Annette’s Erotheque è un progetto nato dall’incontro tra Compulsive Archive, un archivio Milanese indipendente, e la qui presente Annette, collezionista di materiale erotico d’epoca. Quando sono stata invitata all’archivio, tirava un’aria molto pesante per una serie di fatti drammatici di cronaca quotidiana e, se vogliamo allargare l’immagine, le nostre sono decadi in cui si prospetta la fine del mondo e il contemporaneo non aiuta esattamente a nutrire pensieri positivi sul futuro prossimo, qualora ce ne fosse uno (la vostra psicologa potrà confermare che i suoi pazienti condividono quasi tutti questo stato d’animo-armageddon); e allora, come quel pompeiano che durante l’eruzione del Vesuvio ha deciso di masturbarsi per farsi trovare per sempre in flagrante, io ho fatto lo stesso: in un mondo agli sgoccioli e privo di leggerezza, il sesso è un ottimo antidoto.
Erotheque è l’intersezione tra la sfera dell’erotismo e quella della comicità, attraverso la quale guardare come da un buco della serratura. Sesso e risa, due mondi distinti e a tratti distanti. Entrambi piacevoli, ma inconciliabili, almeno fisicamente, dal momento che non si ride con la bocca piena. Eppure eccoci qua, in questo bizzarro accavallamento ontologico, scontro tra galassie dalla cui fusione prende forma un imprevedibile e goliardico microcosmo.
L’umorismo in Italia, fin da tempi non sospetti, ha sempre accompagnato tutti gli aspetti della vita sessuale, ma il suo momento di massima diffusione avviene tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta del secolo scorso; un bel periodo, sicuramente per le malattie veneree, ma soprattutto per il lento dipanarsi della libertà sessuale. A farci fare un giro in questa balzana dimensione spazio-temporale ci pensa proprio questo pluriennale e tuttora in corso progetto di ricerca di materiale vintage a tema eroti-comico, divenuto oramai una vera e propria collezione itinerante.
Un “significativo non-sense” è l’ossimoro incantevole del quale sono vittima questi oggetti. Perché è stato creato questo aggeggio? Non lo so, eppure mi piace. Ecco quindi un susseguirsi di cartoline lenticolari con donne che si spogliano, dischi boccacceschi, fumetti senza trama, cavatappi decisamente poco pratici, accendini con prosperose donne nude pronte a turbarti ad ogni sigaretta, vignette scorrette, giochini a molla ed altre amenità; praticamente un’edicola sul lungomare dell’erezione. Ammenicoli creati in un frangente di tempo in cui la società italiana, sull’onda lunga della rivoluzione sessuale americana, si apriva alla ricerca e all’esternazione del piacere; ed è proprio qui, nel loro non-sense oggettivo, che trovano il loro significato sociale.
I primi che, in preda ad un Edipo irrisolto collettivo, inseriranno nell’erotismo una cifra cartoonesca ed involontariamente demenziale ispirata ai fumetti per bambini sono proprio gli americani, che già nei primi anni Trenta ridisegnano con linee abbozzate e rozze i più importanti fumetti dell’epoca, vestendoli di trame oscene e assolutamente astratte. Topolino, Popeye, Betty Boop, Stanlio & Ollio apparivano nel loro privato e credetemi, non sono affatto asessuati come pensavamo. Le “strisce a fumetti” venivano vendute agli angoli delle strade, comparendo come per magia dalla fodera della giacca, davanti alle fabbriche e alle scuole; questi spacciatori di fumetti illegali chiamati “dirty man” furono complici della loro distribuzione su larga scala . Costavano poco, all’incirca 0.50 cent, per cui li compravano anche i proletari e i sottoprolettari, ma, soprattutto, si potevano sempre rivendere o ristampare in una sorta di “bootleg”. Le porno-satirizzazioni ebbero un grosso successo fra la metà e la fine degli anni Trenta, poi scomparirono sotto l’incombenza della guerra.
La caduta del fascismo in Italia non è che migliorò eccessivamente le cose per il fumetto. Dopotutto, non dimentichiamo che erano gli anni Cinquanta quando il ministro democristiano Oscar Luigi Scalfaro si permise di schiaffeggiare in un ristorante romano una signorina, colpevole soltanto di avere braccia e parte della schiena scoperte. Perfino Jacovitti, il più pacioccone dei fumettisti, venne preso di mira. Nelle sue celebri panoramiche ammassate di personaggi caciaroni, in una sorta di “trova Wally” ostinato la DC andava a ispezionare se ci fossero cazzi o parole poco pudiche celate tra le carni ammucchiate; ma Jacovitti, che era furbo, gli faceva trovare solo dei gran salami sederuti.
È anche attraverso la comicità che l’eros trova un varco per riaffiorare nella vita anestetizzata e sessuofoba dell’Italia del dopoguerra
Intanto i brandelli di pelli di leopardo che coprivano le pudenda di Pantera Bionda si allungavano progressivamente, certi periodici venivano gettati per sempre nell’oblio per aver scritto una parolaccia di troppo, perfino onomatopee lontane che ricordavano quelle di un amplesso furono passibili di censura; insomma, non c’era mica tanto da scherzare. Risultato di quella preoccupazione borghese e Simpsoniana del “perché nessuno pensa ai bambini???”, in America nasce l’“Association of Comic magazine Publishers of America” una specie di “chat delle mamme” ante-litteram, alla quale dovevano essere presentati tutti i fumetti in uscita. In Italia, facciamo lo stesso nel 1961. Quando si tratta di mamme incazzate, il risultato, lo potete immaginare, è inevitabile: a distanza di vent’anni esplode una seconda gigantesca ondata di fumetti zozzi. Perchè si sa, la mamma è la prima forma di autorità da soverchiare.
A portare avanti l’eredità dell’illustrazione erotica c’è una delle più importanti case editrici di fumetti in Italia, ovvero la Edifumetto di Renzo Barbieri, divenuta famigerata con i fumetti sexy disegnati da celebri sconosciuti del calibro Corrado Roi (Dylan Dog) ed Emanuele Taglietti, uno dei più grandi copertinisti del periodo, nonché pittore clamoroso e, trivia fact, scenografo di Giulietta degli spiriti di Fellini. Nelle saghe di Edifumetto si muovono una folla di personaggi buffi e grotteschi dai nomi evocativi come “Silver Bird”, talvolta caricaturali, maniaci inadeguati, eccessivi e indomabili. Come nel porno, la trama è irrilevante, semplice e a volte assurda al limite dell’inconcepibile, l’italiano maldestramente usato ed estraneo a ogni pretesa di voler veramente dire qualcosa, è tutto preliminare al sesso. L’unica cosa che appare con chiarezza è l’eccitamento ad ogni costo, con qualsiasi espediente. I principi logici della realtà sono irrilevanti perché ribaltati dalla logica del piacere: tutto deve essere funzionale ad alimentare illusioni e fantasie in chi legge.
Il fumetto, a braccetto col senso dell’umorismo, da sempre punzecchiatore del senso del limite, dà forma a un pensiero che ancora non aveva la forza di emanciparsi da solo, che non riesce ancora ad ammettere la verità di cui si fa portatore. In questo caso: che il sesso è bello, il desiderio è sano, la libido è legittima, le pulsioni vanno esplorate, il piacere va preso sul serio. L’ironia dà l’abbrivio, è la miccia accesa sotto al tabù, l’escamotage per iniziare ad affermare la realtà per quello che è, o che per lo meno vorrebbe essere. La comicità, e questo ce lo dice Bachtin, è una delle modalità più inafferrabili e efficaci della contestazione del sistema, il linguaggio segreto della classe subalterna, che attraverso il comico crea una sua propria cultura antidogmatica, che s’insinua nelle fondamenta di quella propugnata dallo status quo, mettendola in crisi. È anche attraverso la comicità quindi che l’eros trova un varco per riaffiorare nella vita anestetizzata e sessuofoba dell’Italia del dopoguerra che di certo non poteva di certo risparmiare la chiesa. Tenetevi quindi i vostri sermoni, che adesso vi raccontiamo noi una serie di peccati ancora più originali del vostro.
E allora “Viens petite fille dans mon comic-strip” che la Bastiglia del sesso è definitivamente espugnata, ogni opposizione è inutile e perfino controproducente; il sesso sta dilagando e Barbarella è libera di scopazzare a destra e a manca per le galassie. Tutto questo tesoretto riemerge dai mercatini dell’usato, veri e propri depositi di vite passate, non più vissute o talvolta rinnegate, passati al setaccio ogni settimana con ostinazione. È proprio negli scatoloni più insospettabili e abbandonati senza troppo riguardo che si cela un passato privato, foriero di grandi sorprese e meraviglie. Giornaletti porno occultati nelle custodie dei dischi, bigliettini ripiegati sulle loro promesse d’incontri clandestini e goderecci usati come segnalibri ed ancora VHS rated X con titoli fuorvianti, autoscatti osè in reggicalze di pizzo su copriletto floreale. Insomma, esiste una vera e propria meta-narrazione, che dagli oggetti ci riporta a una dimensione privata, per poi tornare a parlarci di una storia più grande. Una fenomenologia dello spirito del tempo che tento di ricostruire cercando di non lasciare indietro nessuna preziosa memoria e memorabilia. Può essere qualsiasi cosa, può arrivare da ogni parte: non te lo aspetti, ma te lo ritrovi in mano.
Mosso dalla stessa mia passione per il rudo, un giorno il signor Mike McCarthy (noto regista per gli appassionati dei B-Movie) trova nel retro della cabina di proiezione del cinema erotico Paris Movie Theatre di Memphis degli scatoloni colmi di 16 mm contenenti film porno; tra questi spicca il nome di Bat Pussy, film del quale vale la pena citare la trama da IMDb: “A Female Superhero defends Gotham City from a middle-aged couple making a pornographic film”, e questo è. Considerata la prima parodia erotica in assoluto (in questo caso del Batman di Adam West) e annoverata nelle liste dei peggiori film pornografici mai prodotti (anche se non si sa bene da chi), Bat Pussy è precursore di una serie di B-Movies erotici che hanno tormentato il “bel cinema” per decadi. “HOW CAN I ANSWER YOU WITH A MOUTH FULL OF DICK?” ci dice, svegliandoci da un piano sequenza infinito e noiosissimo, una soave hillbilly ubriaca marcia.
L’Italia stavolta si emancipa dall’America; spunta infatti negli anni Settanta il genere dei “Decamerotici” che prendono il nome prima dal Decamerone di Boccaccio e poi dall’omonimo film di Pasolini. Il filone si tramuta velocemente in quella che verrà poi definita la “commedia sexy all’italiana”, genere di enorme successo che gremirà per anni le sale di quelli che, per cavalleria, descriverei come appassionati cinefili con le mani in tasca e i visi illuminati dai nudi di donne come Serena Grandi, attrice della quale ricordiamo piacevolmente due grandissime doti: le sue due grandissime doti.
A dare un’età alla figlia d’ignoti Bat Pussy è solamente la prima scena del film, in cui appare la copertina di una nota rivista americana di nome Screw Magazine che viene sfogliata dalla temibilmente arrapata coppia di mezza età all’inizio del film e che ci riconduce al 1970. Screw è una rivista assolutamente nodale per tutta quella che è stata la produzione italiana degli anni successivi. Parallelamente al magazine di Al Goldstein, infatti, nascono i primi prodotti nostrani, forse non altrettanto blasonati, ma comunque pregevoli, come: BANG!, Caballero, 3/4 d’ora, Cronaca Vera, MAN e chi più ne ha più ne metta, che in modo analogo affrontavano il tema erotico in chiave ironica o involontariamente ironica, con titoli d’assalto come: “Le stringeva i seni e correva come un pazzo”, “Diventata insaziabile con un colpo in testa”, “Per una dieta sbagliata si diventa omosessuali?”, o ancora: “Il valzer rende monogami?”, accompagnati per lo più da immagini che non mi vergogno a definire “ginecologiche”.
Nell’estate del 1969 la canzone Je t’aime… moi non plus, cantata da Serge Gainsbourg e Jane Birkin arriva in Italia, scandalizzando l’establishment e trascinando dietro di sé grandi controversie che portarono al sequestro del disco e all’interdizione dello stesso. Come successe per il censuratissimo Christine, il disco inglese cantato da Joyce Blair con lo pseudonimo di Miss X (che sbeffeggiava le tresche del segretario di stato John Profumo), anche stavolta si riuscì ad aggirare l’ostacolo della censura, stampando diverse edizioni italiane della medesima canzone con testo tradotto e mitigato dalle strofe più audaci grazie ad un alambicco di sinonimi.
“Je t’aime” e lui che le risponde: “Non temere” e altre battute per le quali serve una particolare perspicacia, ma che una volta colte, fanno molto ridere per via della nostra pochezza di spirito. Con questa strana operazione di plagio di Je t’aime… moi non plus in sardo, introduco il tema dei musicarelli scollacciati e viziosi che pretendono di fare arrapare e invece fanno ridere. Gemme rare della musica italiana, considerate dai più il male assoluto, ma che avrebbero dovuto passare alla storia per titoli come Clytorid Love, piuttosto che per il merito.
Sotto l’egida della risata, tutto si poteva finalmente dire ed infatti tutto è stato detto, ben oltre ai limiti di quello che ora definiremmo politicamente corretto. Sono oggetti che visti con gli occhi contemporanei hanno valenze e pesi diversi, possono anche suscitare sdegno o tenerezza, ma se li valutiamo nella loro essenza, ovvero detriti di una cosmogonia essenzialmente maschia ed eterocentrica, fossili dell’era pre-pornografica, reperti erotici del mondo ante-Internet, li vediamo, nonostante i loro contenuti espliciti ed obsoleti, in tutta l’ingenuità di fondo che li contraddistingue. Quell’ingenuità che è un po’ il filo conduttore di tutta la ricerca di Erotheque. Ora che viviamo in una realtà iper-cosciente, un approccio claudicante e stupido al sesso smuove anche noi al riso. Quel “piccolo mondo antico” e perverso era ignaro del fatto che pian piano tutto si sarebbe rincasellato e che stesse per nascere una nuova deliziosa morale in cui di nuovo la società sarebbe ritornata a sindacare sul sesso. Nel frattempo, accendimi una sigaretta con la tetta lanciafiamme.
A volte la tendenza è di guardarsi indietro con occhi nostalgici e ricoprire il passato con la glassa edulcorata della narrazione di un tempo più ingenuo, facile e spensierato. Per certi aspetti lo era, ma ricordiamoci tuttavia che negli stessi anni in cui l’erotismo comico si faceva spazio, a martoriare lo spirito oltre alla censura e alla morale incombevano non pochi grattacapi; tra l’apocalisse atomica della guerra fredda, la crisi petrolifera, il terrorismo politico e un generico senso di una fine imminente. Adesso le questioni per cui preoccuparci sono cambiate (oddio, lo sono? Sto per scendere in piazza ancora una volta per difendere il diritto all’aborto, un’esperienza vintage che mi sarei risparmiata volentieri), ma di motivi per preoccuparci e per reprimerci c’è sempre l’imbarazzo della scelta.
Che l’Erotheque ci serva da memento godi. Ridi e godi. E se serve combatti per la tua libertà e per il tuo piacere, a colpi di posacenere brutti e carte da gioco sconce. Ridi e godi, due mondi distinti e a tratti distanti, ma forse con un po’ d’esercizio addominale si riesce a fare entrambe le cose in contemporanea. Contro la censura, il peso esistenziale, la morale retrograda e le derive del governo, sarebbe sempre un enorme atto rivoluzionario. E magari lascia anche tu tracce della tua libertà. Fra qualche lustro saranno in qualche scatolone (digitale forse?) a ricordare ai posteri che anche noi, a modo nostro, in questo grande casino, ce la siamo spassata.