Antologia memetica

Dapprima furono i LOLcats e i Rage Comics su 4chan. Poi arrivarono Pepe, Harambe e le stock photo. Guida ai venticinque meme che hanno fatto la storia

Quali sono i meme che hanno fatto la storia? È possibile una storiografia ragionata di una forma espressiva così giovane? La risposta è: perché no? Mi sono quindi assunto la responsabilità di tracciarne una, mettendo ovviamente tutte le mani avanti del caso: di sotto trovate venticinque casi che reputo fondamentali, pur senza nessuna pretesa di completezza (per quello c’è Know Your Meme) né di esaustività. La lista è grossomodo cronologica, ma alcuni fenomeni sono stati posticipati o perché hanno raggiunto la loro maturità più tardi, o per affinità con casi più recenti.

1. All of your base are belong to us

Individuare il primo meme virtuale è un po’ come individuare la prima opera letteraria dell’umanità, o qualunque capostipite di qualsiasi altra categoria: salta sempre fuori qualcosa venuto prima. Poiché siamo vigliacchi e non vogliamo assumerci tale responsabilità, ci appoggiamo alla timeline di Linda K. Börzsei che nel 2013 ha scritto una pionieristica indagine diacronica dei meme. Il primo meme di origine collettiva da lei individuato (e precedente allo stesso 4chan) è quindi questo screenshot di un videogioco anni Novanta che ha iniziato a circolare per i forum nei primi Duemila: il cattivo di Zero Wings (uno sparatutto giapponese per Sega Mega Drive) si rivolge al protagonista dichiarando di aver conquistato tutte le sue basi, ma lo fa in un inglese sgrammaticato, palese caso di engrish, cioè di traduzione maccheronica da una lingua asiatica all’inglese. In un moto di nostalgia e autoironia, tanti gamer presero a fotomontare lo screenshot o la semplice frase nei contesti più disparati, in una prassi compiutamente memetica.


2. Owned, Pwned -> Epic Fail -> Mood, Monday, Me, Literally Me

Le persone che cascano per terra fanno ridere, si sa. È uno dei princìpi della slapstick comedy e, nella sua variante reality/candid camera, Antonio Ricci ci ha costruito un programma immortale. Intorno alle metà dei Duemila i video di questo genere, solitamente in formato gif, si sono diffusi nell’internet dei giovani che hanno preso a sottotitolarli con la caption «Owned» o «Pwned», un termine slang di origine scacchistica che rimanda a una vittoria schiacciante e alla distruzione completa dell’avversario. Il meme si usurò in fretta, ma lo stesso genere di video riprese a circolare con la caption «Epic Fail», scatenando come sappiamo un fenomeno ancora più diffuso del precedente.


3. Chuck Norris

Fino al 2005 Chuck Norris era l’attore specializzato in film d’azione e protagonista della serie Walker Texas Ranger. Dal 2005 in poi è diventato il primo personaggio delle barzellette nato su internet. Emersi sul forum Something Awful come spin off di una serie omologa dedicata a Vin Diesel, i «Chuck Norris Facts» acquistarono subito una fama enorme. Il meccanismo umoristico, piuttosto monotono a dire il vero, era un’iperbole continua sulla forza di Chuck Norris, che tra calci rotanti e altre amenità riusciva sempre a risolvere ogni situazione. Gli old schooler di internet conservano generalmente un brutto ricordo della moda Chuck Norris, proprio per via della sua ripetitività e della diffusione asfissiante che ebbe. Col passare del tempo, da meme verbale Chuck Norris è migrato dentro le macro images, ottenendo qui e là risultati più divertenti e meno prevedibili.

4. Demotivational

Poco praticati in Italia, i cosiddetti Motivational erano una delle varie espressioni grottesche del sogno americano, afferenti al mondo ferocemente ottimista del self-help e dei motivatori di professione. Una delle grafiche egemoni prevedeva uno sfondo nero, una fotografia positiva al centro, un concetto scritto bello grosso sotto l’immagine (solitamente un obiettivo da raggiungere per essere vincenti nella vita) e a seguire una spiegazione pleonastica di quanto fosse desiderabile quell’obiettivo. I Demotivational, come si evince dal nome, sono stati l’inversione di questa retorica: seguivano lo stesso schema con contenuti diametralmente opposti e votati a deprimere le persone. Talvolta inclusi nella grande famiglia delle macro images, i Demotivational avevano però una loro identità grafica molto precisa e sostanzialmente differente da tutti i tipi di macro che si sono poi imposte come antonomasia del meme.


5. LOLcats

I LOLcats sono i gatti buffi che regnano su internet dall’alba dei tempi e continuano a farlo oggi, anche al di là dei meme propriamente detti. Attorno al 2006, questi gatti vennero corredati da una didascalia bianca in font Impact spezzata in due: solitamente la parte superiore (top text) fungeva da premessa, mentre quella inferiore (bottom text) da battuta o punchline. Con i LOLcats appare insomma la prima macro paradigmatica, quella che avrebbe resistito per anni a venire e ancora si fa vedere in giro, sebbene «la critica» la ritenga ormai una forma ridicola e passé.


6. Advice Animals

Con i LOLcats, la prassi prescriveva semplicemente di trovare la foto di un gatto buffo e scriverci sopra una didascalia adeguata. Certo, alcuni gatti particolarmente simpatici si ripetevano, ma non si era ancora avviato un vero e proprio processo di formalizzazione delle immagini: a quello ci hanno pensato gli Advice Animals. La distribuzione del testo sull’immagine (nonché il suo font) era la stessa prevista dai LOLcats, e ciò ha contribuito a solidificarla come archetipo per le macro della meme golden age. D’altro canto, a essere rivoluzionato fu l’approccio alle immagini, non più da pescare nel virtualmente infinito serbatoio di internet, ma coincidenti con pochi archetipi altamente prescrittivi e stilisticamente simili tra loro; su uno sfondo a raggiera figuravano quindi il dinosauro filosofo, il pinguino imbarazzato, il cane ottimista, il pappagallo paranoico e così via. Ciascuno di questi presentava un consiglio in linea col suo carattere. Un giochino semiotico a volte molto sottile, come nella distinzione tra il Courage Wolf che reagiva con rabbia a un’offesa subita e l’Insanity Wolf che faceva la stessa cosa ma in modo sproporzionato, ecc. ecc.


7. Macro family

Come evoluzione degli Advice Animals, si è imposta la ben nota prassi delle macro applicate a tutti i tipi di immagini. Ciò che oggi chiamiamo macro è in effetti una categoria abbastanza vaga, che indica sia un modo di distribuire il testo Impact su un’immagine (inaugurato dai LOLcats), sia l’attenersi a una singola immagine che veicola un significato di per sé (l’approccio degli Advice Animals). Così, liberandosi progressivamente dallo sfondo a raggiera (come illustra scientificamente questa tavola periodica) sono nate le macro più famose: Willy Wonka che fa il paraculo con la tua vita, Morpheus che ti invita a considerare un’ipotesi impensata, Boromir che sfida la presunta semplicità di fare qualcosa e così via. In seguito, causa «normificazione», lo stile Impact è scomparso dalle macro (almeno quelle stimate dalla solita critica), ma la forma narrativa è sopravvissuta, spostando il testo in uno spazio bianco sopra l’immagine e in un più elegante font Helvetica.

8. Pedobear

L’orsacchiotto che corre con lo sguardo perso nel vuoto incontro a dei bambini, fu una delle prime informali mascotte di 4chan. Nato come segnale «don’t feed the troll», ha assunto la sua più nota identità a metà anni Zero su 4chan. Pedobear racconta dell’ambiguo rapporto che il chan ha sempre avuto con la sessualità, qui colta sotto l’aspetto della pederastia,dell’ efebofilia e della vera e propria pedofilia. Ha anche generato almeno due cloni dalla semiotica meno lineare: Gondola e Spurdo Spärde. In Italia ha avuto un certo successo come flagello satirico di Berlusconi durante i suoi numerosi scandali sessuali.

9. Rickroll

Rick Astley – stereotipico cantante anni Ottanta, protagonista di uno stereotipico videoclip anni Ottanta per una stereotipica canzone anni Ottanta – divenne meme su 4chan nel 2007. Tecnicamente il «Rickroll» si chiama «bait-and-switch park» (scherzo con esca e scambio), e funziona così: qualcuno posta un contenuto che dall’anteprima attrae il pubblico di riferimento (può essere una notizia vera, una falsa o qualsiasi altra esca efficace) ma il link è falso e se ci si clicca sopra si viene rediretti su una stronzata irrilevante – in questo caso il video o la gif di Rick Astley che balla. Nella nostra definizione di meme, che lo distingue dal viral per la sua tendenza a reinventarsi piuttosto che a riprodursi sempre uguale, Rickroll rappresenta un caso particolare e quasi critico, visto che la sua forza è precisamente il riproporsi ossessivo dell’identico. In realtà proprio casi simili ci danno modo di approfondire meglio la questione: il virale ha senso in sé, il meme sempre in relazione a qualcos’altro ed è un dispositivo fondamentalmente dialettico. A sua volta, il video di Rick Astley non veniva diffuso perché interessante o divertente di suo, ma solo all’interno di una dinamica di burla nella quale ricopriva il ruolo di inattesa punchline.

10. Rage Comics

Capocannonieri delle memetica e senza dubbio tra i meme più diffusi della storia, i Rage Comics hanno raggiunto livelli di pervasività mai toccati prima, segnando una sorta di golden age tra il 2008 e il 2011. Il loro successo è dovuto a un’idea di base tanto semplice quanto profonda nel suo aprirsi a usi e riproduzioni potenzialmente infiniti: i Rage comics erano in primo luogo dei fumetti disegnati con Paint e si prestavano a raccontare qualsiasi tipo di storia. Ma a recitare queste storie non c’erano dei veri e propri personaggi, quanto delle funzioni narrative: i vari Forever Alone, Rage Guy, Cereal Guy, Troll Face e gli altri erano disegni fissi che si ripetevano sempre identici, con il medesimo contenuto semantico, ma in combinazioni sempre nuove. In questo senso, i Rage Comics sono stati il più grande esperimento di narrativa combinatoria della storia, qualcosa come i tarocchi del calviniano Castello dei destini incrociati dati in mano agli adolescenti di tutto il mondo. Molti di loro ebbero anche carriere soliste, usate come «reaction» in quel territorio di confine tra meme e viral di cui parlavamo prima. In questo modo si emancipò la Troll Face, uno di quei meme larger than life, simbolo di un’epoca e di una comunità intera, quella di 4chan che del trolling faceva (e fa) il suo manifesto.

 

11. Wojak / I wish I was at home

Stilisticamente debitore dei Rage Comics, Wojak è un personaggio dai sentimenti malinconici e/o disperati che è sopravvissuto alla sua epoca e alla normificazione, e continua a viaggiare sul chan da ormai sette anni. Meme multiuso, generico avatar adattabile a tutte le situazioni, i suoi destini si sono legati alla narrazione autobiografica dell’Alt Right e in particolare a una delle loro produzioni multimediali più amate, la webserie Murdoch Murdoch: tre personaggi, due ragazzi e una ragazza, che incarnano ognuno «un’anima dell’Alt Right» e tutti interpretati dalla faccia di Wojak che vivono tragicomiche avventure combattendo la great meme war contro i progressisti e il politicamente corretto. Usi politicizzati a parte, una delle situazioni più iconiche di Wojak, è la cornice «I wish I was at home» che lo vede isolato all’angolo durante una festa mentre tutti ballano e lui rimugina sul proprio disagio, pensando a tutti i posti migliori in cui poteva trovarsi. Non direttamente politico, ma estremamente loquace nel raccontarci l’antropologia del tipico Anon.

12. Copypasta

La prassi del copypasta è un altro meme al confine col viral, nonché parte di quella minoranza completamente verbale, priva di immagini, ma filosoficamente rilevante proprio per queste ragioni. Il copypasta – dal comando informatico copy-and-paste, cioè copia-e-incolla – è la riproduzione di un testo, solitamente medio-lungo, a scopo derisorio: tu scrivi uno sfogo, un saggetto sbilenco, una predica senza senso, e la community te la copia e incolla su tutta la board, senza aggiungere una parola e ridicolizzandoti silenziosamente, anonimamente. Per queste ragioni si guadagnò un posto, anzi due, nelle Rules of the Internet stilate a nome di Anonymous nel 2007:  «22. Copypasta is made to ruin every last bit of originality 23. Copypasta is made to ruin every last bit of originality». Al di là del suo scopo immediato (sfottere qualcuno), la riflessione sul copypasta ci fa capire quanto conscia fosse la spinta all’anonimato radicale che imperava nel Chan:  nella prassi memetica più semplice di tutte riverbera il sogno di distruzione di ogni io, ogni identità, ogni autore. Quella roba che si auguravano i post-strutturalisti francesi qualche anno prima è stata messa in pratica dai ragazzini degli anni Zero che avevano sognato un internet diverso dall’attuale agglomerato di carte d’identità messo in piedi da Facebook.

13. Loss

Ctrl+Alt+Del era un webcomic stucchevole e irritante come tanti di fine anni Zero: il lavoro ombelicale di un giovane fumettista che racconta i cazzi suoi, cioè un nerd che reagisce sopra le righe quando le persone normali non capiscono i suoi riferimenti (se vi vengono in mente i momenti meno felici del fumettista più famoso d’Italia, siete sulla strada giusta). Per via di questa banalissima ripetitività si guadagnò tanti hater fissi che si scatenarono di brutto quando uscì una storia diversa dal solito intitolata Loss: muta, dai toni epicamente drammatici, Loss raccontava l’aborto spontaneo avuto dalla fidanzata del protagonista. Fioccarono gli edit (editare i webcomic meno riusciti è una prassi memetica molto comune), i fotomontaggi e le prese per il culo che raggiunsero una massa tale da tramutarsi in qualcosa di diverso, che può essere premiato come il meme più cervellotico e brillante di sempre. La disposizione dei personaggi nelle quattro vignette (uno in piedi, due in piedi, due in piedi sfalsati, uno in piedi e uno sdraiato) divenne una sorta di sezione aurea contemporanea da ricercare in tutte le griglie a quattro che presentavano una disposizione degli oggetti anche solo vagamente simile. Nacque così «…is this loss?», la domanda da porre ogni volta che un fumetto o una qualsiasi rappresentazione quadripartita poteva ricordare l’infame storia di Ctrl-Alt-Del.

14. Pepe The Frog

Originariamente creatura del fumettista underground Matt Furie, Pepe era un meme multiuso di 4Chan: una rana antropomorfa dal range espressivo limitato ma efficace (euforico, triste, rilassato, incazzato). Dalla diffusione paragonabile alla Troll Face, al punto da rappresentare quasi un passaggio di testimone alla fine degli anni Zero, Pepe si ritrova presto gli occhi addosso dei normie , ovvero i nemici giurati di ogni Anon che si rispetti. Nella prima metà degli anni Dieci, quando il volto di Pepe compare persino sui Twitter delle celebrità, la misura è colma: parte della community lo dichiara «meme morto» e lo abbandona tristemente; altri invece scelgono un’altra strada: fanno dei Pepe politicamente scorretti – dei Pepe nazisti, ad esempio – impossibili da rubare per il mainstream. È qui che Pepe diventa l’icona della nascente Alt-Right, usato come arma nella prima Great Meme War, quella scatenata nel 2015 contro le femministe di Tumblr. Dopodiché accade l’impensato: lo abbraccia Donald Trump, allora in corsa per le primarie, condividendo su Twitter un Pepe dalle fattezze di Trump medesimo eletto a presidente degli Stati Uniti. In quel momento i destini di Trump, di Pepe e dell’Alt Right si saldano in modo irreversibile, innescando un meccanismo perverso: i media progressisti scoprono l’Alt Right e bollano Pepe come loro simbolo, nuova svastica dei ragazzetti americani di internet. Oggi Pepe è ancora vivo, completamente cooptato dalla destra, inside joke non più inside che funge da simbolo di riconoscimento per i fascio-nerd. Unico caso di meme morto e risorto nel giro di due anni, entrambe le volte tramite normificazione: la prima, benevola, da parte delle celebrities, la seconda, malevola, attuata dai media liberali.

15. Triggered

Ecco un altro meme di guerra, in tutti i sensi. Dalla Grande Guerra in poi, in psicologia si è iniziato a parlare di Post Traumatic Stress Disorder (PTSD), una condizione comune a molti reduci che potevano avere orrendi flashback delle esperienze passate se qualcosa o qualcuno li «innescava». Il trigger, appunto, è l’evento che fa rivivere il trauma; dalla fine degli anni Novanta, i femminismi hanno rivendicato il concetto applicandolo alle memorie di violenze sessuali, e usando online il «trigger warning», vale a dire un avviso per mettere in guardia le utenti riguardo i contenuti potenzialmente disturbanti di un dato topic. Nella già citata «prima Grande Guerra dei Meme», il Trigger Warning venne quindi impiegato da 4chan per ridicolizzare le femministe di Tumblr: un’incolpevole ragazza di nome Melody Hensley asserì su Twitter di aver sviluppato una forma di PTSD in seguito al bullismo virtuale degli antifemministi, e divenne la faccia più famosa del meme TRIGGERED, cioè un banner da apporre sotto a un primo piano per deridere lo stato di shock del soggetto, talvolta aggiungendo effetti alla foto. Nel corso degli anni, attraverso tentativi di appropriazione da sinistra che sfottevano le suscettibilità dei destrorsi, «triggered» è diventato gergo comune a tutto l’internet giovane e anglofono.

16. Political/National/Philosophical Ball

Arrivati a questo punto, sarà ormai chiaro a tutti che questi memers giovani e arguti  sanno manifestare una certa passione per la politica. Uno dei modi più simpatici e caratteristici con cui l’hanno espressa è il trend delle meme ball. Inizialmente, le ball erano degli straw man di opinioni che l’autore voleva denigrare: c’era questa emoticon sicura di sé, con tanto di occhiali da sole e pollice alzato, che esprimeva un’opinione sciocca. L’opinione sciocca veniva poi ricondotta a una dottrina politica mettendo sull’emoticon i colori della bandiera di quel movimento o corrente di pensiero (inventandoli e codificandoli, se necessario). Nonostante la versione straw man non sia mai morta, accanto ad essa sono nate delle meme ball dal design più semplice che esprimevano opinioni condivise dall’autore e sovente litigavano con meme ball avversarie all’interno di fumetti minimali. La prassi delle ball per impersonare dei discorsi si è estesa dalle correnti politiche (tra cui annoveriamo comunismo, capitalismo e almeno dodici varianti dell’anarchismo), a quelle filosofiche (anche qui sono presenti innumerevoli varianti del nichilismo che si ritrova a litigare con assurdisti e esistenzialisti), fino ai caratteri nazionali. Per chi ha studiato filosofia in Europa (come il sottoscritto) suscita un misto di tenerezza e paura vedere la mentalità analitica applicata (primariamente) alla storia del pensiero continentale, che lo seziona in decine di identità precise e mutualmente escludenti, mettendole a litigare sui cavilli delle loro argomentazioni. Ma insomma, so’ ragazzi.


17. Political Compass 

Restando sulla politica, un meme singolare è il Political Compass, non fosse altro perché amplia la gamma di oggetti «memizzabili». Qui infatti il protagonista è un diagramma: il piano cartesiano di politicalcompass.com che ha l’ambizione di schematizzare le posizioni politiche su due assi e i relativi quattro quadranti. Il test ha avuto diverse ondate di viralità, principalmente sotto elezioni (in Italia abbiamo degli equivalenti). Se a prima vista sembra un format arido, ha in realtà avuto usi abbastanza vari: c’è chi ha posizionato personaggi di un universo finzionale sui quadranti, chi ci ha scritto le parodie di ciascuna ideologia e anche chi ha usato gli ormai iconici colori del diagramma, in altri contesti, suggerendo che questo o quel contenuto fosse «Authoritarian Left», «Libertarian Right» e così via. Poi, certo, essendo diviso in quattro quadranti, se siete stati attenti, potete immaginare che qualcuno ci ha voluto vedere degli aborti spontanei qui e lì (vedi sopra alla voce Loss).


18. Long Boy

Long Boy è nato come esempio di «meme all’interno di un meme» che discuteva a sua volta l’assurdità dei meme. All’inizio del 2016, la pagina Special Meme Fresh postò una surreale descrizione dei «9 livelli di ironia» su cui si muovevano i memer più esperti: al livello zero hai la consapevolezza di un sasso o poco più, ma già al quarto desideri di non essere mai nato. Al quinto invece, «invii a un amico l’immagine di un cilindro arancione scrivendo “ahah long boy”. Lui ti cancella». Nei commenti, un utente ha realizzato lo screenshot dell’infame discussione, con tanto di immagine del cilindro arancione. Immediatamente, il giovane ragazzo cilindrico ha preso vita come meme vero e proprio, spinto sia dai fan che dalla pagina medesima. In pochi giorni, però, l’admin della pagina ne ha avuto sin sopra i capelli di quel suo strano Frankenstein che si riproduceva a rotta di collo invadendo tutti gli altri contenuti, e ha cercato in ogni modo di ucciderlo: riuscendoci anche, più o meno. Per una più dettagliata riflessione su questo processo di normificazione lampo di un meme nato da un’ipotesi scherzosa, potete leggere qui.

19. Dat Boi

Nella fase di transizione (cioè di morte e resurrezione) di Pepe the Frog, un’altra rana ha provato a caricarsi sulle spalle la memesfera, come mostra incontrovertibilmente questo graficoEcco infatti che arriva una rana 3d sul monociclo, qualcosa come la nostra Saga del clone: un momento altamente surreale e quasi onirico, in cui i memers hanno forzato il sostituto di Pepe, ermetico e multiuso come l’originale (e persino simile nell’aspetto!) avvolgendolo di una diffusa omertà che impediva di additare la nudità del re. Dat Boi è stato il primo tentativo a tavolino di dank su larga scala, e per un periodo si è davvero imposto sulle scene virtuali come nuovo re dei meme. Un regno durato però pochi mesi: e a spodestarlo ci ha pensato un certo gorilla dalla storia tragica.

20. Harambe

Il 28 maggio del 2016, un bambino di 4 anni scivola nel fossato dei gorilla dello zoo di Cincinnati. Un anziano gorilla di nome Harambe afferra il bambino e lo trascina avanti e indietro per degli interminabili minuti, prima di venire abbattuto con una fucilata da uno dei guardiani dello zoo. Partì un prevedibile carosello di polemiche: animalisti che si auspicavano una soluzione non cruenta, genitori che lamentavano la disattenzione dei genitori del bambino, e presunti etologi che spiegavano come mai un proiettile sonnifero non sarebbe servito. In altri tempi, il chiacchiericcio si sarebbe sgonfiato nel giro di una settimana. Nell’era memetica, invece, la polemica ha toccato la temperatura di ebollizione per poi evaporare in dank meme. La vicenda di Harambe è stata dapprima parodiata con riferimenti diretti agli eventi per poi prendere una piega progressivamente più surreale, fino a che Harambe non è diventato puro suono/immagine che poteva voler dire tutto o niente. Sono usciti una serie di pezzi d’approfondimento su questo «messaggio che diventa medium» (dei quali il più celebre è questo dell’Atlantic) che hanno scomodato Marshall McLuhan e Roland Barthes per decifrare un meme. Se Pepe ha fatto scoprire ai media generalisti il potere politico dei meme, Harambe ha messo sul tavolo la loro profondità semiotica.

21. Stock photo

Da casi come quello di Harambe – ma anche come il più recente suicidio in diretta di Slobodan Praljak o, in Italia, la testata di Roberto Spada – si può avere l’impressione che una delle fonti primarie dei meme sia la pura e semplice cronaca di attualità. Ma bisogna sottolineare che è raro che i meme facciano satira sull’evento in sé: semmai è vero che il referente reale si perde, e l’immagine acquista una vita propria come segno declinabile. A riprova di questo nobile disinteresse dal sociale dei meme, abbiamo l’uso massiccio e divertito delle stock photo. Le stock photo nascono proprio nel cuore menzognero del giornalismo che, dall’alba dei tempi, si avvale di archivi fotografici immensi adatti a ogni situazione, in cui dei perfetti sconosciuti recitano le più disparate situazioni della vita quotidiana, con lo scopo di rappresentare questo o quell’evento reale che un futuro articolo di giornale dovrà raccontare. Nelle messe in scena grottesche della stock photography, in cui le persone mangiano l’insalata felici e contenti o un intero consiglio di amministrazione aziendale ti tende la mano benevolo, i memer hanno trovato una fonte inesauribile di umorismo. In alcuni casi compiono il miracolo avviano il processo inverso: rendono famoso chi era destinato, per contratto, a non diventarlo mai. È il caso di Hide the Pain Harold, il soprannome dato a un modello di stock photo dall’espressione irresistibile: con la bocca sorride (come da contratto), ma i suoi occhi urlano disperazione. András Arató, questo il suo vero nome, ha rivelato la sua identità su VK (il Facebook russo) nel 2016. Da allora ha iniziato a partecipare allo scherzo, passando a fare saluti nei gruppi di memers sparsi su internet e guadagnandosi anche qualche comparsata televisiva.

22. Vaporwave Meme Editor

Impossibile riassumere qui l’insieme di fenomeni (musicali in primo luogo, ma anche artistici e cinematografici) che sono finiti sotto l’ampia categoria di vaporwave. Per quel che ci interessa, la vaporwave è una tendenza estetica marcatamente postmoderna che recupera certi stili visivi in chiave post-ironica: da un lato un certo entusiasmo per le visioni lisergiche suscitate dagli universi virtuali, dall’altro una fascinazione per le soluzioni grafiche dilettantistiche, fuori moda, in un certo senso brutalistiche. I meme contemporanei sono attraversati in lungo e in largo dalle suggestioni vaporwave: dai diretti riferimenti come gli infiniti remake di Floral Shoppe (l’album «definitivo» del genere) a contaminazioni più sottili e strutturali, come la condivisione volontaria di .jpeg rovinate dal tempo, lo spaziare le didascalie i n q u e s t o m o d o, il riuso invasivo e copioso degli ammennicoli della vecchia clipart Windows, dai font fino alle emoticon, e infine un vero e proprio editor per meme che formalizza l’anima più futurista della vaporwave così. In questo senso, se i primi meme parodiavano i codici espressivi della comunicazione visiva analogica – quella del self help e dei pubblicitari – i meme odierni si rivolgono alle estetiche di internet medesimo, che non è più solo mezzo di comunicazione, ma un mondo che ha ormai una sua storia e persino una propria tradizione artistica.

23. Meme Man

Meme Man è una testa umanoide realizzata in 3d, abbastanza approssimativamente. Figlio dell’estetica vaporwave di cui abbiamo appena parlato, nasce come immagine profilo del già citato Special Meme Fresh, che sostiene però di averlo trovato su un vecchio post di 4chan, falso o vero che sia. Ultimo arrivato di una serie di meme che ambiscono a rappresentare una comunità intera, anche Meme Man è una sorta di avatar multiuso che può recitare tanti ruoli e comparire in storie molto diverse. Tuttavia, a differenza dei suoi predecessori come i rage comics, Wojak o Pepe, manifesta spesso caratteri esplicitamente divini, simbolo di una community che ha trasceso l’umano per sciogliersi nell’onda del vapore retromaniaco. Più che un alter-ego, Meme Man è il Virgilio che scorta i memer negli abissi virtuali, caratterizzato da una calma sovrannaturale; spesso però si scopre incline alla collera, allorché i suoi occhi si illuminano e fa tremare il tessuto stesso della realtà.


24. Virgin Vs. Chad

L’ignobile camminata curva del «tipo vergine» è apparsa per la prima volta nel 2017 su 4chan, corredata da una serie di descrizioni che ne sottolineano gli aspetti più socialmente repulsivi. Se chi rappresenta il Virgin è facilmente intuibile per chiunque, non vale lo stesso per il personaggio che lo ha poi affiancato come contraltare: il Chad. Uomo alpha degli uomini alpha, desiderato da tutte le donne per via del suo fisico perfetto e della conseguente smodata fiducia nei suoi mezzi, il Chad proviene dagli anfratti più bui della man-o-sphere, cioè la comunità degli «Incel». Il termine sta per «involuntarily celibate»: soli ma non per scelta, nonché soli da tutta la vita. Gli Incel sono il nucleo hardcore della frustrazione maschile nerd: mai stati con una ragazza, mai dato un bacio, talvolta neanche un abbraccio (e se lo segnano). Manifestano il più alto livello di misoginia registrabile (non esistono donne, ma «femoidi») e credono a una gerarchia maschile all’incirca così suddivisa: 30-40%: incels (mai stati con una donna e mai avverrà); 50%-60%: normie o cucks (si accasano verso i trenta con una femoide che ha passato la vita a divertirsi e vuole sistemarsi con un cretino); 10%: Chad (gli unici uomini che suscitano desiderio femminile, lombrosaniamente indagati dalla community nei loro più piccoli dettagli fisiognomici, alla ricerca del segreto custodito dai loro geni). I Chad sono gli unici maschi ad avere una vita sessuale soddisfacente, i soli a sperimentare storielle e sesso occasionale. Gli Incel li amano e li odiano, li invidiano e li temono, talvolta appaltano loro il compito di «punire» le femoidi. Ciò che è incredibile, è la diffusione mainstream di un personaggio tanto underground, figlio della prospettiva distorta di una piccola sottocultura di misogini. Ciò che è notevole, è la sovversione politica impressa al meme, per una volta proveniente da sinistra: l’autoironia che gli Incel e gli Anon usavano tra di loro per vezzeggiarsi, è ritornata ironia diretta nei loro confronti quando il meme è uscito dai loro circoli e ha iniziato a ridicolizzare la stessa idea di dividere il mondo tra vergini e «Chad».

25. Emoji

L’alfa e l’omega, l’inizio e la fine dei meme. In apertura vi abbiamo mentito. Nella ricognizione diacronica di Börzsei figurava infatti un’ipotesi radicale circa il primo meme della storia: lo smile. Ad apparire per primo fu quello che, come dice il nome, sorride: 🙂 . Composto interamente da punteggiatura,è stato inventato il 19 settembre del 1982 da Scott E. Fahlman che già allora comprese i limiti di quella nuova forma di comunicazione scritta introdotta da internet: la difficoltà nel trasmettere il tono di un messaggio. Da subito le emoticon, come presero a chiamarsi, manifestarono in modo primitivo tante caratteristiche dei meme futuri: usi ironici e post-ironici (emoticon che ride a chiudere messaggi seri o messaggi sì divertenti ma non così divertenti), la plasmabilità grafica (sin da quando erano composte da semplice punteggiatura, gli utenti sperimentavano inventando faccine nuove) e in generale il suo essere un’immagine che è un atto di comunicazione non verbale. Oggi le emoticon, specialmente nella loro versione emoji diffusa dagli smartphone, sono entrate di prepotenza nella scena meme, fungendo da codice metalinguistico di riconoscimento – ovverosia raramente vengono usate senza un paio di strati di ironia che sottolineano l’atto stesso di usare un’emoji. Le più fortunate di loro hanno dato vita a centinaia di reinterpretazioni, come la Thinking Face Emoji o la Angry React di Facebook.