Ci piace pensare alla storia delle identità di genere come guidata da un inarrestabile progresso. “Maschio e femmina li creò”, almeno finché, scioltesi le grinfie del patriarcato e della chiesa, le possibilità di vivere queer sarebbero presumibilmente proliferate in aperto affronto alle vecchie sensibilità religiose. Ma è davvero andata così? La crescente diffusione di legislazioni anti-trans a livello globale ed i nuovi assimilazionismi liberali ci fanno dubitare di questa teleologia che legherebbe secolarità e libera espressione di genere in maniera univoca. La dimenticata tradizione transessuale dell’agiografia cristiana medievale ci aiuta ad immaginare mondi diversi. Le vite altomedievali di santi come Smaragdo, Eugenia e Maria d’Egitto ci mostrano altre vie. Top surgery miracolosa, crossdressing monastico, transustanziazione: le loro storie, animate dalla fede religiosa eppure derelitte, gioiosamente sovversive, sono così rivoluzionarie da cambiare la realtà intorno. Siamo sicure che non sia la nostra l’era più oscura?
Le moodboard le abbiamo viste tutte: il medioevo era queer. Quel ritratto di Giovanna d’Arco di fronte a Notre Dame, che poi altro non è che un’incisione del 1903, o la vulva nel costato di Cristo, però, sono forse più visibili per noi sui nostri algoritmi che per una congregazione di mille anni fa. Una viva tradizione di rappresentazioni trans però la riconosciamo nell’agiografia, la scrittura della vita dei santi, forse il genere letterario più popolare dello scorso millennio. Quasi ogni fedele della cristianità avrebbe incontrato, a messa, in preghiera, in latino o nelle lingue vernacolari, storie come queste: giovani fuggitive che diventano abati; pronomi che cambiano in mezzo alla frase; corpi che, al momento del martirio, si alterano, riformando il petto e i genitali; abiti che fanno il monaco; neo-barbe e tonsure spontanee.
Questi atti tra miracolosa trasfigurazione, travestitismo religioso e vera e propria sessualità transgender non sono accessori o accidentali, ma necessari per il raggiungimento della santità stessa
Per Bernardo di Clairvaux, fondatore dell’ordine cistercense, del resto, la preghiera più efficace è quella che force-femma, ossia che femminilizza chi prega; così come, per la pietà tardomedievale, Cristo madre porge al fedele un seno allattante. Insomma, per un’intera schiera di santi – le cui storie di transizione sono, in effetti, più spesso female-to-male o ermafroditiche –, questi atti tra miracolosa trasfigurazione, travestitismo religioso e vera e propria sessualità transgender non sono accessori o accidentali, ma necessari per il raggiungimento della santità stessa.
È quasi un cliché che molte espressioni odierne della fede cristiana condannino attivamente la vita trans anche più veementemente dell’opinione secolare, eppure è nella loro alleanza con forze ben più laiche che oggi le loro vene transfobiche emergono di più. In una recente analisi per n plus one, Kay Gabriel parla di una “nuova, goffa unione” ideologica e politica: quella tra fondamentalisti del mercato libero e nazionalisti cristiani, il cui panico anti-trans ha pervaso gli Stati Uniti a partire dal 2021. Gruppi di estrema destra come Moms for Liberty, del resto, forniscono un modello identitario di sciovinismo solo vagamente “cristiano” di cui la nuova destra italiana, volente o nolente, sembra spesso essere un calco.
In effetti, il mainstream confessionale cattolico si è forse recentemente mostrato meno critico. Questo ha dichiarato il Dicastero per la dottrina della fede nel 2023: che le persone trans possano ricevere il sacramento del battesimo, a meno che non ci sia “rischio di generare pubblico scandalo o disorientamento nei fedeli”; che possano essere padrini o madrine di battesimo qualora non si verificasse “pericolo di scandalo, di indebite legittimazioni o di un disorientamento in ambito educativo della comunità ecclesiale”; che, infine, niente nel diritto canonico vieti loro di essere testimoni di matrimonio. Insomma, le persone trans saranno anche ben accette in chiesa – purché la loro transessualità non “disturbi” la vita comunitaria. Se preferibili alla transfobia esplicita di frange più estreme, il tono di queste ammissioni non esula tanto dal “don’t ask, don’t tell” del premillennio: non è la transessualità ad essere di per sé un ostacolo alla partecipazione nella vita religiosa, ma la sua possibile scandalosa rivelazione. Di fronte alle agiografie transgender della premodernità, tuttavia, viene da chiederselo: è questa la santità proposta dalla chiesa contemporanea? Come si diventa santi nel medioevo? Come si diventa trans?
Se ci accostiamo a san Smaragdo, intravediamo una risposta. Questa la sua vita secondo alcune versioni: nato ad Alessandria d’Egitto nel secondo o terzo secolo e battezzato Eufrosine, la sua infanzia afab (“assigned female at birth”) termina quando il padre ne promette la mano in sposa. Preferendo al matrimonio etero-cis la santità monastica, sceglie la transizione, addirittura spiegandola così a noi e a se stesso: “Se andrò in un monastero femminile, sicuramente mio padre mi troverà.” Ricevuto quindi come novizio presso il monastero maschile, nei successivi decenni Smaragdo vive stealth, da uomo tonacato – tra l’altro suscitando, in alcune redazioni, le attenzioni omoerotiche degli altri monaci. Anni dopo, suo padre non lo riconosce: l’abito ha fatto il monaco e il corpo stesso si è trasformato.
La sua transizione è infatti prima di tutto un rifiuto, una negazione dell’ordine costituito così come si incarna nel matrimonio etero-cis. Questa, del resto, la provocatoria tesi di Andrea Long Chu: che il genere, particolarmente quello femminile, sia sempre, prima di tutto, il luogo di un’avulsione. Nel suo Femmine, infatti, Chu sostiene che “l’essere femmina” sia un sesso universale – a cui quindi partecipiamo in un certo senso tutti, anche gli “uomini” – definito dalla negazione di sé, contro cui ogni politica si ribella. Definendo come femminile ogni processo ed operazione psichica attraverso cui il sé è sacrificato per fare spazio ai desideri altrui, slega la femminilità e quindi il genere stesso dalla sfera dell’identità, ricollocandolo in quella del desiderio, positivo o negativo che sia, e rendendo un’identificazione con esso di fatto impossibile. Insomma: tutti siamo femmine, e tutti lo odiamo.
È proprio così che Smaragdo porta la rivoluzione dentro al monastero. Alla sua morte, infatti, i confratelli lo spogliano della tonaca: sono sorpresi, accorati, ma soprattutto essi stessi beatificati, come trasfigurati
In effetti, questi santi dell’agiografia premoderna sembrano essere, senza saperlo, costruttivisti dell’esperienza di genere: per loro, la transizione è qualcosa che si fa, più che qualcosa che si è. Basti pensare a santa Maria d’Egitto, padre del deserto e ex-prostituta. Quando il monaco Zosima ne scorge il vecchio corpo, la veste di peli di cammello discinta come un Giovanni Battista genderswapped, ogni traccia di femminilità è scomparsa, soppressa da una vita di penitenza, come una miracolosa top surgery – più eremitica che euforica. La sua, infatti, non è una storia di identificazione, ma di abiezione.
In questo, la santità transessuale del primo millennio e le meditazioni queer più radicali del ventunesimo secolo sembrano toccarsi. Lontanissimo da Alessandria d’Egitto, nella Roma imperiale ancora pagana del terzo secolo, sant’Eugenia quasi anticipa Lee Edelman nella sua negazione del “futurismo riproduttivo,” una visione del mondo che valorizza la procreazione futura a scapito della vita presente, riconoscibile ad esempio nelle politiche anti-abortiste contemporanee: che ne sarà dei nostri bambini?
La transizione del santo, infatti, prende inizialmente la forma di un crossdressing fuggitivo, il cui scopo è innanzitutto quello di sottrarsi al matrimonio e quindi alla procreazione. Come Smaragdo ad Alessandria, vive per anni da confratello sotto il nome di Eugenio, passing da monaco cis. Tuttavia, alla fine, cade sotto i ferri della centuria romana e viene arrestato per la sua fede. Il suo processo giudiziario è principalmente un atto finale di clocking — quel riconoscimento involontario, spesso violento, in cui l’apparenza esteriore di una persona trans è letta come non-cis. Come un nuovo Cristo di fronte a Pilato, infatti, egli è inquisito e spogliato. La sua transessualità è così doppiamente rivelata: come crimine efferato agli occhi dei suoi persecutori anti-cristiani e, all’inverso, come segno supremo di santità per il suo biografo medievale. È nella sua sfida all’autorità che il santo diviene santo.
La loro transessualità – illegale ma benedetta – sovverte la realtà intorno, alterandone miracolosamente il carattere
Come spesso accade in queste agiografie, infatti, il gesto della spogliatura è stranamente, inaspettatamente liberatorio. Con una caratteristica dialettica di segreto e rivelazione, in questi testi emerge come una celebrazione della radicalità dell’essere clockable – esplicitamente non-cis, leggibilmente trans. È proprio così che Smaragdo porta la rivoluzione dentro al monastero. Alla sua morte, infatti, i confratelli lo spogliano della tonaca: sono sorpresi, accorati, ma soprattutto essi stessi beatificati, come trasfigurati. Acclamano la santità dell’abate; invocano i favori intercessori di Smaragdo, “uomo di femminilità.” È proprio nella rivelazione della sua sessualità transgender che Smaragdo è santificato: quando, alla fine, è clocked, lo è più come santo che come transessuale; o meglio, lo è come santo perchè transessuale. Questo outing, per quanto forzato, ha infatti un effetto beatifico: una canonizzazione trans per acclamazione, l’innalzamento del chosen name del santo nella litania monastica. É il grande miracolo della spregiudicata scelta iniziale di Smaragdo di vivere da uomo, di essere trans nel monastero: che anche il monastero si trasfiguri in un’assimilazione invertita. Quelle messe in atto da Eugenio, Smaragdo e Maria d’Egitto, infatti, sono vere e proprie tattiche rivoluzionarie. La loro transessualità – illegale ma benedetta – sovverte la realtà intorno, alterandone miracolosamente il carattere. Importa poco della Regola: “Se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove.” (2 Cor 5,17).
La storia della transessualità sembra sempre più una linea spezzata. In questo clima di crescente panico anti-trans, mentre la radicalità della queerness stessa è insidiata dall’assorbimento nell’identità liberale, queste figure di santi riemergono da un tempo lontano come straordinari esempi di abiezione, di inassimilabilità: le loro vite beate ed anarchiche ci mostrano una sessualità tanto radicale da essere, in effetti, una vera e propria anti-identità. Del resto, a guardarle bene, queste storie oblique, taglienti, di transustanziazione del corpo e dello spirito, di clocking santificato e segreta visibilità sembrano mostrarci modi diversi di essere trans anche oggi. Perché non intrufolarsi nei monasteri del nostro tempo? Forse è proprio qui, lontanissimo dagli sforzi liberatori del Novecento, in grembo al cristianesimo più scolastico, che possiamo ritrovare espressioni davvero sovversive di vita transgender. Rifiuto rivoluzionario, devozione a un ideale radicale: la transessualità forse è prima di tutto questo. Mettiamo la tonaca e passiamo.