Macchine magiche

Con progetti come Clock DVA e The Anti Group, Adi Newton ha indagato le risonanze filosofiche, esoteriche e politiche del rapporto tra musica, tecnologia e immagine. Conversazione con uno dei maggiori alchimisti sonori di sempre

Pubblichiamo l’intervista ad Adi Newton contenuta in Chaos Variation III, l’edizione in vinile 12″ + SD Card a cura di Obsolete Capitalism e dello stesso Adi Newton / TAG (The Anti-Group) appena pubblicata da Rizosfera. Traduzione dall’inglese di Claudio Kulesko. Ringraziamo Rizosfera e Obsolete Capitalism per la disponibilità.

Adi Newton

Obsolete Capitalism: Iniziamo la conversazione lavorando sul concetto di biforcazione intensiva e a-programmatica. Una cartografia del tuo lungo e strabiliante itinerario d’artista ci conduce a individuare due piani principali. Si tratta, a nostro avviso, di due macro-ambienti nei quali è possibile suddividere la tua ricerca sonologico-teorica e le tue pragmatiche audio-visive: il primo di questi ambienti è il piano-Clock Dva, il secondo è il piano-Anti Group, spesso raccolto nell’acronimo TAG/TAGC. In mezzo, molte collaborazioni interessanti, quasi a corollario di una intersezione con i due piani d’intervento artistico sopra citati. I due macro-ambienti che hai creato, sono certamente intersecanti, ma sono anche fortemente divergenti. Nel tuo laboratorio audio-alchemico, a quale punto della ricerca personale e artistica inizia la biforcazione tra Clock Dva e Anti-Group, e quale Ritmo, o Intervallo, possiamo loro attribuire?
Adi Newton: Di certo c’è sempre un collegamento tra le cose. Si consideri la teoria della risonanza morfica di Rupert Sheldrake. «I campi morfici dei gruppi sociali connettono tra loro i membri del gruppo anche a miglia di distanza, fornendo canali di comunicazione attraverso i quali gli organismi possono rimanere in contatto tra loro nonostante la distanza. Ci aiutano a fornire una spiegazione alla telepatia. Oggi ci sono forti evidenze che diverse specie animali siano telepatiche, e che la telepatia sembri essere un mezzo di comunicazione animale piuttosto comune. La telepatia è normale, e non paranormale, ed è naturale, non soprannaturale: è comune anche tra persone, in particolar modo tra persone che si conoscono bene l’un l’altra. I campi morfici dell’attività mentale non sono confinati nelle nostre teste. Essi si estendono ben al di là del nostro cervello, attraverso l’intenzione e l’attenzione. Abbiamo già familiarità con l’idea secondo la quale i campi si estendono al di là degli oggetti materiali nei quali sono radicati: come nel caso dei campi magnetici che si propagano oltre la superficie dei magneti; il campo gravitazionale della Terra si estende ben oltre la superficie terrestre, mantenendo la luna all’interno della propria orbita; i campi di un telefono cellulare si allungano ben oltre il telefono stesso. Allo stesso modo, i campi delle nostre menti si estendono ben al di là dei nostri cervelli» (Sheldrake, 1981).

Ecco una sintesi delle proprietà del campo morfico, come descritta da Rupert Sheldrake: «A ogni livello di complessità, le proprietà ipotizzate dei campi morfici possono essere riassunte nel modo seguente: 1) Si tratta di totalità auto-organizzanti. 2) Possiedono sia un aspetto spaziale che un aspetto temporale, e organizzano schemi spazio-temporali di attività vibratoria o ritmica. 3) Attraggono i sistemi nella loro sfera di influenza verso modelli e forme di attività caratteristiche, delle quali organizzano la venuta-in-essere, e delle quali mantengono l’integrità. I fini, o gli obiettivi, verso i quali i campi morfici attraggono i sistemi posti sotto la loro influenza sono denominati attrattori. I percorsi attraverso i quali, abitualmente, i sistemi raggiungono tali attrattori sono denominati creodi. 4) Essi interconnettono e coordinano le unità morfiche, gli oloni, situate al loro interno, che, a loro volta, divengono totalità organizzate dai campi morfici. I campi morfici contengono al loro interno altri campi morfici, strutturati secondo una certa gerarchia, od olarchia. 5) Si tratta di strutture di probabilità, e la loro attività organizzativa è probabilistica. 6) Sono dotati di una memoria integrata, prodotta dall’auto-risonanza con il passato di un’unità morfica interna, e dalla risonanza morfica con tutti i sistemi precedenti analoghi. Questa memoria è cumulativa. Più certi modelli di attività si ripetono, più essi tendono a divenire abitudinari» (Sheldrake, 1981).

Perciò, da quanto possiamo intendere, l’informazione, una volta concettualizzata e ideata, comincia a risuonare verso l’esterno, come se si trattasse di un’onda in propagazione, informando altri ricevitori che finiranno per avere le medesime idee. Un concetto, un’idea, dunque, informerà altre idee, per cui la risonanza morfica, la vibrazione eterica, il connettivismo, l’inconscio collettivo, possono tutti in parte spiegare il fenomeno per cui certi eventi si sviluppano simultaneamente in diverse località topografiche, all’interno di culture differenti e in lingue differenti, come si può vedere nelle arti, nelle scienze e in numerosi altri campi. Dal mio punto di vista, dunque, il mio lavoro non è interconnesso solamente al suono, o alla musica, ma anche all’arte e alla scienza, e ad altri sistemi di pensiero e di pratiche quali la magia, l’alchimia e le credenze filosofico-spirituali. Tutto ciò informa le mie idee e le mie pratiche nei campi dell’arte, della pittura, della produzione cinematografica, o dell’audio creativo.

The Anti-Group, «The Delivery», Atonal Festival 1985

Parliamo ora dell’unità produttiva e del suo lato «eccessivo». Qui l’eccesso è inteso come ricchezza di temi, pluralità di prospettive, molteplicità delle teorie giustapposte nel piano di assemblaggio, e di articolazione dei linguaggi coinvolti – suono, immagine, testo. Fin dal suo primo apparire come The Anti-Group/TAGC – i primi due anni (1985/1986) al festival Atonal di Berlino, ad esempio – la sinestesia tra questi tre aspetti dell’arte rimane la tua firma autoriale – o il tuo fondamentale modus operandi – che produce quel «surplus» che noi traduciamo come «eccesso di discorso». Si tratta di un resto che non si sa come «schematizzare» o stoccare, allora come oggi, all’interno di un singolo oggetto di fruizione, o di una precisa categoria discorsiva – sia essa sotto forma di disco, film, video o performance, o tutte le quattro cose insieme. Come si è sviluppato questo tuo approccio ai mixed media, e quali motivi, o intensità, ti hanno «costretto» a presentare i tuoi progetti artistici con questo surplus discorsivo?
Fin da giovanissimo, e nel corso di tutta la mia vita, il mio interesse principale è stata la pittura; guardo all’arte, al teatro e al cinema, dalla prospettiva privilegiata di pittore. Lavoro partendo da un’intuizione: «Un assoluto non potrà essere dato che per intuizione, mentre tutto il resto deriva dall’analisi. Chiamiamo qui intuizione la simpatia con cui ci si porta all’interno di un oggetto per coincidere con quel che esso ha di unico e, perciò, di inesprimibile. Al contrario, l’analisi è l’operazione che riconduce l’oggetto ad elementi già conosciuti, cioè comuni a questo oggetto e ad altri.» (Henri Bergson, 2012).

Quando cominciai a sperimentare con il suono iniziai con le registrazioni su nastro e per me, a quei tempi, il registratore a nastro rappresentava un mezzo per alterare e modificare il suono a partire da registrazioni di suoni concreti o acusmatici, o di un qualche tipo di strumento. Attraverso l’editing fisico, la variazione della velocità, il rovesciamento del nastro o la sua manipolazione, si potevano ricavare composizioni o arrangiamenti. Provavo interesse verso le opere di artisti sperimentali quali John Cage, Earle Brown, Ilhan Kemaleddin Mimaroǧlu, Iannis Xenakis, Karlheinz Stockhausen, GRM, e di gruppi più recenti come Velvet Underground. Grazie al mio interesse per l’arte – giacché questi artisti del suono stavano esplorando i rapporti tra l’arte visiva e le altre forme espressive quali danza e cinema – tutto ciò mi affascinava, poiché era più espansivo di altri tipi di musica.

Questi primi esperimenti di rapporti esplorativi tra pratiche differenti, come nel caso della performance di Reunion di Cage e Duchamp, o del paesaggio sonoro progettato da Varese, Xenakis e Le Corbusier per il Philips Electronics Pavillon, all’Esposizione Universale di Bruxelles del 1958, segnarono l’inizio dello sviluppo in espansione di quella che oggi potrebbe essere definita una forma di multimedialità. Ho sempre avuto l’idea di dilatare le mie idee in altre aree, come in quella visiva, a cominciare dall’impiego di pellicole 8 mm e di proiettori di diapositive. Nel tempo, e con l’avanzare della tecnologia, sono stato poi in grado di procedere verso una maggiore integrazione tra arte sonora e visiva.

Clock DVA, «The Hacker», 1988

Abbiamo sempre pensato alla tua ricerca artistica come The Anti-Group/TAGC – ma questo è riscontrabile anche nei Clock Dva del periodo The Hacker/Man Amplified – come uno dei pilastri fondamentali per comprendere il concetto e l’evoluzione dell’«Immagine-Suono» nell’arte e nella teoria del pensiero-cinema. L’Immagine-Suono è il terzo movimento dell’immagine, quel salto intervallare che definisce un nuovo livello di «cinema espanso» che altri chiamano «cinema del futuro». L’Immagine-Suono è quando tra suono e immagine non c’è separazione, se non un’area di indeterminatezza oscura e profonda in cui il suono diventa immagine, mentre l’immagine diventa suono – come nel caso della performance di TAG a Prato, al Museo di arte contemporanea (1988). L’Immagine-Suono è quel campo di battaglia in cui lo scontro tra cinema, video e televisione si scioglie a favore di un’immagine e di un suono puri, a volte narrativi, altre volte semiosferici, spirituali, intensivi. Questo tuo lato espressivo è spesso rimasto in ombra, mentre a noi pare il più avanzato e il più paradigmatico. Ci vuoi parlare di come, nella tua opera, l’immagine ha cambiato funzione in modo cosí radicale?
Credo che questo aspetto si sia per certi versi sviluppato insieme a una maggiore disponibilità delle tecnologie e al loro avanzamento, dato che è divenuto possibile adottare tecniche che, in precedenza, erano appannaggio dei sistemi esperti, nell’Intelligenza Artificiale, e di processi molto costosi impiegati dalle industrie specializzate. I computer, in particolar modo nel mio lavoro, hanno consentito di integrare questi due media, e di manipolare il suono a livelli precedentemente impossibili al di fuori degli studi IRCAM, o di altri studi di ricerca sperimentale. Ciò che prima avrebbe richiesto diverse settimane di lavoro fisico, ora poteva essere ottenuto in qualche giorno, per poi essere ulteriormente sviluppato; e si potrebbe suggerire che l’immediatezza introdotta nella musica dal computer consiste nel fatto che consente di assimilare tali tecniche in una forma facilmente applicabile, divenendo perciò un simulacro dell’originale. In qualche modo, nelle epoche precedenti, le restrizioni tecnologiche e la scarsa disponibilità delle tecnologie hanno stimolato l’invenzione, e quindi è più facile, oggigiorno, comprendere che si è venuto a costituire un milieu, in cui le tecniche e gli esperimenti dei pionieri precedenti sono divenute parte di un tessuto sonoro.

Ma per creare qualcosa di nuovo o per ampliare ciò che già esiste, dobbiamo spingerci ancora più in là, non solo dando vita a una espressione individuale unica, ma espandendo anche i temi concettuali e i loro rapporti con la controparte visiva e con la letteratura corrispondente, mettendo in luce nuovi considerevoli significati. Per questo motivo, il mio lavoro è sia un’investigazione delle relazioni e delle connessioni all’interno di una data area di interessi, sia un’applicazione di queste ricerche, che finiscono per organizzare la composizione, la struttura e il contenuto; ogni elemento, perciò, è inserito all’interno dell’opera, informando un campo sonoro totale. Questo campo sonoro è, come voi riferite, l’Immagine-Suono, contenente la somma di un lavoro in cui non vi è alcuna separazione tra immagine, suono e concetto.

The Anti-Group, Digitaria, 1987

Il tuo primo progetto artistico nel 1977 si chiamava The Future. Già dal nome ambizioso, il rapporto futuro e tecnologia ha rappresentato per te una tensione verso ciò che pare sia destinato ad attualizzarsi come compresenza articolata, ma è già realtà come progetto virtuale. La rivoluzione tecnologica, dall’epoca in cui The Future, Clock Dva, The Anti-Group prendevano forma alla fine degli anni Settanta, ha prodotto un modello dinamico di società che struttura la nostra vita e profila la nostra cultura in modo tale da consentire uno sviluppo impetuoso, facilitando alcuni lati materiali del nostro modo di vita, ma complicando altri aspetti. Ci parli del tuo approccio alla tecnologia e agli oggetti tecnologici in particolare? E soprattutto, come la tecnologia ha cambiato le tue prospettive sul futuro, e il tuo approccio all’arte e al suono?
La relazione tra scienza e arte è qualcosa che è sempre esistita, e il computer è lo strumento che ci ha dato la possibilità di sviluppare ulteriormente la creatività della mente e dell’immaginazione. Come risposta alla vostra domanda sul mio approccio alla tecnologia applicata al suono ci potremmo rivolgere alla registrazione e alla produzione discografica con tecniche ambisoniche, una forma futura di riproduzione del suono, nonché una tecnica correlata al campo sonoro totale e alla sua replica in studio. Da quando ho registrato l’album di TAGC, Digitaria con tecniche ambisoniche, 33 anni fa, queste scienze acustiche e psicoacustiche si sono sviluppate ulteriormente, e la tecnologia e le informazioni sono divenute ancora più accessibili, sia per quanto riguarda l’hardware che il software. Attualmente sto tenendo alcuni seminari e lezioni su teoria e prassi ambisonica alla State University di New York, New Paltz. Le lezioni riguardano, non solo la tecnologia ambisonica, ma l’impiego creativo del campo sonoro totale, che è comunque una pratica di per sé già presente, così come le applicazioni creative fondate su un approccio più concettuale. Vi è, dunque, una relazione tra lo sviluppo della tecnologia, la creatività e l’immaginazione.

Quante volte, ogni giorno, prendiamo in mano i nostri telefoni cellulari per controllare i messaggi, per usare i social media, o scattare fotografie, ecc? Il numero di applicazioni che la tecnologia mobile offre si sta espandendo sempre più. Non si può negare che il telefono cellulare abbia fino a oggi salvato innumerevoli vite, e che continui a farlo; lo sviluppo di tecnologie mediche correlate alle tecnologie mobili è solo un piccolo esempio, e tuttavia molto positivo. Certamente c’è anche l’aspetto invasivo, legato al controllo, della tecnologia; le caratteristiche distopiche che vediamo comparire sempre più spesso sono state scritte e previste molte volte nella fantascienza.

Con il mio collega e buon amico TeZ (Maurizio Martinucci) stiamo lavorando a un nuovo album di Clock DVA che sarà intitolato Analog Soundtracks, una sorta di seguito del precedente album di Clock DVA Digital Soundtracks; questo nuovo album, tuttavia, sarà fortemente ispirato alle idee di futuro distopico descritte in opere quali Noi di Evgenij Zamjatin, o Synthajoy di D.G. Compton, o nei lavori di J.G. Ballard. Ma accanto a quelle negative ci sono anche diverse tecnologie e conquiste scientifiche positive, avanzamenti positivi sui quali lavorare e sui quali potersi concentrare a seconda delle proprie necessità. In ogni sistema gli aspetti negativi sono sempre i più facili da trovare, divenendo gli aspetti dominanti e determinanti di quel sistema.

Non vi è alcun dubbio sul grado di integrazione della tecnologia digitale nella società contemporanea: di fatto, alcuni aspetti sono onnipresenti e sono parte del tessuto stesso del sistema che attualmente diamo per scontato. Il Controllo su elettricità, acqua, cibo, ricovero, educazione e sanità da parte di sistemi computerizzati collegati al credito individuale, è stato già perfettamente integrato. Non vi è alcun Futuro, solo una prosecuzione dell’Adesso che lo determina. La tecnologia dovrebbe essere liberata per provvedere a differenti modi di elevazione della coscienza individuale ed, eventualmente, alla possibilità che tutta la società sia innalzata a un livello che ci consentirebbe di costituire una cultura empatica e civilizzata. Questo sarebbe l’ideale. Spero che il mio lavoro con TAG / Clock DVA possa contribuire a far sì che i computer e le tecnologie favoriscano la mente umana a concentrarsi verso un uso più positivo delle tecnologie, in tutti i loro diversi e molteplici utilizzi. Ma, come sempre, bisogna considerare anche l’inverso.

Credo che questo estratto da Rumori. Saggio sull’economia politica della musica, il libro di Jacques Attali, sia davvero rilevante, anche in merito alla domanda che mi ponete: «La musica è più di un oggetto di studio: è un modo di percepire il mondo. Uno strumento finalizzato alla comprensione. Oggigiorno nessuna teoria ottenuta tramite il linguaggio o la matematica può più essere reputata sufficiente; essa sarebbe incapace di render conto di ciò che rimane essenziale nel tempo – l’aspetto qualitativo e fluido, le minacce e la violenza. Innanzi alla crescente ambiguità dei segni che vengono impiegati e scambiati, anche i concetti più solidi si stanno sgretolando e ogni teoria vacilla. L’attuale rappresentazione dell’economia, intrappolata all’interno delle strutture erette nel diciassettesimo secolo o, al massimo, verso il 1850, non è in grado di predire, descrivere e neppure esprimere ciò che ci attende. Per parlare a nuove realtà è necessario immaginare forme teoriche radicalmente nuove. La musica, l’organizzazione dei rumori, è una di queste forme. Essa rifiuta la fabbricazione della società, giacché costituisce la stessa lunghezza d’onda udibile di quelle vibrazioni e di quei segni che compongono la società. Come strumento intelligente, la musica ci spinge a decifrare una forma sonora di sapere» (Jacques Attali, 1978).

Clock Dva, Man-Amplified, 1992

Entriamo ora in profondità nel cuore di The Anti Group. È giusto dividere il tuo lavoro artistico sul suono in due ambiti distinti? Secondo la nostra prospettiva, il primo sarebbe l’arte dell’ascolto, cioè non solo gli aspetti di «affezione» di un suono rispetto all’ambiente che attraversa e al soggetto che lo recepisce, ma anche la produzione fisica e molecolare dell’onda sonora (i suoi diagrammi di frequenze, infrasuoni, altezze, ecc.); il secondo sarebbe come il suono diventa «Macchina Rivoluzionaria», cioè come il suono diventa una macchina eterogenea che si allea con altre linee astratte di pensiero (filosofia, teorie alchemiche, saperi non epistemici) o con linee espressive artistiche, (teatro, pittura, cinema, video-arte) formando non più solo «musica» ma qualcosa d’altro che non ha ancora nome…
Come scrive il teorico tedesco, e produttore jazz, Joachim-Ernst Berendt, gli scienziati hanno appreso solo di recente che le particelle di un atomo di ossigeno vibrano su scala maggiore e che i fili d’erba «cantano». Diverse culture, inoltre, non fanno che riaffermare ciò che i nostri antenati hanno sempre saputo – il mondo è suono, ritmo e vibrazione.

La fisica recente, il tantra, la cibernetica, il sufismo e le opere di Herman Hesse, rivelano l’importanza del suono nella formazione della vita culturale e spirituale di tutto il mondo. Hans Kayser, Jean Gebser, Sufi Hazrat Inayat Khan, musicisti come John Coltrane e Ravi Shankar, Terry Riley e La Monte Young, suggeriscono che il sentire, più che il vedere, sia una delle chiavi per esperire la coscienza e il suono in modo più spirituale, in relazione alla matematica, alla logica, alla geometria sacra, al mito, alla sessualità, in senso tanto pratico quanto teorico, al fine di sviluppare l’orecchio in quanto organo della percezione spirituale. Ne deriva che il suono sia qualcosa di più di un mero evento uditivo, cioè qualcosa di più simile ad un evento psicoacustico, giacché entra in rapporto con stati psicologici e fisiologici.

The Anti-Group, «Sonochemistry», 1987

Nel recente libro di Pedro Domingos The Master Algorithm (2015), l’autore definisce «alchemy» tutta la ricerca sperimentale, al di sotto dei canoni ortodossi della scienza, che condurrebbe alla formulazione ell’Algoritmo-che-tutto-conosce, la stringa matematica definitiva che avrebbe creato e fatto prosperare la Vita e l’Universo. Ciò che impressiona nella scelta lessicale di Domingos è che perfino ai confini dell’Intelligenza Artificiale, del teismo algoritmico, e della matematica più avanzata, il piano di composizione in cui speculazione teoretica e ricerca scientifica eterodossa si articolano e si inter-penetrano, si senta la necessità di richiamarsi al «sapere desueto e non qualificato» dell’alchimia. Cosa ne pensi di questa teleologia contemporanea che si richiama ad una nuova «alchimia algoritmica»? Il tuo progetto Anti Group ci pare la quintessenza digitale e artistica dell’arte tecno-alchimista odierna, ma esso si muove in una direzione opposta a quella di Domingos e di altri scienziati della computer science
Le origini dell’alchimia sono arcane e forse fuori dalla nostra portata, cioè situate al di fuori del tempo per come lo conosciamo. Tutto quel che crediamo di sapere è misurato attraverso strumenti da noi stessi progettati; possiamo misurare e osservare solo grazie al potere dei dispositivi che abbiamo inventato ed escogitato, e che si basano sulle nostre conoscenze e sui nostri sensi. Il Macrocosmo e il Microcosmo sono, al tempo stesso, infinitamente più vasti e più piccoli. La pietra filosofale, la quintessenza, la tavola ermetica, ecc., sono idee che si sono conservate nel tempo e che, tuttora, sono oggetto di ricerca sotto svariate forme. Le origini dell’alchimia possono essere ricondotte a fonti arabe e antecedenti; il termine alchimia (la cui etimologia è tuttora incerta, ndt) deriva dall’arabo Al Khemi, «la terra nera» o «la terra-che-brucia» (forse derivante da una corruzione del nome dell’antico Egitto, kēme, ndt).

La cultura occidentale ha riorientato e adattato molte delle sue idee originali a partire da materiali esterni: sia la chimica che la matematica sono originarie delle culture asiatiche, ed esistono da più tempo rispetto all’occidente. Si tratta di informazioni che sono state rimosse dalla cultura occidentale, ed è un vero e proprio squilibrio all’interno di un sistema in cui la conoscenza è davvero disponibile a tutti i livelli, e la vera fonte di ogni informazione è riconosciuta. L’idea per cui la matematica sarebbe uno strumento di spiegazione, o una modalità di conoscenza, si può ritrovare nella Cabala, nella numerologia, nella magia, e nella scienza tantrica, ecc. E progredisce l’idea che ci troviamo ai confini del sapere: siamo ancora alla ricerca di risposte tramite l’uso dei computer, o di altre apparecchiature – di nuovo, i nostri limiti sono rappresentati dalle macchine che costruiamo. Il vero progresso deve avvenire attraverso lo sviluppo della coscienza, un processo parallelo all’evoluzione dell’umanità. La Coscienza Cosmica: Uno Studio sull’Evoluzione della Mente (1901), di Richard Maurice Bucke, contiene al suo interno una tavola degli stadi della Coscienza e, secondo Bucke, innanzi a noi vi sono ancora diversi secoli prima che si raggiunga una piena realizzazione della coscienza. Mi concentro molto sui mezzi di espansione della coscienza, sul provare a stabilire nuove connessioni, sul mettere alla prova le conoscenze acquisite e aprire la strada a nuove possibilità – che saranno poi fissate all’interno di un paradigma ben definito. In questo senso, la mia alchimia consiste in un sistema di opposti che permette il paradosso, piuttosto che negarlo.

The Anti-Group, «Test Tones», 1988

Il tuo prossimo progetto, il lungamente atteso Meontological Research Recording 3 (Meon 3), è l’ultimo capitolo di una trilogia imperniata sul concetto di «meon» di Michael Bertiaux. Meon 3 è un’opera dedicata alla teratologia e alla psicoacustica alla quale stai lavorando da circa 10 anni: si preannuncia come la soglia decisiva del tuo percorso artistico e intellettuale. L’uscita è prevista per il 2019. Cosa ci puoi raccontare di questo ambizioso progetto?
Il nome del progetto è T.A.G.C. – Transmission from the Trans-Yoggothian Broadcast Station – Meontological Research Recording 3. Meontological 3 copre una vasta area di ricerca comprendente la scienza outsider e le idee patafisiche di Alfred Jarry, ed esplora alcuni dei temi principali e dei concetti espressi nel La Couleuvre Noire di Michael Bertiaux , nel Cult of Lam di Kenneth Grant, così come nelle opere di Jack Parsons (il cui nome reale è John Whiteside Parsons, ndt) e Marjorie Cameron. Il lavoro indaga i nuovi sviluppi del Voodoo gnostico, così come gli aspetti scientifici impliciti all’esoterismo. Ad ogni traccia corrisponde un film e un saggio che esplorano le connessioni e i concetti correlati a ciascuna specifica idea, fornendo ulteriori riferimenti. Ogni brano musicale è un’invocazione progettata al fine di richiamare un canale di trasmissione di conoscenze inerenti al brano stesso.

Ad esempio, «Meontological Cartography», realizzata assieme a Michael Bertiaux, è un’opera audiovisiva basata su dipinti e disegni originali provenienti da suoi vecchi lavori e dalla sua opera, Vudu Cartography, pubblicata da Fulgur Limited (2010). Un altro esempio di collaborazione efficace, riguarda il brano realizzato assieme a Barry William Hale, direttamente ispirato al suo libro Legion 49, così come ad altre idee mutuate a partire da concetti teratologici e patafisici. Legion 49 esplora i tradizionali metodi di evocazione e i miti riguardanti Beelzebub, offrendo una rivisitazione iconografica e sigillica della sua orda di quarantanove servitori attraverso la simmetria-protettiva dell’antica arte messicana del papel picado. Ogni traccia audio di Meontological 3 è sincronizzata con un’invocazione visiva. Le registrazioni impiegano campionamenti di trasmissione radio biologiche, terrestri e informazioni ELF (Extremely Low Frequency, ndt). I film utilizzano tecniche di montaggio multiple e manipolazioni di immagini finalizzate alla sincronizzazione.