Di uomini e di meduse
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18 agosto 1961. Il Sentinel, quotidiano locale di Santa Cruz, California, titola a nove colonne: «Invasione di uccelli marini colpisce le case sulla costa».
Migliaia di berte grigie si erano riversate in città la sera prima, stordite, disorientate dalle luci delle strade, avvelenate da una fioritura straordinaria di alghe tossiche nella vicina baia di Monterey. Erano arrivate a Santa Cruz vomitando acciughe, schiantandosi contro gli edifici nascosti dalla nebbia notturna, mandando in frantumi i vetri delle macchine, le antenne delle TV, distruggendo i lampioni e le finestre delle case, entrando nei salotti, starnazzando, distrutte dalla pazzia.
«Una chiamata è arrivata in redazione dal produttore hollywoodiano Alfred Hitchcock», rivela compiaciuto il cronista del Sentinel nel suo resoconto. «Ha richiesto una copia del giornale». Meno di un anno più tardi Hitchcock iniziò a girare The Birds a Bodega Bay, tre ore di macchina più a nord di Santa Cruz. Nel film la causa dell’attacco degli uccelli predatori rimane inesplicata; è una rivolta di pura follia, un’alterazione dell’armonia cosmica. Un’invasione. Si scardinano le gerarchie di potere e l’uomo si riscopre impotente davanti agli elementi naturali.
Secondo Camille Paglia, la scelta di girare a Bodega Bay non è del tutto casuale. Bodega in spagnolo vuol dire drogheria, ma il nome è ereditato da Francisco Juan de la Bodega y Cuadro, capitano castigliano che, nel 1775, salpò con la sua nave ammiraglia nella baia. Con accumulo di significati, anche i tanti magazzini commerciali costruiti lì dai primi coloni vennero chiamati bodegas. Il nome della cittadina, secondo Paglia, assume una «risonanza» particolare all’interno del poema apocalittico del film: rievoca sia la natura (baia) che la cultura e la storia (bottega). Bodega Bay smette di essere semplicemente un paesino della costa del Pacifico e diventa il teatro di un’allegoria più ampia: quella degli esseri umani incapaci di gestire il proprio rapporto con il non umano.
Dare nomi alle cose. Bodega Bay oggi è una località di mille abitanti che non offre molto ai visitatori: qualche negozio di souvenir e un malinconico «Hitchcock Museum». Fuori dal centro, su una scogliera a pochi metri dall’oceano, c’è il Bodega Marine Laboratory, laboratorio marino, sede dislocata dell’Università della California di Berkeley. Le acque del Pacifico sono ricche di meduse, e come con gli uccelli di Hitchcock, siamo abituati a identificare le meduse con immagini di invasioni, con lo sconvolgimento degli ecosistemi: le meduse vengono raccontate come un elemento di pericolo e insicurezza ecologica, la crescita incontrollata delle popolazioni è vista come un bio-indicatore della cattiva salute degli oceani.
A Bodega Bay lavorò nei primi anni Ottanta Ferdinando Boero, oggi ordinario di Zoologia all’Università di Lecce. Nel 1983 Boero scoprì una nuova medusa piccolissima, semisferica, sei millimetri di diametro. È una storia che Boero ha raccontato tante volte ma sulla quale torna volentieri. «Ho il piacere di battezzare questa specie in onore del compositore moderno Francis (Frank) Vincent Zappa», scrisse nel suo articolo sul Journal of Natural History alla prima descrizione scientifica di quel plancton. Da quel giorno Phialella zappai è il nome delle minuscole meduse del porto di Bodega Bay (cultura e natura).
Zappa apprezzò, mi racconta Boero: «non c’è niente che desideri di più al mondo, mi disse, che dare il mio nome a una medusa». Divennero amici. In uno dei suoi ultimi concerti, a Genova, riadattò la sua «Lonesome Cowboy Burt» in «Lonesome Cowboy Nando», in onore di Boero, presente in piedi in mezzo al pubblico. «My name is Nando, I’m a marine biologist», attaccò Zappa sul palco. Una riproduzione dell’illustrazione scientifica di Phialella zappai, che Boero donò a Zappa, rimase per anni incorniciata nello studio del musicista, accanto ai computer con cui compose i suoi ultimi album.
«Le meduse sono gli animali più antichi del mondo tra quelli attualmente viventi», racconta Boero. «Nei fossili ci sono testimonianze di meduse che risalgono a 650 milioni di anni fa. Per dare un’idea: l’esplosione cambriana, che avrebbe poi portato a tutti gli altri animali che conosciamo oggi, è avvenuta 500 milioni di anni fa».
Animali ancestrali, le meduse hanno trovato nell’Antropocene la loro età dell’oro. Prosperano attorno alle piattaforme metanifere dell’Adriatico che offrono rifugio per larve e polipi. Alcune specie bivaccano nelle acque inquinate. Non soffrono l’impoverimento di ossigeno degli oceani dovuto al fosforo riversato in mare dalle attività umane, né il riscaldamento delle acque dovuto ai cambiamenti climatici. La sovrapesca e lo sfruttamento delle risorse ittiche sottraggono all’equazione i pesci predatori, poi, e «meno pesci, meno competizione, più probabilità di un bloom di meduse», spiega Boero. «E le meduse sono a loro volta predatrici di pesci: si nutrono di uova, larve e stadi giovanili. Quindi sempre più meduse e sempre meno pesci».
Ci sono state decine di casi di meduse che si infiltrano nei sistemi di raffreddamento delle centrali atomiche, intasandole.
Lo studio rigoroso della dinamica delle popolazioni è ancora difficile, i dati sono pochi, le ricerche mal finanziate. L’eccezionalità della situazione è raccontata dagli eventi. Dieci anni fa più di centomila salmoni allevati in Nord Irlanda sono morti per un’invasione di Pelagia noctiluca. «Da lì poi ci sono state decine di casi analoghi di meduse che si infiltrano nei sistemi di raffreddamento delle centrali atomiche, intasandole, o che danneggiano impianti di dissalazione e barche da pesca».
Guardiamo meduse e vediamo alieni. Da Difference, di Mark Doty:
is it right
to call them creatures,
these elaborate sacks
of nothing?
Il nostro sguardo inquieto sembra lo stesso di Tippi Hedren nel film di Hitchcock, ma questa volta la ribellione della Natura non è inspiegabile. Le meduse sono invisibili, a volte mortali, l’eco di una minaccia collettiva, dell’abisso che separa umano e animale. Roba da racconto di Lovecraft, eppure le fioriture invasive di meduse sono solo storie di successo biologico, di adattamento. E sono – almeno in parte – il riflesso del nostro stesso impatto sulle acque del pianeta.
«Zappa ha fatto una registrazione digitale della London Symphony Orchestra nel 1983, è la prima registrazione digitale di un’intera orchestra, smembrata per elementi, una traccia a per ogni strumento». La musica dei singoli strumenti campionati venne salvata nei computer dello studio di Zappa – su una delle pareti dello studio sarebbe apparsa dopo qualche mese l’illustrazione della sua medusa. Continua Boero: «Decine di registrazioni separate, ma la vera composizione emerge solo quando la musica viene suonata all’unisono, quando è un’unica grande nota, come la chiamava Zappa. La stessa cosa vale per l’ecologia, che è la scienza delle interazioni. Tutto è collegato, non esistono solisti. Gli esseri umani, le meduse. Il pianeta è un’unica grande nota».