Le voci cancellate della sinistra ucraina

Il westsplaining della sinistra occidentale cancella le esperienze politiche complesse che si oppongono all’imperialismo russo. Un’intervista a partire dalla raccolta di testimonianze Qui siamo in guerra (Malamente, 2022).

Per la sinistra occidentale, il giudizio sull’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe della Federazione Russa si è rivelato un nodo politico complesso da sciogliere, che ha aperto numerose linee di faglia in un’area politica già messa alla prova da una fase, quella del conflitto tra populismi e liberalismi, le cui coordinate non sono state sempre di facile lettura. Nel dibattito che è seguito all’aggressione orchestrata da Putin fin dal 2014, la sinistra occidentale ha faticato a riconoscerne e stigmatizzarne in modo chiaro la natura imperialista, concedendo alle argomentazioni della propaganda russa uno spazio che a quelle di chi subiva le conseguenze dirette dell’invasione veniva al contempo minimizzato, se non addirittura negato.

Un atteggiamento che numerosi accademici e militanti dell’Europa orientale e centrale hanno avvertito così frustrante da coniare, per descriverlo, un neologismo, westsplaining, modellato sul concetto femminista di mansplaining. Le voci della sinistra ucraina (ma anche bielorussa e russa) sono state così messe in minoranza, quando non cancellate del tutto dal dibattito sulla guerra, interno alla sinistra occidentale. Per restituire loro uno spazio e una visibilità, nell’autunno del 2022, l’editore anarchico Malamente ha pubblicato un libro, Qui siamo in guerra, che si pone proprio il compito di presentare al pubblico italiano scritti e testimonianze prodotte dai movimenti anarchici, antifascisti e femministi in Ucraina, Russia e Bielorussia in questi mesi di conflitto. Il libro è curato da Nerofumo, un militante anarchico del circolo Berneri di Bologna, a cui ho chiesto di raccontarci qualcosa a proposito dei testi raccolti nel libro.

Le voci della sinistra ucraina (ma anche bielorussa e russa) sono state così messe in minoranza, quando non cancellate del tutto dal dibattito sulla guerra, interno alla sinistra occidentale.

«Qui siamo in guerra nasce dalla rete di rapporti che, come anarchici, avevamo cominciato a tessere con le compagne e i compagni di quell’area geografica, in particolare le anarchiche e gli anarchici bielorussi, a partire dai primi anni del Duemila», spiega Nerofumo. «In questo periodo di tempo, per loro, come per le compagne e i compagni russi, l’Ucraina, con la sua democrazia fragile e imperfetta, ha rappresentato un porto sicuro verso cui riparare, soprattuto durante l’ondata repressiva che, tra il 2010 e il 2013, ha di fatto annullato i movimenti radicali in Russia e in Bielorussia. Queste compagne e questi compagni avevano preso seriamente la possibilità che le truppe russe avrebbero invaso l’Ucraina e avevano iniziato a organizzarsi per questa eventualità ben prima del 24 febbraio. Di questa organizzazione facevano parte anche i loro canali di comunicazione rivolti verso l’esterno del paese.

Grazie all’esperienza acquisita a partire dal 2014, le compagne e i compagni ucraini avevano capito che era necessario attivare dei canali di comunicazione per contrastare la propaganda russa che, com’è risultato evidente nel corso degli ultimi mesi, attraverso il pretesto della denazificazione ha potuto confondere le acque, creando divisioni all’interno della sinistra e limitando il supporto a chi stava subendo quella che, di fatto, è una violenta aggressione imperialista.

Come militanti anarchici abbiamo iniziato perciò a riprendere i comunicati rilasciati dalle diverse organizzazioni con cui eravamo in contatto, pubblicandoli su Staffetta, il blog del nodo antifascista di Bologna. Questi e altri materiali sono poi confluiti nel libro, il cui criterio di selezione ha privilegiato i comunicati delle organizzazioni e dei collettivi, piuttosto che articoli di opinione. La volontà dell’editore e la mia era infatti quella di avere testimonianze dirette da parte di chi si organizza per resistere all’invasione, piuttosto che le analisi e le opinioni di filosofi o intellettuali a cui veniva già dato fin troppo spazio».

Qui siamo in guerra non restituisce solo uno spaccato delle pratiche di auto organizzazione dal basso che i movimenti della sinistra est europea hanno messo in campo nel contesto dell’invasione, ma anche la varietà di orientamenti politici a cui questi movimenti si rifanno.

Fedele a questo principio curatoriale, Qui siamo in guerra non restituisce solo uno spaccato delle pratiche di auto organizzazione dal basso che i movimenti della sinistra est europea hanno messo in campo nel contesto dell’invasione, ma anche la varietà di orientamenti politici a cui questi movimenti si rifanno. La geografia delle iniziative di auto organizzazione e resistenza che emerge dalla lettura dei testi raccolti nel libro rifletta questa varietà. I collettivi di ispirazione socialista hanno il loro punto di riferimento nell’attività del network Ukraine Socialist Solidarity Campaign. Quelli di ispirazione anarchica si raccolgono invece intorno a Solidarity Collective, la loro organizzazione di punta, che si occupa della logistica degli aiuti umanitari. Accanto a questa opera il Resitance Commitee che si occupa dell’organizzazione e della comunicazione per le unità combattenti.

«Come si può leggere anche in alcuni dei testi raccolti nel libro, la decisione di partecipare attivamente alla difesa del paese, formando unità combattenti inquadrate nell’esercito regolare» spiega ancora Nerofumo, «è stata presa da parte dei collettivi e dei militanti anti autoritari facendo propria l’esperienza maturata durante e dopo le proteste di Euro Maidan. Se l’estrema destra ha avuto così tanto spazio in quel movimento è stato anche perché – questa è l’analisi che fanno le compagne e i compagni ucraini – i movimenti anti autoritari vi ci sono avvicinati con troppe esitazioni».

Nella cultura politica russa, per esempio, il richiamo alla lotta contro il nazismo non identifica uno sforzo strettamente antifascista, bensì tutto quanto viene percepito come contrario all’interesse della Russia come nazione.

«In assenza delle condizioni per dare vita a un esercito rivoluzionario, non partecipare in modo attivo alla resistenza, sia combattendo sul campo che attraverso attività di supporto umanitario, avrebbe significato isolarsi dalla vita pubblica del paese di fronte a una minaccia esistenziale, decretando così la morte politica delle organizzazioni anti autoritarie. Un passaggio, questo, che mi sembra assai poco compreso da parte della sinistra occidentale, su cui purtroppo la propaganda russa ha ancora una presa notevole.

Quando ci si avvicina alla realtà dell’Europa centrale e orientale, infatti, è necessario fare la tara su alcuni concetti che, in quei contesti cambiano radicalmente di senso rispetto alla realtà occidentale. Nella cultura politica russa, per esempio, il richiamo alla lotta contro il nazismo non identifica uno sforzo strettamente antifascista, bensì tutto quanto viene percepito come contrario all’interesse della Russia come nazione.

Allo stesso modo è necessario comprendere come in quei paesi l’eredità del comunismo sia percepita come un’eredità di carattere colonialista. In uno dei testi raccolti del libro c’è un passaggio in cui si parla dei partiti comunisti di quell’area geografica come di partiti conservatori che del comunismo riciclano i simboli senza aver adeguato il loro apparato teorico e le loro pratiche alla realtà contemporanea. Questo però non vuol dire che le compagne e i compagni di quell’area geografica non siano in grado di riflettere in modo efficace su questi temi. I gruppi partigiani che, in Russia, si oppongono attivamente allo sforzo bellico con azioni di sabotaggio, si definiscono anarcocomunisti e la loro è una scelta consapevole e meditata.»

Sostenere le organizzazioni anti autoritarie nelle loro attività e nei loro sforzi dovrebbe essere, oggi, una priorità per la sinistra globale. Smettendo di parlare quella lingua dell’imperialismo che va sotto il nome di geopolitica.

Dando voce al punto di vista di chi, da sinistra, sta vivendo la realtà dell’occupazione militare e organizzandosi per resisterle, i testi raccolti nel volume contribuiscono a inquadrare la posta in gioco del conflitto da un punto di vista antiautoritario. Se l’Ucraina dovesse uscire sconfitta da questo conflitto, sostiene infatti Sergey Movchan di Solidarity Collective in una delle interviste incluse nel libro, è assai probabile che il paese sarebbe scosso da un profondo senso di rivincita che darebbe fiato all’estrema destra nazionalista il cui peso nella società ucraina si era notevolmente ridotto prima dell’invasione. Di contro, una vittoria porterebbe invece a un percorso di unità nazionale sotto il segno del neoliberismo democratico incarnato dalla figura del presidente Zelensky.

«Da un punto di vista antiautoritario, anche questo non sarebbe un esito favorevole. Le compagne e i compagni ucraini sono ben consapevoli che le politiche dell’attuale presidente non saranno loro favorevoli. Ma a essere in gioco, oggi, è la loro sopravvivenza esistenziale e politica. Sostenere le organizzazioni anti autoritarie nelle loro attività e nei loro sforzi dovrebbe essere, oggi, una priorità per la sinistra globale. Non solo perché la loro lotta è anche la nostra, ma anche perché è fondamentale che le organizzazioni di sinistra siano capaci di sviluppare forme di internazionalismo adeguate a un mondo multipolare, di superpotenze in lotta tra loro, smettendo di parlare quella lingua dell’imperialismo che va sotto il nome di geopolitica.»