Storia (da fan) della fanfiction in Italia

Creatività, desiderio, e un cesto dei giocattoli in comune: ascesa (e declino?) di un genere che arriva indietro nel tempo fino a Shakespeare e Virgilio

Pubblichiamo un estratto, originariamente intitolato Rifarsi una storia. Genesi (e resistenza) della fanfiction, dalla raccolta Nerdopoli in uscita in questi giorni per Effequ. Ringraziamo l’editore e la curatrice e autrice Eleonora C. Caruso per la disponibilità.


Qualunque buon articolo che tenti di spiegarvi cosa siano le fanfiction partirà dicendo che tutto è cominciato con Star Trek, e in effetti le prime fanfiction propriamente dette furono pubblicate tra il 1967 e il 1970 sulla fanzine Spockanalia, nata durante la trasmissione della prima stagione della serie.

A essere precisi, però, bisognerebbe risalire al 1888, e al debutto di Sherlock Holmes sulle pagine della rivista The Strand. I fan del detective si scrivevano lunghe lettere per parlarne, congetturare, risolvere i casi prima di lui, se possibile si incontravano direttamente, ma soprattutto scrivevano storie. Sotto il naso di un perplesso Sir Conan Doyle, avventure apocrife del suo personaggio passavano di mano in mano (centoventi di queste sono state recentemente raccolte nei due volumi Sherlock Holmes Victorian Parodies and Pastiches), e pare che gli autori si sostenessero l’un l’altro, leggendosi e spronandosi a vicenda. Tra questi c’erano molte donne, e sì, alcune di loro scrivevano di Holmes e Watson in atteggiamenti romantici. Ma ci torneremo.

Adesso proviamo a essere ancora più precisi, andando ancora più indietro, fino al 1562, quando venne pubblicato un poema narrativo a opera di Arthur Brooke dal titolo La tragica storia di Romeo e Giulietta. Si trattava di una cautionary tale, una di quelle noiose storie scritte per mettere in guardia i giovani dal rischio di fare di testa propria. Senonché un certo drammaturgo inglese ebbe l’idea di scriverne una sua versione, stavolta dal punto di vista dei giovani.

L’opera più famosa di William Shakespeare è, insomma, una fanfiction. Ha scritto una fanfiction Ludovico Ariosto quando si è inventato il seguito – critico e parodico – dell’Orlando Innamorato di Boiardo, e ha scritto una fanfiction Virgilio con l’Eneide.

Avrei potuto iniziare spiegando che cos’è una fanfiction, ma a questo punto vi sarete accorti di saperlo già. Si intende, per fanfiction, l’arte trasformativa che consiste nella rielaborazione in forma scritta di soggetti preesistenti, reali o immaginari. Sherlock della BBC è una fanfiction. Orgoglio e pregiudizio e zombie è una fanfiction. Le riscritture delle fiabe solitamente chiamate retelling sono fanfiction. La differenza sta nel mezzo – siamo abituati a pensare che le fanfiction esistano solo online – e nella decorrenza o gestione dei copyright. L’intuizione, però, è esattamente la stessa.

Credo che scrivere sia sempre utile per migliorare le capacità di scrittura. Credo che si diventi scrittori più bravi scrivendo, e che si tratti di scrivere un singolo profondo e commovente romanzo sul dolore e il piacere nell’esistenza moderna o una storia erotica gay tra Smeagol e Gollum, si tratta comunque di infilare una dannata parola dietro l’altra e imparare a scrivere (cit. Neil Gaiman).

Da quando è uscito il mio primo romanzo, mi è stato chiesto più volte di dire due parole sulla mia esperienza di autrice di fanfiction, come se si trattasse di un caro parente defunto. Voglio innanzitutto smentire queste voci: tale esperienza gode di buona salute e, al netto della mancanza di tempo, è sempre presente nella mia vita come lo zio un po’ matto che mette in imbarazzo tutti ai matrimoni. Dovendo rispondere velocemente, però, mi sono spesso trovata davanti a un bivio: raccontare solo il bene, rischiando di far passare il mondo del ficwriting come la landa di unicorni che non è, o raccontare solo il male, facendo l’esatto contrario. A volte, nel dubbio, ho raccontato l’assurdo, perché almeno fa ridere. Quello che non ho mai raccontato, però, è stata la mia intera esperienza, che si intreccia quasi del tutto all’ascesa (e al declino?) della scrittura amatoriale in Italia.


1993: 8 A. EFP*

Essendo il sito www.efpfanfiction.net universalmente riconosciuto come spartiacque tra la prima e la seconda fase della scrittura amatoriale in Italia, si userà come riferimento per datare le varie fasi del ficwriting in italiano. L’anno di fondazione di EFP, cioè il 2001, sarà per tanto il nostro Anno Zero. «A. EFP» sta dunque per «Avanti EFP».

Ammetto di non sapere come se la passassero le fanfiction in Italia alla fine degli anni Ottanta, quando io ero bambina e trascorrevo il mio tempo immaginando nuove storie sui miei personaggi del cuore. Negli Stati Uniti le fanzine vivevano la loro ultima stagione prima che l’avvento di internet le cambiasse per sempre, mentre in Giappone si assisteva alla crescita di un fenomeno analogo destinato a imporsi sul mercato nel decennio successivo: le dōjinshi. Nella nostra penisola, invece, una sorta di fanfiction erano le produzioni apocrife legate a successi animati televisivi, come Candy Candy e Lady Oscar, che però si trovavano in libreria, pubblicate da Fabbri Editore.

Nel 1993, quando nacque il World Wide Web, io avevo sette anni e dedicavo ogni alito della mia giovane vita al pensiero dei Tiny Toons, ma i miei fratelli maggiori spirituali erano già partiti come pionieri alla scoperta del mondo che ci avrebbe accolti. Alcuni di loro erano attivi da tempo sulle reti informatiche universitarie e su FidoNet quando, nel 1995, venne fondato su Gerarchia.it il primo newsgroup dedicato ai cartoni animati, soprattutto giapponesi, It.spettacolo.cartoni (successivamente It.arti.cartoni). Qui venivano prodotte anche molte fanfiction, di cui rimane traccia in un archivio aggiornato al 1999.

Il genere più in voga era la parodia, ma non mancava chi si cimentasse anche in storie più serie, anticipando la tendenza degli anni Zero. In questa fase era già evidente il doppio filo che, in Italia, legava la scrittura amatoriale all’animazione giapponese, diversamente dall’America, dove la radici affondano nelle diverse produzioni – letterarie, cinematografiche, telefilmiche – degli immaginari fantasy e Sci-Fi. Unica eccezione notabile era la serie X-Files, il cui impatto sul pubblico italiano contribuì non poco ad aprire le porte alla diffusione delle fanfiction nel nostro Paese. Per tutti gli anni Novanta, però, parlare di «fenomeno» sarebbe stato prematuro, e le storie scritte dai fan si limitavano a esistere silenziose nelle grotte per iniziati.

Quello che avrei trovato pochi anni più tardi nella community dei ficwriter fu: creatività, sostegno, e il cesto dei giocattoli in comune.

Torniamo a noi, diciamo al 1997. Avevo undici anni e non lo sapevo, ma il mio destino era scritto in una parola giapponese: otaku. Due forti ossessioni mi avevano travolta, una dietro l’altra: Sailor Moon e Ranma ½. Oltre alla massiccia produzione di disegni, su entrambe le serie avevo ideato quelli che io e i miei compagni di classe chiamavamo «film», cioè piccole recite che un padre volenteroso e dotato di telecamera doveva filmare, pena i musi lunghi. Tuttavia i film alla lunga erano frustranti, perché mi costringevano a dipendere da altre persone, così la mia attività prediletta rimase inventare storie nella solitudine della mia scatola cranica, concedendomi solo di tanto in tanto di disegnarne delle scene.

Le cose cambiarono nel 1998, quando giocai al gioco di ruolo giapponese per Playstation Final Fantasy VII. Niente da allora contò più di quel gioco, per me. Il mio bisogno di parlarne con qualcuno, con chiunque, era così intenso da eclissare tutto il resto. Dopo un assedio durato mesi, convinsi mio padre a sottoscrivere il nostro primo abbonamento a Internet. Oltre a navigare tra i siti – perlopiù stranieri – iniziai a frequentare le chat dedicate ad anime e manga su Atlantide.it, la prima community online italiana accessibile dal portale di tin.it. Nel frattempo avevo anche cominciato a mettere per iscritto alcune delle storie che inventavo su Final Fantasy VII. Si trattava perlopiù di scene sparse, quasi esclusivamente dialoghi, e mi importava così poco di tenerle che quando finivo un foglio (di carta) semplicemente continuavo a scriverci sopra con un pennarello o una penna più scura.

Poi mio padre cambiò il pc e io magicamente me ne trovai uno in camera (senza la connessione a Internet, strettamente subordinata alla presenza di un adulto), così decisi di provare a scrivere qualcosa in modo più serio. Spoiler alert: non ci riuscii, però parlai dei miei tentativi a un ragazzo con cui mi scambiavo un mucchio di mail, sfidando la paura di essere derisa; lui non solo mi prese sul serio, ma mi propose anche di scrivere una storia insieme. Fu lui a farmi il primo complimento per la scrittura che non venisse da un insegnante, e fu con lui che cominciai a usare quella parola, fanfiction. Questo incontro fu l’impronta di quello che avrei trovato pochi anni più tardi nella community dei ficwriter: creatività, sostegno, e il cesto dei giocattoli in comune.

1999: 2 A. EFP

Dai tempi delle fanfiction su Sherlock Holmes sono soprattutto le donne, si diceva, a scrivere fanfiction, e del resto sono donne quasi tutte quelle che nel corso del tempo hanno ottenuto pubblicazioni importanti. Eppure all’inizio i ficwriter maschi c’erano, e non pochi. Basandomi soltanto sulla mia esperienza – che è soggettiva, parziale e non numerabile – direi che erano quasi la metà. Anche nei generi c’era meno omogeneità di quanto si potrebbe immaginare. I ragazzi scrivevano storie comiche e avventurose, ma anche sentimentali ed erotiche. Com’è successo, quindi, che gli autori abbiano ceduto terreno alle autrici tanto da autoescludersi dai giochi?

Forse il racconto del sesso c’entra qualcosa. Se per un adolescente maschio era piuttosto facile trovare materiale erotico vicino ai suoi bisogni, una resistenza culturale vecchia come il mondo faceva sì che per le adolescenti femmine non lo fosse altrettanto. Così, mentre per i ragazzi le fanfiction restavano un luogo dove appagare altri tipi di fantasia, per le ragazze diventavano il tanto agognato terreno neutrale dove mettere a fuoco le proprie.

Va considerato anche il fattore slash e yaoi. Il genere, che racconta storie d’amore tra uomini, all’epoca era quasi sconosciuto anche dai lettori di fanfiction, e le sue cultrici – in maggioranza donne, ma anche uomini gay e bisessuali – vivevano questo interesse in solitudine o microcomunità di intimi. A muovere le cose in Italia fu il collettivo delle Puccigirls, un gruppo di ragazze in età universitaria che fondò il sito YSAL – Yaoi Shounen Ai Lovers. Da riserva per una specie protetta, YSAL divenne villaggio, poi città, poi metropoli, e infine ruppe le righe, riversando i suoi abitanti sui canali mainstream.

Come già detto, né la componente sessuale delle fanfiction scritte da donne, né lo slash, erano in sé una novità (Marion Zimmer Bradley, per dirne una, iniziò la sua carriera da autrice scrivendo fanfiction su Kirk e Spock di Star Trek). Negli anni Zero, tuttavia, si avviò un processo tale da rendere le due cose una tendenza dominante. Le fanfiction non erano più solo un modo per tenere con sé i personaggi amati, stavano diventando un mezzo per rielaborare la realtà fuori dalle regole imposte dal mainstream, esplorando desideri, pulsioni, problematiche, immaginari. Un virgolettato nell’articolo del New York Times del 1997 attribuisce al professore universitario, studioso e ficwriter Henry Jenkins queste famose parole:

«Guardandoci indietro, le storie chiave che ci raccontavamo erano quelle importanti per tutti e che appartenevano a tutti. La fanfiction è un modo in cui la cultura ripara al danno che viene fatto da un sistema in cui i miti contemporanei appartengono alle multinazionali anziché alla gente».

Forse, essendo l’intrattenimento di massa modellato soprattutto sul pubblico maschile, questo non sente l’istinto di «porre rimedio» alle sue mancanze, come capita invece a quello femminile. Oppure, nello scenario in trasformazione, è possibile che i ficwriter si siano sentiti intimiditi da una presenza femminile sempre più ingombrante, e che bollato l’interesse per le fanfiction come «da donne» lo abbiano abbandonato. Ma i maschi, in realtà, scrivono ancora fanfiction. Alcuni apertamente, altri usando false identità, altri ancora non chiamandole fanfiction; preferiscono romanzi, o sceneggiature, e state pur certi che prima o poi li vedrete comparire in un gruppo sul loro cartone o telefilm preferito, intenti a chiedere i dati per farle arrivare ai creatori, i quali ne trarranno – ovviamente – una nuova serie. I sogni, come si dice, son desideri.

Non c’erano like, condivisioni, kudos, follower, e nemmeno commenti pubblici. Il contatto coi lettori era quasi sempre privato – ti scrivevano email, o ti parlavano sulle chat che frequentavi.

Tra il 1999 e il 2000 le sezioni dedicate alle fanfiction dei siti monografici crescevano esponenzialmente, favorendo la nascita spontanea di due nuovi tipi di siti. Uno erano piccoli archivi misti, sempre gestiti manualmente, dove la webmaster (da ora in poi userò il femminile per coerenza numerica) pubblicava inizialmente le storie proprie e del suo giro di amici, finendo poi quasi sempre per aprirsi alle proposte esterne. Due esempi importanti di questo furono IM-FA (Italian Multi-Fanfiction-Archive) di Julie-chan, il primo in assoluto di questo tipo nel nostro paese, e Neverland di Lener, che si distingueva per la qualità medio-alta delle storie presenti. Il limite di questi siti, a volerlo considerare tale, era però che si trattava pur sempre di spazi personali, i cui contenuti tendevano a settorializzarsi sugli interessi della webmaster.

Il secondo tipo di sito erano gli archivi cosiddetti «personali», laddove contenevano solo i lavori di una singola autrice, che era anche webmaster. Con la nascita dei siti automatizzati, ad esempio Fanfiction.net, gli archivi personali avrebbero assunto un ruolo a essi complementare, ma in questa fase era più facile che nascessero intorno al progetto specifico di una fanfiction in più capitoli. Con questi siti nascevano anche alcuni dei primi nomi significativi dei fandom: Leia con K&K su Holly e Benji, Pito-chan con La rabbia degli angeli (e infinite altre) su Dragon Ball, e Alessia Heartilly con Il mio Cavaliere su Final Fantasy VIII.

Quest’ultima in particolare ebbe un primo e forte impatto su di me, che avevo circa quattordici anni. Si trattava di una fanfiction particolarmente matura per temi e stile, in cui l’autrice immaginava che Rinoa, la protagonista femminile del gioco, fosse bulimica. Mossa dal sacro fuoco dell’emulazione pubblicai su un sito creato ad hoc una storia dai contenuti simili a cui stavo lavorando, sempre su Final Fantasy VII, ma la rimossi dopo poco tempo nonostante il seguito che velocemente stava ottenendo perché non mi piaceva abbastanza. Fermarmi al momento migliore è il mio superpotere.

Ho citato dei «nomi significativi del fandom», ma rendersi conto della propria popolarità di autore non era per niente scontato, in quegli anni. Non c’erano like, condivisioni, kudos, follower, e nemmeno commenti pubblici. Il contatto coi lettori era quasi sempre privato – ti scrivevano email, o ti parlavano sulle chat che frequentavi, o cose del genere – e mi manca. I metodi d’interazione, insieme a quelli di pubblicazione, sarebbero cambiati presto. EFP era alle porte, e per gli autori di fanfiction iniziava il dopo.

2001: anno Zero

Dicevamo che Fanfiction.net (fondato il 15 ottobre del 1998 da Xing Li, uno studente della UCLA fan di X-Files) è stato il primo portale la cui discriminante per pubblicare qualcosa era che quel qualcosa fosse una fanfiction. Salvo casi di moderazione, l’autore non aveva rapporti con il gestore del sito: gli era sufficiente iscriversi e caricare il proprio lavoro nella sezione adatta – o chiederne prima la creazione, se questa non c’era. Chi ha iniziato a interessarsi di fanfiction di recente penserà che questo sia scontato, ma tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Zero non lo era, e in Italia ancora meno: dopo aver scritto una storia, per pubblicarla era necessario contattare via email il webmaster del sito di riferimento affinché lui o lei la caricassero manualmente nell’apposita pagina – a patto però che volessero farlo. Infatti, benché la prassi fosse quella di accettare tutto (anche perché una sezione fanfiction nutrita dava il polso della presenza di una community altrettanto nutrita sul sito), i contenuti di una storia o la sua (s)correttezza formale potevano dare motivo al webmaster di rifiutarla. In ogni caso, dato l’iter e le diverse possibilità di connessione alla rete, avrete capito che le fanfiction, come tutto il resto, venivano aggiornate «in blocchi», con cadenza irregolare. Potevi visitare la pagina venti volte e non trovarci niente di nuovo – poi, alla ventunesima, ti seppelliva.

Nel 2001 l’anime Neon Genesis Evangelion (abbreviato NGE) era entrato nella mia vita con la grazia di un panzer coperto di dinamite, così avevo prodotto in breve tempo una raffica di storie brevi sui suoi personaggi, oltre al primo capitolo di una long che, per mancanza di tempo, definirò solo «forte». Pur nel mare dell’offerta, scelsi solo due siti a cui inviarle. Del primo sito mi piaceva il webmaster, era intelligente e aveva un senso dell’umorismo a metà tra lo stupido e il genio, del secondo invece mi piaceva l’attenzione della webmaster per la scrittura amatoriale. Nel primo sito trovai un compagno, nel secondo una carriera.

Erika’s NGE Page era uno dei tanti siti monografici sull’anime ad avere una sezione di fanfiction. La stessa Erika ne aveva scritte e tradotte alcune su svariate serie, che ospitava su una piccola pagina parallela chiamata Erika’s Fanfiction Page. Le mie storie le piacquero parecchio, così mi domandò se non potesse metterle su entrambe le pagine, e io le dissi di sì. Per la mia creatura «forte» creò addirittura un avvertimento su misura: non per stomaci delicati. Mi fece e mi fa ancora molto ridere. Erika mi aveva inquadrata più in fretta di qualsiasi editor.

Erika’s Fanfiction Page aveva la stessa struttura di Fanfiction.net (macrosezioni che contengono sottosezioni), ma a differenza di quest’ultimo era aggiornato in modo ancora alla vecchia maniera, quella analogica. Oltre alle storie, Erika riceveva via email anche i commenti dei lettori alle storie, e caricava anch’essi uno a uno. Il sito crebbe in fretta, troppo in fretta per continuare così, ed Erika si mise ben presto al lavoro per renderlo simile a Fanfiction.net in tutto e per tutto. Nacque EFP, il primo archivio di fanfiction automatizzato d’Italia, e a oggi ancora il maggiore.

I bambini leggevano storie di sesso, stupri, incesti, omicidi, i genitori se ne accorgevano e scrivevano a Erika, ritenendola responsabile dei contenuti del sito. In particolare creò un caso la fic Hermione Sadomaso.

L’esperienza con EFP è diversa per ogni utente e solitamente dipende dal momento in cui è arrivato (o se n’è andato). Per quanto mi riguarda, è il corrispettivo online di casa mia: è fuori mano, d’estate è troppo calda, le tubature si intasano facilmente e dalla camera sento i vicini che guardano la tv; ma nessun altro posto mi fa sentire nello stesso modo. Tutto procedeva pacificamente, finché non accadde ciò che normalmente accade a una civiltà all’apice del suo sviluppo: arrivò troppa gente. Era il 2004, e la «gente» erano i fan di Harry Potter.

Con l’esplosione della mania del maghetto in Italia, EFP si riempì di nuove autrici (alcune bravissime, come Savannah, diventata poi una scrittrice affermata) e di nuovi lettori, che però abbassarono drasticamente l’età media dell’utenza. EFP aveva un pubblico di adolescenti e adulti appena sotto i trent’anni, non si era mai attrezzato per accogliere bambini, e doversi registrare dichiarando la maggiore età per leggere storie NC17 (per un pubblico maturo), com’era sempre stato, non servì ad arginare il problema. I bambini leggevano storie di sesso, stupri, incesti, omicidi, i genitori se ne accorgevano e scrivevano a Erika, ritenendola responsabile dei contenuti del sito. In particolare creò un caso la fic Hermione Sadomaso (criptico, vero?), il cui contenuto era pieno di volgarità, ma che venne postata più e più volte con il rating G (per tutti) per il gusto del trolling.

Erika fu costretta ad applicare un regolamento più restrittivo, che limitava certi tipi di contenuti violenti o sessuali, tra cui quelli (per citare solo i casi più comuni): tra personaggi minori di quattordici anni, tra un minore e un adulto, tra familiari. Non molto tempo dopo l’incesto venne vietato in toto, anche in assenza di scene erotiche, nella sezione dedicata alle celebrità, dov’erano in voga le storie sui gemelli Kaulitz dei Tokio Hotel.

Erika, insomma, ci aveva bucato il pallone.

Nacquero nuovi siti automatizzati, più piccoli e più permissivi. Gli archivi personali esplosero, come alternativa o estensione dell’account istituzionale su EFP. Anche Livejournal, con le sue community molto attive, visse momenti di gloria. Qualcosa però si era rotto, noi ci siamo dispersi, e così divisi abbiamo fatto più fatica a proteggere il mondo delle fanfiction dall’avanzata dei social incarnata in Wattpad. Tuttavia, ci siamo ancora. Anche EFP, che con i suoi 194566 autori registrati nel momento in cui scrivo, è vivo e lotta insieme a noi.

2018: 17 D. EFP

Nel 2017 una mia storia in quattro capitoli molto amata compiva dieci anni, e siccome non si trovava più online ho pensato: provo a metterla su Wattpad. Mi sembrava un’idea carina, una sorta di passaggio di consegne, senza contare che non voglio diventare il tipo di persona che passati i venticinque comincia a snobbare tutto ciò che è nuovo solo perché è nuovo. Una settimana dopo, però, dicevo a un’amica queste misurate parole: Wattpad è l’inferno.

Wattpad è una piattaforma di scrittura amatoriale nata nel 2006, che però è diventata famosa solo a partire dal 2013 grazie al successo della fanfiction sulla band inglese degli One Direction After, scritta da Anna Todd e diventata, un anno più tardi, un bestseller internazionale. Il fenomeno seguiva di poco quello di Cinquanta sfumature di grigio di E.L. James, nato invece su Fanfiction.net come alternative universe di Twilight, e la somiglianze tra le due saghe, unita alla loro origine comune, modella l’idea di cosa sia una fanfiction presso il grande pubblico, facendo versare una lacrima di sangue collettiva ai ficwriter di tutto il mondo.

Non è mio interesse farne un discorso di qualità. Sono certa che su Wattpad esistano storie sia di rara bellezza che di rara bruttezza, com’è sempre stato. Mi sembra però necessario specificare che Wattpad contiene fanfiction, ma non è un sito di fanfiction, in quanto queste ne costituiscono parte minoritaria e non focale dell’offerta. Mentre scrivo, delle cento Storie in Primo Piano sulla piattaforma solo una è una fanfiction. E delle storie nate come tali che sono riuscite a emergere e farsi pubblicare, tutte seguono l’impronta di After: il protagonista ha il nome del frontman di una band; fine.

Ciò che distingue drasticamente Wattpad dal modo in cui si è sempre affrontata la scrittura derivativa – da Sherlock Holmes in poi – è che il suo approccio, complici i successi succitati, è aziendale. Gli autori, giovanissimi, iniziano a scrivere sapendo che potrebbero essere notati e pubblicati a fronte di un certo riscontro. Ma quali sono le storie visibili a un visitatore comune, vale a dire uno che non ha ricevuto il link da te? Lo decide un algoritmo basato sull’interazione. Più letture, commenti, stelle, segnalibri, riceve una storia, più questa balza nel feed e diventa visibile. Pubblicare qualcosa da zero non basta, diventa necessario fare «vita sociale» per entrare nel circolo virtuoso, quindi mettere a tua volta commenti, stelle, segnalibri alle altre storie – possibilmente simili alla tua, affinché l’algoritmo le associ.

Wattpad Studios funge da direttamente da agente, mettendo in contatto le autrici delle storie più popolari con le case editrici – e guadagnando, di fatto, dalla vendita dai diritti.

Il problema, però, è che l’interazione necessaria per vedere dei segni di vita sul proprio profilo è massiccia, e da qui il target adolescente: servono tempo e «mentalità social» per farcela. Per curiosità io ho provato a non segnalare per tutto il primo giorno la mia storia ai miei lettori, così da rendermi conto di quante visite genuine avrebbe ricevuto (visite, non apprezzamento: sono prontissima ad accettare che una mia storia scritta a vent’anni non incontri il gusto delle ventenni di adesso). Ebbene: il risultato è stato di tre visite, finché non ho iniziato a lasciare stelle su tutte le storie consigliatemi dal feed, comprese quelle che non leggerei neanche con gli occhi di un’altra. A quel punto ricevevo l’attenzione degli autori in questione, che per ricambiare seguivano il mio profilo e stellavano il mio scritto senza che potessero mai realmente aver avuto il tempo di leggerlo. Anche le PR sono un talento.

Non sto rivelando nessun segreto malvagio, chiariamoci; è Wattpad stesso a suggerirvi queste cose, quando vi iscrivete. D’altra parte è un social network, quindi un’azienda, e fa soltanto il suo lavoro. Addirittura il branch Wattpad Studios funge da direttamente da agente, mettendo in contatto le autrici delle storie più popolari con le case editrici – e guadagnando, di fatto, dalla vendita dai diritti. Niente di tutto questo è male per forza, ma se abbiamo in precedenza detto che la magia della fanfiction sta proprio nella possibilità di riappropriarsi dell’immaginario, e offrire e offrirsi un’alternativa alla cultura mainstream posseduta dalle aziende… che cosa rimane, se le aziende possiedono anche le fanfiction?

Noi però resistiamo. Con le nuove regole restrittive di Fanfiction.net – e l’arrivo di un pubblico generalista che spera di emulare E.L. James – autori e lettori internazionali si stanno spostando su un nuovo archivio, Archive Of Our Own (AO3). In Italia EFP regge i colpi, e la nutrita e fantasiosa community Lande di Fandom sforna un’iniziativa dopo l’altra apposta per i ficwriter (ma accettano anche lavori originali, non sono razzisti). Quindi, scriviamo. Scriviamo e divertiamoci.