Accelerazionismo Saudita

Come immagina l’Arabia Saudita un futuro post-petrolifero e completamente automatizzato? L’ambigua utopia di Neom, l’enorme città-robot progettata nel quadro del piano Saudi Vision 2030

Più volte, negli otto libri che compongono La guerra del Peloponneso di Tucidide, ci si imbatte in scene che descrivono la costruzione di un trofeo. Per trofeo si intende una sorta di tempietto votivo che i soldati dei diversi schieramenti erigono sui luoghi che li hanno visti protagonisti di una vittoria o anche solo di un’azione coronata da successo. Capita abbastanza di frequente infatti che i trofei vengano eretti quando ancora la battaglia non è terminata, così come può capitare che alla fine a soccombere, a risultare sconfitto, sia proprio chi ha il trofeo lo ha eretto celebrando così un’azione eroica ma condotta invano.

Ci leggo, in questa pratica memoriale, la necessità di imprimere un marchio sul territorio, di modificarlo in risposta tanto al proprio bisogno di ricordare quanto a quello di lasciare su di esso un segno tangibile del proprio passaggio. È forse questa la dimensione psicologia ultima, profonda, dell’era geologica che stiamo vivendo e che chiamiamo Antropocene per indicare l’impatto irreversibile che l’uomo ha sull’ambiente che ci circonda, la sua facoltà di alterarlo definitivamente?

Lascio aperta la domanda, limitandomi a osservare come l’atto di fondare una città condivida numerosi aspetti con la pratica riportata da Tucidide, configurandosi come uno dei gesti «antropocenetici» per eccellenza. Come dimostrano alcuni degli esempi più vicini a noi – da Astana a Brasilia, da Washington a San Pietroburgo – la fondazione di una città pare sempre essere l’espressione di una precisa volontà di potenza, un gesto che mescola insieme la vanità di chi sa di poter incidere il tessuto della Storia e la megalomania di chi s’aspetta di essere ricordato per il suo contributo allo sviluppo dell’umanità.

Uno dei video promozionali per la città saudita di Neom

Il primo e principale robot

Di questa lunga genealogia che annovera lungo il suo corso tutte quelle città nate non tanto dal cristallizzarsi di insediamenti spontanei, quanto dalla volontà creatrice dell’uomo, il megaprogetto saudita chiamato Neom rappresenta l’ultimo capitolo. Lo fa con una dichiarazione d’intenti potentissima che, fin dal nome, chiarisce l’orizzonte delle ambizioni che animano questo progetto. Neom è infatti l’unione tra la parola latina «neo», ovvero nuovo, e la prima lettera del vocabolo arabo «mostaqbal», che significa «futuro». Neom vuole quindi essere la città che rappresenta, per la nostra epoca, una nuova immagine del futuro e che, fin dalla composizione del suo stesso nome, si presenta come una realtà all’incrocio tra due delle maggiori culture del mondo. Un carattere rafforzato dalla posizione scelta per costruirla. Se il trentaduenne principe saudita Mohammed Bin Salman, l’uomo che l’ha sognata, sarà capace di trovare i 500 miliardi di dollari di investimenti necessari per trasformare la sua visione in realtà, Neom sorgerà infatti su una superficie di 26.500 chilometri quadrati che si estendono in una regione desertica al confine tra Arabia Saudita, Egitto e Giordania, affacciata là dove il Mar Rosso e il golfo di Aqaba mescolano le rispettive acque. Una location a cavallo tra l’Occidente europeo, il continente africano in via di sviluppo, l’arrembante miracolo asiatico e il mondo arabo con le sue violente trasformazioni. Una posizione in grado di farne un «hub globale per il commercio, l’innovazione e la conoscenza» a non più di poche ore di volo dalle più importanti capitali mondiali.   

«Qualcuno potrebbe guardare a queste antiche colline e non vederci nulla, oppure non vedere nulla che ti trattenga». Sono queste le parole recitate dalla voce narrante in apertura del video che presenta Neom sul sito ufficiale del progetto, mentre l’inquadratura galleggia nell’aria mostrandoci l’immagine in 4k di un tratto di costa diviso a metà tra le tinte rosseggianti di frastagliate colline argillose e le gradienti sfumature d’azzurro di un mare limpidissimo. Questo territorio diventa, prosegue la voce narrante poco più avanti, «la pagina bianca su cui scrivere il prossimo capitolo dell’umanità». Un capitolo caratterizzato da una visione tesa a costruire la prima città realmente futuristica, un luogo «dove le menti più vaste e i migliori talenti siano messi in condizione d’incorporare idee pionieristiche e superare i confini in un ambiente ispirato dall’immaginazione». Per farlo verranno impiegate le più avanzate tecnologie disponibili oggi.

Enormi campi di pannelli solari accoppiati a turbine eoliche provvederanno ad alimentare le griglie energetiche necessarie a soddisfare il fabbisogno energetico della città, rinunciando all’utilizzo di fonti non rinnovabili. All’interno della conurbazione, un sistema di trasporto automatizzato al 100% permetterà di muoversi lungo tutte e tre le dimensioni dello spazio.

Un sistema sanitario avanzato verrà creato grazie all’uso delle più moderne biotecnologie. Neom sarà infatti  il cuore della ricerca sulla terapia genica, la genomica, la ricerca sulle cellule staminali, la nanobiologia e la bioingegneria. Allo stesso modo la ricerca provvederà a creare soluzioni all’avanguardia per produrre cibo fresco in mezzo al deserto e ottenere acqua potabile dal mare, in modo da poter provvedere al fabbisogno dell’intera popolazione. Anche i bisogni materiali verranno soddisfatti in modo molto simile. Grazie ad avanzate tecniche di fabbricazione (nanotecnologie, stampa 3d, sensori, veicoli elettrici, robotica e dispositivi IoT), a Neom verrà esplorato tutto un nuovo mondo di possibilità per la produzione futura. Uno stimolo alla creatività che sarà d’ispirazione per i più visionari talenti nel settore dei media al mondo, che in Neom troveranno le infrastrutture perfette per sperimentare con linguaggi in grado di orientare i futuri sviluppi dell’umanità. Un’umanità in cui le scienze tecnologiche e digitali (l’intelligenza artificiale e la realtà virtuale) avranno un posto di sempre maggior rilievo, nei confronti dei quali Neom agirà come una vera e propria piattaforma open source. Più che una città interamente automatizzata, Neom sarà «il primo e principale robot», una megamacchina senziente in grado di approntare per i suoi abitanti una nuova forma di vita in comune.  

Dalla brochure promozionale di Neom

Saudi Vision 2030

Il progetto di Neom si inserisce nel quadro del più ampio progetto denominato Saudi Vision 2030. Approvato dal Consiglio dei Ministri saudita il 25 aprile del 2016, Saudi Vision 2030 è l’ambizioso piano di trasformazione nazionale che pone gli obiettivi economici necessari a disegnare per il regno arabo uno scenario post-petrolifero.

Negli ultimi otto anni, il deficit dell’Arabia Saudita è infatti cresciuto molto rapidamente. Tanto che il saldo del bilancio in percentuale sul prodotto interno lordo del paese ha iniziato a diminuire a partire dal 2012 ed è rapidamente precipitato sotto lo zero tra il 2013 e il 2014, registrando nel 2016 il suo picco più basso: -17,2%.

L’economia saudita è legata a doppio filo al mercato petrolifero e il calo dei prezzi del greggio a cui si è assistito in questi ultimi anni l’ha colpita duramente. Da qui la necessità e l’urgenza di disegnare un futuro economico capace di ridurre la dipendenza del regno dal petrolio, aprendo il paese verso altri settori strategicamente più importanti in chiave di sviluppo futuro dell’economia nazionale.

Come si può leggere nel documento integrale di presentazione del piano, quelli economici non sono i soli obiettivi di Saudi Vision 2030, tutt’altro. Il primo obiettivo dichiarato è infatti quello di promuovere una società vibrante, capace di produrre benessere per i cittadini attraverso la promozione della cultura, dell’intrattenimento, di una vita sana e lo sviluppo delle città. Il tutto in accordo con le profonde radici islamiche del paese che, vale la pena ricordarlo, è fra i più conservatori e autoritari.

Proprio questi sono gli aspetti più critici, che gettano ombre sulla reale portata del cambiamento prospettato in Saudi Vision 2030. Questo sembra essere infatti accompagnato, racconta il giornalista libanese Rami Khouri in un articolo tradotto su Internazionale, da una brusca virata nel modo in cui l’Arabia Saudita ha condotto fino a oggi la sua politica estera. Una serie di mosse spregiudicate e un atteggiamento definito «da gangster», così come la repressione interna, sembrano andare in forte contraddizione con un percorso di cambiamento che appare più auspicato che perseguito. A questo si aggiungono gli aggiustamenti operati in corsa al piano economico, che paiono metterne in discussione l’effettiva praticabilità. Che l’utopia sia forse rimandata a data da destinarsi?

Quale utopia?

La prima volta che, circa un anno fa, ho sentito parlare di Neom, non ho potuto fare a meno di restare colpito dalla potenza immaginifica del suo progetto. Per chi ha tra i suoi orizzonti ideali la pretesa della piena automazione, questo enorme robot in forma di città non può che rappresentare una fonte di fascino. Alimentato da energie pulite e rinnovabili, innervato con le tecnologie più all’avanguardia in tutti i settori (dalla produzione alla ricerca), parlato dai linguaggi creativi più innovativi e capace, nelle intenzioni, di creare una nuova forma di convivenza tra le persone che ne abitano il territorio, Neom si presenta come uno squarcio su quella dimensione utopica del pensiero politico il cui ritorno nel discorso è, da sempre più parti, auspicato come orizzonte nella costruzione di un futuro capace di ridare slancio alla Storia sempre più appiattita nella circolarità del tempo imposto dal capitalismo. Un argine alle distopie che con sempre maggiore frequenza sembrano percolare dai prodotti dell’immaginario, appiccicandosi alla realtà che ci troviamo a vivere ogni giorno.

Tuttavia, il pensiero utopico – a ricordarcelo è il Fredric Jameson de L’inconscio politico – da solo non basta a garantire né la radicalità né una volontà progressista di trasformazione dell’esistente. Piuttosto, ci dice il critico americano, «ogni coscienza di classe, di qualsiasi tipo, è utopistica nella misura in cui esprime l’unità di una collettività […]. La collettività raggiunta o un gruppo organico di qualsiasi genere – degli oppressori come degli oppressi – è utopistica non in se stessa, bensì solo nella misura in cui tali collettività sono figure della vita collettiva concreta ultima di una raggiunta società utopistica o senza classi».

Sembra perciò difficile che Neom, espressione di un tentativo di riorganizzazione dell’assetto del capitale in uno dei paesi più conservatori del mondo, possa finire per diventare l’espressione di una società priva di classi, ovvero una società pienamente utopistica così come Jameson ce la prospetta. Ci vorrà grande concentrazione per non venir superati a destra, sulla corsia di accelerazione.