Fuori i fascisti dal Valhalla

Vichinghi di fede islamica? Berserker donne? Dèi immigrati dalla Turchia? Come liberare la mitologia norrena dalle appropriazioni della destra

Qualche settimana fa, gli archeologi dell’università di Uppsala in Svezia hanno rivelato di aver trovato in alcuni antichi paramenti funebri di epoca vichinga delle iscrizioni rivolte ad Allah, suggerendo come assai probabile l’ipotesi che alcuni tra gli stessi vichinghi si fossero convertiti all’Islam. «L’iscrizione  fa pensare a contatti mai ipotizzati tra le culture vichinga e islamica», recita il sito di Repubblica; ma in realtà, che sia autetica o no l’iscrizione rivolta ad Allah, i contatti tra le due culture sono documentati da tempo, senza per forza ricorrere a cose come Il tredicesimo guerriero con protagonista Antonio Banderas (il film è del 1999 e si ispira alle cronache del viaggiatore arabo Ahmad ibn Fadlan).

«I vichinghi come ce li ha tramandati la Storia e come sopravvivono nel nostro immaginario collettivo», prosegue l’articolo di Repubblica, «erano prodi e spietati guerrieri» oltre che «pagani, o adoratori di Thor, Odino e altre divinità». Tutto giusto, ed è in questa veste che sono da sempre un feticcio della destra suprematista e neonazista, sia vecchia che nuova. «I vichingi», riporta un articolo del 13 ottobre apparso su Raw History, «incarnano quella “purezza razziale” e quella ferocia guerrafondaia a cui aspirano migliaia di leoni da tastiera su 4chan. Siti nazisti come il Daily Stormer ricorrono regolarmente all’immaginario vichingo e alla mitologia nordica», e chiunque abbia un minimo di familiarità con decenni di propaganda destrorsa in chiave neopagana non avrà difficoltà a capire di cosa stiamo parlando. Facile immaginare come costoro abbiano reagito alla notizia che i tanto favoleggiati guerrieri nordici dai biondi capelli e dai lineamenti ariani potessero persino aver abbracciato la fede islamica. Diciamo che non l’hanno presa proprio benissimo:

Che tutto ciò che odori di nordico e/o mitologia scandinava sia «roba da fascisti», è dopotutto uno dei più radicati e tenaci pregiudizi anche della sinistra: se già Avanguardia Nazionale si era scelta come simbolo una runa, il resto veniva da sé. A un altro livello, fenomeni ambigui come il neofolk, il martial industrial e tutta la roba del giro Death In June, contribuivano ad alimentare i sospetti per via di un immaginario che mescolava apertamente riferimenti a Odino, uniformi militari e loghi delle SS. Il Burzum che passa dai proclami anticristiani tipicamente black metal a un neopaganesimo dichiaratamente razzista e fascista, è un altro esempio classico. Metteteci che il nome di Burzum proviene dalla Trilogia dell’Anello di Tolkien, e il cerchio si chiude: anche Tolkien è roba da fascisti, no? Quantomeno è quello che i fascisti hanno sempre tenuto a mettere in chiaro dai tempi dei Campi Hobbit in poi.

Le cose per fortuna stanno cambiando. In ambito pop, un certo immaginario nordico-runico di derivazione più o meno vichinga è stato definitivamente sdoganato prima dallo stesso Peter Jackson del Signore degli Anelli, e poi da serie come Vikings di History Channel. Nel frattempo, un importante lavoro di «detossificazione» dell’opera di Tolkien è stato compiuto da, tra gli altri, Wu Ming. Ma nonostante gli sforzi, a restare è comunque quel sapore ambiguo che continua a legare misticismo scandinavo e neofascismo, e che deriva da quelle che proprio i Wu Ming chiamano «strategie interpretative della destra». Vediamo allora da dove provengono, queste strategie, e su quali forzature si fondano.


Rune Revival

Cosa sono le rune? La parola deriva dall’antico norreno rùn e indica i segni che compongono l’alfabeto (probabilmente di origine etrusca) usato dalle antiche popolazioni germaniche. I cultori di misticismo new age – e i fan di Harry Potter – le usano per divinazione, protezione e simili; gli studiosi accademici invece si dividono tra runologi immaginativi, ovvero quelli che attribuiscono alle rune un significato mistico intrinseco, e runologi scettici, cioè quelli che ritengono le rune meri grafemi che – pur venendo usati anche per incantesimi, invocazioni e iscrizioni magiche – non hanno di per sé alcun senso esoterico (tanto che il significato polisemico di segreto attribuito alla parola rùn sarebbe semplicemente legato al fatto che la conoscenza dell’alfabeto runico era elitaria).

La natura delle rune, però, non è il solo aspetto ambiguo quando parliamo di quel fenomeno recente che va sotto il nome di «revival scandinavistico». Prendiamo il caso delle fonti: innanzitutto, secondo molti scandinavisti, parlare indistintamente di mitologia nordica, mitologia germanica e religione come se fossero tutti sinonimi, è riduttivo e fuorviante. Per quanto riguarda la mitologia germanica, le fonti classiche (tipo Tacito) riportano molte informazioni su culti e riti, ma molto poche sul corpus mitologico in quanto tale; se invece parliamo di mitologia nordica le fonti sono scarne, frammentarie e soprattutto molto tarde.

Anche la celeberrima Edda Poetica citata come fonte originaria da misticisti ed occultisti di inizio Novecento non è un poema organico, ma una raccolta di canti mitologici probabilmente composti in epoche diverse e privi di legami. Lo stesso nome di Edda «poetica» è stato attribuito arbitrariamente alla raccolta del vescovo islandese Brynjólfur Sveinsson – che nel 1643 ritrovò il manoscritto a Skálholt nel sud-ovest dell’Islanda – per compararla all’Edda «in prosa» di Snorri Sturluson, che probabilmente resta la fonte più nota della mitologia nordica nonché l’origine della sua fama «pop» – almeno prima che Vikings facesse riemergere la Ragnarssaga loðbrókar («Saga di Ragnarr Loðbrók»).

La stessa Edda di Snorri è una fonte controversa. Quando fu scritta, nel XIII secolo, l’Islanda era già cristiana: questo ha indotto i primi critici a interpretare l’opera – e in particolare la Glyfaginning, la parte in cui gli dei nordici o Aesir vengono rappresentati come semplici uomini astuti e dotati di conoscenze arcane – come una rivisitazione in chiave evemerista del paganesimo. Studi più recenti hanno però messo in evidenza la peculiarità del cristianesimo islandese del 1200, sottolineandone un sincretismo che ritroviamo nello stesso Snorri: in effetti l’autore dell’Edda restò fino alla sua morte (avvenuta per un omicidio politico nel 1241) con l’anima diviso tra Odino e il Dio cristiano. Un po’ come l’Athelstan di Vikings, ecco.


Il risveglio di Wotan

A proposito di History Channel: se c’è un argomento che ha letteralmente riempito ore ed ore del suo palinsesto nonché pagine su pagine di Focus, è proprio il legame tra mitologia nordica e mistica nazista. Le radici di questo rapporto vanno ricercate nella figura di Guido Von List, un esoterista austriaco che tra l’ultima metà dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento si mise a studiare la cultura norrena.

Come è comune nell’esoterismo del primo Novecento, Von List  riprende la tradizione che va dalle rune alla solita Edda, e la infarcisce di roba che non solo con la cultura nordica non ha alcun nesso (tipo la teosofia di Madame Blavatsky), ma che in qualche caso è addirittura inventata di sana pianta. Nel 1906 pubblica un articolo, che poi confluisce nell’opera Das Geheimnis Der Runen Il segreto delle Rune», 1908), nel quale introduce  il cosiddetto Armanen Futhark: un alfabeto runico di 18 simboli che a suo dire era nascosto nell’Edda Poetica. Stando a Von List, il segreto per accedervi gli era stato rivelato da Odino in persona nel corso di una visione avuta in un periodo di temporanea cecità (causa cataratta). Tempo dopo, Von List sarebbe diventato uno dei punti di riferimento dell’Ordine Teutonico e da lì della Società Thule, l’organizzazione razzista tra i cui iniziati figuravano tra gli altri Rudolf Hess, Alfred Rosenberg e diversi altri pezzi grossi del nazismo.

Persino il buon Carl Gustav Jung ci mette del suo quando nel 1936 pubblica un saggio su Wotan (cioè Odino) in cui, secondo la sua classica costruzione che vede le divinità come rappresentazioni archetipiche, spiega il furor teutonicus del primo nazionalsocialismo con il risveglio dell’antica divinità eddica: Wotan redivivus, per dirla con le sue stesse parole. Jung traccia un filo rosso tra la fascinazione dei giovani teutonici per il wotanismo rivisitato da Von List e il successivo avvento del nazismo nella sua forma conclamata e nota, sostenendo che questa interpretazione psico-mitologica sia più efficace nello spiegare i fatti rispetto alle analisi delle motivazioni politiche, economiche e sociali:

«Oso perfino avanzare l’eretica affermazione che il vecchio Wotan, col suo carattere abissale, insondabile, spiega il nazionalsocialismo più di quanto lo facciano, messi insieme, i predetti tre ragionevoli fattori. Per quanto ognuno di essi chiarisca un aspetto importante delle cose che stanno accadendo in Germania, tuttavia Wotan dice di più e proprio sul fenomeno generale, che rimane estraneo e incomprensibile a chi non sia tedesco, anche dopo la più profonda riflessione. Forse possiamo designare questo fenomeno generale come Ergriffenheit, cioè possibilità di essere afferrato, di essere posseduto. Questo termine presuppone un Ergriffener, un «afferrato» un «posseduto», ma anche Un Ergreifer, «uno che afferra», che possiede. Se non si vuole addirittura divinizzare Hitler, cosa che del resto è anche accaduta, resta soltanto Wotan, che è «uno che afferra», cioè che possiede, gli uomini.»

Il furore del Wotan può per certi versi essere paragonato allo spirito dionisiaco di cui parla Nietzsche nello Zarathustra; a differenza di Wotan, Dioniso estende questi aspetti al genere femminile: le Menadi dionisiache, secondo Jung, potrebbero quindi essere interpretate come una sorta di SA (le «divisioni d’assalto» naziste) al femminile, mentre Wotan riserva il privilegio del furore ai berserker, i guerrieri (maschi) delle saghe scandinave; è anzi interessante notare che in una vignetta tedesca degli anni Trenta lo spirito revanscista della Germania post-Versailles sia rappresentato proprio come un berserker furioso che si libera dalle catene.

Al di là delle tesi di Jung, però, inquadrare il nazismo nella sua forma conclamata dal punto di vista religioso è piuttosto difficile: la versione attualmente più accreditata è che gran parte dell’élite culturale nazista subisse in qualche misura il fascino del misticismo scandinavo/germanico o dell’esoterismo teosofico (o di un misto confuso delle due cose), mentre la base del movimento restava attaccata alle proprie radici cristiane.

La figura chiave nella relazione tra nazismo e misticismo germanico/scandinavo è comunque un altro esoterista austriaco: Karl Maria Wiligut era stato il fondatore di un giornale chiamato Der Eiserne Besen, che sosteneva l’esistenza di un oscuro complotto massonico-giudaico; internato in manicomio nel 1924, scappò poi in Germania dove conobbe Heinrich Himmler, entrando nelle sue grazie fino a guadagnarsi l’appellativo di «Rasputin di Himmler». Fu a capo del dipartimento di storia e preistoria della nazione tedesca sullo studio della razza ariana, e diede una lettura del neopaganesimo nordico che, pur riprendendo le teorie di Von List e in particolare l’Armanen Futhark, le mischiava al cristianesimo, sostenendo che la Bibbia fosse in origine un testo germanico. Questa particolare dottrina, in contrapposizione al «wotanismo» di Von List, prese il nome di «irminismo».

Evola + Tolkien = fasciopagans

Il 1936 è evidentemente un anno topico, dal momento che oltre al saggio di Jung viene pubblicato anche un articolo di Julius Evola sull’argomento. Il filosofo italiano, che poi diventerà nel dopoguerra uno degli intellettuali di riferimento dei neofascisti nostrani, si scaglia più o meno duramente contro il neopaganesimo germanico: lo stesso furor teutonicus che è per Jung il tratto comune del wotanismo e del nazismo, è il principale aspetto che Evola contesta in quanto irrazionale, confusionario, fonte di perdita di orientamento e di un culto della nazione «troppo romantico e giacobino».

La cosa curiosa è che otto anni prima, nel 1928, Evola aveva pubblicato il pamphlet Imperialismo pagano, in cui asseriva che i Patti Lateranensi avrebbero tarpato le ali al fascismo impedendogli di sviluppare un misticismo precristiano degnamente «imperiale». Nell’articolo del 1936, invece, sostiene che tra il neopaganesimo germanico e il cattolicesimo «latino» si schiererebbe proprio col secondo, perché quantomeno farebbe da sbarramento all’eccesso di mistica dell’immanenza e alle invasioni prevaricatrici dal basso (qualcosa come la «difesa delle radici cristiane dell’Europa» propria di molti discorsi razzisti contemporanei).

Con il neofascismo del dopoguerra la situazione si fa ancora più confusa e complicata. In Italia da un lato Evola resta un punto di riferimento teorico più o meno imprescindibile, dall’altro l’appropriazione indebita di Tolkien da parte della destra estrema incrementa inevitabilmente la fascinazione per il mondo nordico (da cui Tolkien per primo aveva attinto a piene mani) e per quel neopaganesimo germanico che già aveva fatto presa sui giovani tedeschi protonazisti all’inizio del secolo.

Alain De Benoist, ideologo di riferimento della Nouvelle Droite francese (e di conseguenza della Nuova Destra italiana) negli anni Ottanta arriva a confondere ulteriormente acque già torbidissime con la pubblicazione di Come si può essere pagani?: in particolare, De Benoist critica la metafisica e l’etica cristiano-giudaica – alla quale riconduce anche il pensiero di Marx, di Freud, e un po’ tutti i mali del mondo occidentale – auspicando un ritorno al paganesimo come unica via di risanamento percorribile.

L’approccio di De Benoist al paganesimo è piuttosto peculiare: sostiene infatti che non sia necessario credere davvero a Odino o Apollo (che tra l’altro mette sullo stesso piano senza differenze sostanziali), né innalzare altari in loro onore; piuttosto, quello che basta è credere nel sistema di valori proprio del mondo precristiano e diventare «eroi pagani» sul modello di quelli greci o germanici (messi ancora una volta nello stesso calderone) i quali, anziché sacrificarsi come i martiri cristiani, muoiono gloriosamente nel vivo della battaglia, in un modello affine al superomismo nietzscheano a cui De Benoist per certi versi si rifà e per altri versi situato sulla stessa linea ideologica del furor teutonicus di cui parla Jung nel Wotan.

Alt Right neopagana  

Evola e De Benoist appartengono al bagaglio storico delle destre neofasciste. Ma che dire della cosiddetta Alt-Right che tanto spazio occupa nelle cronache attuali? Come da più parti è stato messo in evidenza, col termine viene indicata una galassia di per sé multiforme e contraddittoria; di conseguenza, provare a definirla in modo univoco anche dal punto di vista dell’approccio al misticismo è pressoché impossibile, se non altro perché tra le sue fila troviamo tanto atei razionalisti quanto suprematisti bianchi orgogliosamente WASP. In mezzo però ci sono anche loro: i neopagani. Poteva essere altrimenti?

Sul neopaganesimo, le posizioni interne alla galassia Alt-Right sembrano ricalcare quelle di Evola da un lato e di De Benoist dall’altro, a volte richiamandosi a quello «spirito del Wotan» di cui parlava Jung in relazione ai giovani protonazisti. Anche riguardo ai nomi c’è grossa confusione: la versione ufficiale è che le filiazioni autenticamente «di destra» del cosiddetto Etenismo – nome generico con cui si indicano tutti i movimenti di revival delle antiche religioni germaniche –  siano quelle direttamente riconducibili al wotanismo di Von List e all’irminismo di Wiligut, tanto che nel 2000 il wotanismo fu addirittura inserito nel Progetto Megiddo dell’FBI, un’analisi dei gruppi estremistici sospetti di possibile violenza. Tuttavia, diversi esponenti dell’Alt-Right si richiamano apertamente al fantomatico Ásatrú, una delle varianti eteniste più influenzate dalle correnti new age. Il che, ha prodotto un dibattito piuttosto acceso a riguardo.

Ad esempio: nel 2010, sulla rivista Alternative Right fondata da Richard B. Spencer (sì, quello che si è preso il famoso pugno in faccia), l’assistant editor Patrick J. Ford pubblicò un articolo dal titolo The Problems of Neopaganism; purtroppo il commentario originale dell’articolo si è smarrito nell’internet, ma a quanto ci racconta Jason Pitzl-Waters del sito neopagano The Wild Hunt la discussione a riguardo fu piuttosto aspra.

L’articolo di Ford parte da premesse deboli e arbitrarie – tipo il fatto che furono sovrani cristiani come Carlo Martello o Riccardo I a scacciare i musulmani dall’Europa, e non Fenrir o il Martello di Thor – e arriva a conclusioni altrettanto nette: il neopaganesimo è la rovina dell’Occidente, e i veri uomini di destra™ farebbero meglio  a sgozzare capretti in nome di Odino in privato e nel chiuso delle loro stanze, evitando così di inquinare l’ambiente con il loro «sciocco hobby». Al tempo stesso però, sempre sulla stessa rivista e sempre nel 2010, tale Stephen McNallen tira fuori una roba intrisa di orgoglio neopagano asserendo che la sua religione non ha niente a che vedere con la paccottiglia new age che (cito) «mescola Thor, Indiani d’America e filosofia lesbo-femminista». La sua è al contrario una pura e autentica «antica religione europea», e se usa il termine «pagano» è solo per comodità e farsi capire dai suoi lettori.

Valhalla Rising!

Nel suo articolo per Alternative Right, Stephen McNallen asserisce che l’Europa è stata abitata per circa 40.000 anni, che il Cristianesimo costituisce un terzo della sua storia religiosa, e che si tratta di un’aberrazione momentanea che presto scomparirà, lasciando così il posto alla vera fede originaria.

Bene: qualcuno dovrebbe dire a McNallen, ai suoi soci e a generazioni di neopagani in camicia bruna, che in realtà la religione primgenia di cui parlano durò appena qualche secolo al massimo: la prima attestazione runica del culto degli Aesir risale infatti al II secolo d.C (la fibula di Vimose ritrovata in Danimarca) mentre la cristianizzazione – ad esclusione della Svezia, dove bisognerà aspettare ancora un paio di secoli – avviene attorno all’anno 1000 ad opera del norvegese Olaf il Santo. Certo, seguiranno almeno un paio di secoli di sincretismo e tolleranza religiosa reciproca: ma ci sembra che la tolleranza religiosa e il meticciato culturale non siano proprio il forte delle reinterpretazioni neofasciste…

Qualcuno dovrebbe dire al gruppo razzista e anti-immigrati che si fa chiamare «Soldati di Odino» che secondo fonti germaniche, tra cui la stessa Edda di Snorri, gli Aesir – vale a dire Odino e compagnia – sarebbero arrivati al Nord nientemeno che dal Tyrkland, l’odierna Turchia: praticamente degli immigrati. Qualcuno dovrebbe dire agli aspiranti Thor da tastiera della Alt Right che potrebbero esserci stati vichinghi convertiti all’Islam, senza dire che probabilmente c’erano pure vichinghe donne.

Per quanto ci siano circa due secoli di storia di appropriazione culturale e narrazioni tossiche da decostruire, forse ci sono le premesse per lavorare a uno studio storico-critico-letterario serio che liberi la scandinavistica dalle ombre nazifasciste e da varie ed eventuali ambiguità. Grande è la confusione sotto al cielo, la situazione è eccellente. Il Valhalla è un posto strano, e da che parte si schiererebbero Odino e compagni nel Ragnarök è ancora tutto da decidere.