umore ormonali, regolando il consumo di carne rossa (per colmare la perdita di ferro a seguito delle mestruazioni), pianificando il concepimento con mesi o anni di anticipo per minimizzare le ricadute di un bambino sulla carriera, facendo coincidere l’ovulazione con la prossima vacanza, e così via. Questo sofisticato sistema di autogestione perenne è intimamente privato e, allo stesso tempo, universale. Per dirla con Focuault, la necessità legata al genere di doversi autogestire attraverso protesi tecnologiche è sintomatica di come, in quanto «fattore indispensabile per lo sviluppo del capitalismo», il biopotere abbia reso possibile «l’inserimento controllato dei corpi nel sistema di produzione».

Sebbene la società contemporanea sia – ora più che mai – attenta al controllo assoluto della riproduzione, l’idea della «massima fertilità» persiste come essenza della femminilità. In Future Sex, Emily Witt scrive che sebbene «il controllo delle nascite sia l’impostazione predefinita» per la maggior parte della vita adulta nel Nord del mondo, è «il breve periodo in cui le donne inseguono la massima fertilità del loro corpo che viene spesso percepito come il loro stato “naturale”». Il corpo riproduttivo (come macchina) in un contesto tardo capitalista, o techno-Barbie (per Preciado) «resta eternamente giovane e super-sessualizzato, quasi interamente sterile e privo di ciclo mestruale ma sempre pronto per l’inseminazione artificiale». La salute della giovinezza e la conseguente capacità di essere costantemente (ri)produttive sono considerate la norma per le donne di tutte le età.

Clue, l’app per monitorare fertilità e ciclo mestruale

A questo ideale femminile segue la fase della vita post-riproduttiva. Come sottolinea l’antropologa Margaret Lock, la maggior parte della letteratura medica sulle donne di mezza età in Europa e Nord America «parla della fine delle mestruazioni come di un momento di perdita, di fallimento e decrepitezza». Dalla metà del XX secolo, la menopausa è stata anche «concettualizzata come vera e propria patologia» – un’era della vita che richiedeva una gestione quasi costante e un regolare carburante ormonale. Se sia i decenni fertili che quelli infertili delle donne sono gestiti a livello ormonale, allora  il corpo femminile prepuberale è l’unico non medicalizzato o preso di mira dall’industria farmaceutica ormonale. Lock fornisce una analisi importante riguardo alla gestione ormonale della menopausa: «I governi hanno indirettamente sostenuto la [sua] medicalizzazione poiché preoccupati per la “responsabilità” economica dell’invecchiamento della popolazione femminile». Avendo perso il proprio valore riproduttivo, la donna che invecchia deve essere sostenuta ormonalmente per garantire che rimanga almeno produttiva sul lavoro durante tutti i processi (più o meno naturali) che il suo corpo può subire.

Per garantire che lo sfruttamento economico e la funzione riproduttiva delle donne non entrino in conflitto, oggi le imprese sono alla ricerca di nuovi progressi nelle biotecnologie. Dal 2014, ad esempio, il congelamento delle uova è stato offerto come beneficio aziendale alle dipendenti di due dei marchi più grandi al mondo, Apple e Facebook. Apple sostiene di «avere a cuore i propri dipendenti e le loro famiglie e di essere sempre alla ricerca di nuovi programmi sanitari in grado di soddisfare le loro esigenze». Considerando le decine di migliaia di dipendenti di ciascun gigante della tecnologia, questi «programmi sanitari» si svolgono su scala biopolitica. Senza dubbio, il sostegno al congelamento delle uova incentiva le lavoratrici a ritardare la riproduzione e a dirigere la loro produttività verso il profitto dell’azienda.

Naturalmente, il beneficio del congelamento delle uova, un intervento biotecnologico piuttosto lussuoso, fa leva sul timore delle dipendenti che desiderano riprodursi facendo loro credere che il proprio corpo già non abbia abbastanza tempo. Ma forse non dovremmo quantificare il tempo in quei termini, che sono al di fuori del controllo umano. Ciò che è più chiaramente quantificabile è il lavoro, il calendario in base al quale lavoriamo, la nostra produttività sul posto di lavoro e il valore che creiamo. In definitiva, la questione dell’«avere» tempo riguarda la strumentalizzazione del tempo di vita umano a favore del plusvalore, risultato finale della crescente manipolazione – e del fondamentale disprezzo – per il tempo biologico.

Questo breve confronto di App+ormoni con l’analisi di Preciado di DialPak e la lettura del Panopticon di Foucault rivela come, oggi, la donna si autogestisca biotecnologicamente per garantire la propria doppia produttività di operaia e di riproduttrice (sociale), rappresentando una nuova forma di controllo biopolitico. Ciò che è in gioco, tuttavia, non è un’idea essenzialista del corpo come «naturale», ma piuttosto come la produttività e la maggiore efficienza siano raggiunte attraverso il trasferimento della logica capitalista della gestione del tempo sulla gestione del corpo ormonale. Questo fa sorgere una domanda: sarà possibile resistere all’aspettativa di funzionare come un corpo/macchina completamente autogestito, altamente efficiente, nel contesto tardo capitalista?