Aphex prima di Aphex

Direttamente dal 1993, un nastro dimenticato che ci riporta alle origini di Richard D. James

Riprende oggi Forgotten Tapes, la serie podcast di Giorgio Valletta prodotta e curata da Radio Raheem realizzata con vecchie interviste registrate su cassette che risalgono alla fine degli anni Ottanta e all’inizio dei Novanta: interviste – alcune fatte per la rivista mensile Rumore, altre per Radio Flash di Torino – che ritraggono artisti fondamentali in momenti altrettanto fondamentali, musicisti che avrebbero fatto la storia di quegli anni e non solo, colti e intervistati poco prima della loro esplosione sulla scena musicale mondiale. Protagonisti della nuova stagione saranno tra gli altri Massive Attack, Radiohead e Chemical Brothers. Qui invece riprendiamo lo speciale su Aphex Twin uscito come primo episodio della serie, ringraziando Radio Raheem per la disponibilità.

L’appuntamento telefonico è per il 17 agosto del 1993. In quei giorni mi trovavo a Londra a casa di amici, ero in vacanza ma avevo preso anche qualche piccolo impegno di lavoro. Facevo il giornalista musicale da qualche anno ormai, ma l’occasione era di quelle particolarmente emozionanti. Mi avevano dato un numero fisso da chiamare e il mio fedele walkman era appoggiato vicino al telefono, pronto a “ricordarsi tutto”. Di lì a poco avrei parlato con Richard D. James, ovvero Aphex Twin. 

Nel 1993 non esisteva la posta elettronica, e il cellulare era cosa per pochi. Figuriamoci internet! L’unico modo per intervistare artisti fisicamente irraggiungibili era ovviamente il telefono. Stavo per comporre il numero di casa di Aphex Twin. Un’intervista su appuntamento combinato dalla Warp Records: ancora oggi mi chiedo se all’epoca sapevano di aver appena messo sotto contratto un genio.

Oggi siamo abituati a considerarlo come uno dei musicisti elettronici più influenti di tutti i tempi, ma in quel momento Aphex Twin era un artista emergente, che stava trovando un suo pubblico, nonostante il desiderio di sperimentare e provocare.

Era uscito da pochissimo l’album Surfing On Sine Waves, a nome Polygon Window, uno dei mille alias di Richard D. James, il primo di molti per l’etichetta. 

Relativamente fresco di stampa era anche Selected Ambient Works 85-92, prima raccolta di suoi brani e disco che ridisegnava il concetto di “musica ambient”. Un album che partiva da presupposti sonori che avevano molto a che fare con la cultura rave, il suono acid, l’estetica techno. Il consenso fu unanime e infatti questo album oggi è considerato il primo imprescindibile capitolo di una discografia che avrebbe cambiato il corso del suono elettronico degli ultimi trent’anni. 

Ma torniamo a quel 17 agosto del ’93. Mi trovavo a Londra, ed il giorno dopo Richard D. James avrebbe compiuto 22 anni. Pochi giorni prima l’avevo visto all’opera in consolle al The Garage, un piccolo club che aveva aperto da poco a Highbury, dedito soprattutto a una programmazione di indie band. In quell’occasione era stato urticante ed estraneo al classico concetto di “dj set”. Aveva persino usato il “famigerato disco di carta vetrata” facendolo girare sotto la puntina a tutto volume, con intenzioni provocatorie ed effetti rumoristici che vi lascio immaginare. 

Lui non sembrava molto contento di quella serata ed era molto stupito che io avessi trovato quel posto:Come ci sei finito in quel posto tremendo? Mi chiedevo perché The Garage fosse un posto così terribile. Credo di aver suonato solo un paio di dischi prima di andarmene a casa, è molto triste. È il posto peggiore in cui sia mai stato. Il pubblico, il suono, tutto era terribile. Il fonico è venuto più volte da me, batteva continuamente la testa e mi faceva saltare la puntina sul piatto! Sarà successo sei volte, e non se ne rendeva conto. A un certo punto mi ha dato la colpa e mi ha detto di smetterla, e lì abbiamo davvero avuto da dire e me ne sono andato a casa”. 

Aphex Twin non sembrava il tipo che esce molto di casa, ma non era neanche un recluso: i suoi DJ set non erano così rari e nell’estate del ’93 aveva addirittura partecipato ad alcune date del Megadog Midi Circus Tour, che era passato da Brighton, Belfast, Nottingham e dalla Brixton Academy di Londra. 

Megadog era una club-night pionieristica che univa diverse tribù della musica elettronica di quell’epoca: techno, proto-trance, dub, jungle. Accanto alla musica, c’erano esibizioni di artisti circensi, light show psichedelici e bizzarre proiezioni video. Proprio partendo da questi show, Richard mi ha raccontato la sua filosofia sull’esibirsi dal vivo: “Mi è piaciuto molto, mi è parso che fosse davvero una bella situazione, alcune cose non erano le mie preferite ma c’era una bella atmosfera ogni giorno. Posso solo dire che me la sono goduta. Ho suonato dal vivo in tutte quelle date. Al momento per il 99% delle volte siamo io e un ballerino, lui ha anche disegnato il mio logo e i caratteri tipografici che uso, e gli piace esibirsi insieme a me a volte. Non mi piacciono molto i visual di certe band techno, quel che fanno è pacchiano e a buon mercato, anche se poi costa tantissimo. Sto cercando l’appoggio di qualche azienda perché ho delle idee su come vorrei fare il mio show, per renderlo più interessante. Se fossi uno che vuole andare a vedere Aphex Twin, sarei lì per sentire la musica e non me ne fregherebbe un cazzo se succede altro. Ma molte persone vogliono di più e quindi sono felice di lavorarci un po’ di più”. 

È strano sentire uno degli artisti notoriamente più schivi e concentrati su se stessi mettersi in qualche modo a disposizione del proprio pubblico, ma dobbiamo ricordarci che siamo proprio all’inizio della sua carriera e che Richard era davvero giovane. Addirittura, già da ragazzino, aveva cominciato a giocare con un Sinclair ZX81 di prima generazione, senza alcun hardware audio, e subito dopo comprò il suo primo sintetizzatore, da suonare e modificare. 

Le cose stavano comunque cominciando a muoversi: il pubblico più attento l’aveva scoperto con i primi due EP della serie Analogue Bubblebath e il sorprendente Didgeridoo, che addirittura l’aveva fatto entrare in classifica. Un critico già influente come Simon Reynolds disse che la sua musica era “la nuova direzione della techno” e il suono di Aphex Twin aveva iniziato a fare proseliti nella fertile epoca post-rave. In UK gente come Orb, Prodigy, LFO e Orbital cominciava ad affacciarsi nelle zone alte delle classifiche e conquistare i palchi dei festival più trasversali. Ho sempre pensato che questo momento fotografi fedelmente l’intera carriera di Aphex Twin: un outsider ad altissimo tasso di futuribilità, un genio senza regole che diventa un modello, una sintesi imprevedibile di control freak, eremita e sciamano elettronico estremamente precoce:

Ho fatto produzioni musicali prima di iniziare a fare il dj, e ho iniziato a fare musica elettronica quando avevo 12 anni, ma senza organizzarla in maniera sensata prima dei 13 anni. Farò 22 anni domani, quindi sono già 8-9 anni che lo faccio, ormai sono quasi un veterano. A 16 anni ho cominciato a fare il dj, ed è solo da due anni che ho iniziato a far uscire dischi. Sono stato fortunato ad avere due o tre amici davvero interessati a quello che stavo facendo, tutto qui. Nessun altro si è accorto di quello che stavo facendo, per molti anni… Le cose hanno cominciato a cambiare soltanto un paio d’anni dopo, quando la house e il suono acid hanno iniziato a fondersi, con la scuola di Chicago e roba del genere, nell’87/88. Sono cresciuto in Cornovaglia, che era molto distante da Londra, ero molto fuorimano. Solo nell’87/88 c’era chi iniziava a fare il dj nei club e a suonare quella musica, ed è stato allora che alcuni hanno iniziato ad ascoltare quel che facevo.” 

Non sono stato influenzato da nulla nella musica che facevo, perché fino all’88 non avevo avuto modo di ascoltare house. Prima, in fatto di elettronica, avevo solo ascoltato due album dei Kraftwerk, e non mi piacevano molto. Facevo soltanto la mia musica, e non ascoltavo la musica di nessun altro. Non mi piacevano e non so perché, non era la mia tazza di tè“. 

In occasione della nostra intervista Aphex Twin è stato particolarmente generoso nel condividere il suo processo creativo, una concessione che vista con gli occhi di oggi, trent’anni dopo, sembra incredibile.

Richard D. James è sempre stato iper-produttivo, esagerato, preso da un’esuberanza creativa che è diventata proverbiale, amplificata dal suo essere cresciuto in Cornovaglia, relativamente isolato dal resto del mondo. Prova inconfutabile di questo procedere tumultuoso è stata la comparsa a sorpresa, nel 2015, di centinaia di suoi demo e inediti su una pagina Soundcloud anonima, fatto che ha scatenato panico ed entusiasmo fra i suoi fan, perché alcuni di questi brani risalivano proprio alla fine degli anni Ottanta o all’inizio dei Novanta, il periodo in cui la sua creatività in evoluzione era incontrollabile: l’accumulo di demo e bozze di brani ha davvero l’alone della leggenda, ma la loro autenticità è stata confermata dall’amico e collega Mike Paradinas.

In quegli anni, l’urgenza creativa aveva raggiunto in Richard un livello estremo, tale da sottrarre tempo al sonno. Andava in giro a dire che fin da quando era piccolo aveva deciso che dormire era uno spreco, una truffa, e che era sempre riuscito a cavarsela con quattro ore a notte, cercando di ridurle a due: “Ho attraversato un periodo folle 3 o 4 settimane fa, quando lavoravo solo e non dormivo mai, letteralmente. Ora sono più pigro e ogni tanto dormo tre ore, poi ogni tanto dormo 10 ore. Potrei stare sveglio tutto il tempo…quando esci da un ritmo è difficile rientrarci, ma ora mi sento più sano. Il 70% delle volte (la mia ispirazione nasce da) concetti o idee che avevo in mente e che mi giravano nella testa. In questo momento per esempio ho un’idea in mente da un’ora circa, da quando stavo prendendo il thè e la mia pizza. Nel giro di un’oretta tornerò in studio e inizierò a realizzarla”.

Continua ad ascoltare il Forgotten Tape di Aphex Twin su Radio Raheem