Next level: Neomaschilisti

«Rispetta il cazzo, doma la fica»: tra videogiochi, artisti del rimorchio e cultura dello stupro, la discesa dell’artista Angela Washko nei meandri dell’antifemminismo

«Rispettate il cazzo. E domate la fica. Domatela. Tenetele testa con le tecniche che io man mano vi insegnerò. E ditele: “No! Non avrai il controllo su di me. No! Non ti impadronirai della mia anima. No! Non vincerai questo gioco”. Perché questo è solo un gioco, ragazzi. Ve ne siete accorti o no, eh? Se non l’avete ancora capito, tornate ai tempi della scuola e alla cotta che avevate per le grosse tette di Mary Jane. Rispettate il cazzo. Impadronitive di questi concetti. Sono io quello che detta le regole. Sono io che decido se dire: Sì. No. Adesso. Qui. Perché è un principio universale. È un principio evolutivo e antropologico. È biologico. È animalesco. Noi siamo maschi!»

«Dovrebbero inventare un’app per smartphone che se vedi una ragazza carina in metropolitana e te ne innamori ti dice chi è, quanti anni ha, poi l’addormenta e ti fa fare sesso con lei.»

«Mio fratello quattordicenne si è portato a casa una ragazza mentre io me ne sto qui a guardare porno.»
«Falla ubriacare, spegni le luci e fai finta di essere lui. È l’unico modo per fartela, a questo punto.»
«E poi pisciale addosso. Se si incazza tirale un pugno, oppure tagliale la lingua da quella bocca da troia schifosa.»

«Ho visto due belle bionde aspettare alla fermata dell’autobus. Avevo indosso una delle mie camicie carine, quindi le ho guardate e le ho sorriso. Loro mi hanno guardato, ma non si sono neanche degnate di ricambiare il sorriso. Hanno semplicemente distolto lo sguardo come se fossi un idiota. In un moto d’ira ho fatto inversione a U, mi sono accostato alla fermata dell’autobus e le ho lanciato addosso il mio Latte di Starbucks. Quando ho visto come le aveva macchiato i jeans ho provato una sensazione di maligna soddisfazione. Come si permettono queste a snobbarmi così! Come osano insultarmi! Mi sono infuriato. Si sono meritate la punizione. E che peccato che il mio Latte non fosse abbastanza caldo da scottarle. Quelle ragazze si meriterebbero di essere buttate nell’acqua bollente per il crimine di non darmi l’attenzione e l’adorazione che giustamente merito!»

Delle quattro citazioni sopra riportate, la prima viene dal personaggio di Frank T.J. Mackey, che nel film Magnolia istruiva un pubblico di uomini sulla sottile arte della seduzione. La figura del pick up artist impersonata da Tom Cruise non è frutto dell’immaginazione dello sceneggiatore e regista Paul Thomas Anderson, ma un personaggio fin troppo reale della società americana – e non solo. La seconda era del disegnatore Mattia LaBadessa che nell’uscita più infelice e inappropriata del 2018 scrive uno status su Facebook che ha dato adito a una nota controversia. Il terzo esempio, citato da Laurie Penny in un suo recente articolo, è un botta e risposta avvenuto su un così detto «InCel forum», una community per gli involontariamente casti. L’ultimo era invece Elliot Rodger – riportato da Rebecca Solnit nel saggio «#YesAllWomen» della raccolta Gli uomini mi spiegano le cose – che nel suo «manifesto» spiegava le motivazioni che lo avevano spinto a pianificare, e successivamente eseguire, il massacro di Isla Vista nel 2014.

Di cosa stiamo parlando? Di cultura dello stupro e, nello specifico, della manosphere – anche detta androsphere – cioè l’insieme di blog, forum, siti web e community, in genere per soli uomini, in cui i temi su cui si discute sono mascolinità, virilità, diritti degli uomini e antifemminismo. Di quell’universo che, al pari del personaggio di Tom Cruise, sembra troppo assurdo per essere vero, ma che invece esiste, è attivo e alimenta la violenza nei confronti del genere femminile.

Un esponente di punta della manosphere nel panorama americano è Roosh V, autore autopubblicato di guide-pamphlet come Bang Iceland (che ti spiega come «incontrare belle islandesi senza andare per strip club o per prostitute»), Bang Poland, Don’t Bang Denmark e altre variazioni sul tema. Angela Washko invece è un’artista e scrittrice che si occupa di facilitare la creazione di nuovi forum di discussione sul femminismo negli ambienti ad esso più ostili – come ad esempio quello dei videogiochiDal 2012 ad esempio, con il suo personale avatar di World of Warcraft interroga gli altri giocatori su cosa pensino che sia il femminismo o sul perché discriminino giocatrici femmine dicendo cose come: «torna in cucina e preparami un panino». Ascolta inoltre testimonianze di chi ha subito trattamenti sessisti nel contesto del mondo videoludico e incoraggia il dialogo sui temi della discriminazione tra gamer.

Da «The Council on Gender Sensitivity and Behavioral Awareness In World of Warcraft», Angela Washko, 2012

Nel 2013, frustrata dalla mancanza di una ricerca adeguata e approfondita sul mondo dei pick up artists e relative community, infastidita da come i media liquidassero il fenomeno come «non reale» o senza impatto sul quotidiano, Washko si è iniziata ad «appassionare» al lavoro di Roosh V. Dopo averne letto l’opera omnia, Washko conduce quindi una skype call di due ore con Roosh V; gli domanda il perché di certe sue affermazioni e opinioni a riguardo delle donne, e il tutto viene documentato in un video che – vi assicuro – non è facile da guardare mantenendo la calma. A seguito dell’intervista, la scrittrice ha poi subito per un anno molestie e intimidazioni verbali da parte dei membri della comunità di Roosh V. Ciò tuttavia non sembra averla scoraggiata: infatti nasce, subito dopo, l’idea di BANGED, il progetto con il quale l’artista decide di intervistare alcune delle conquiste sessuali di Roosh V per sentire la loro versione dei fatti.

Angela Washko vs. Roosh V.

Per Angela Washko, tutti questi progetti non sono in realtà altro che una sorta di riscaldamento, un pre-partita prima della grande sfida. Avendo passato mesi ad accumulare materiale e studiare le pubblicazioni e i video di vari pick up artists ed «esperti della seduzione», l’artista decide di incanalare le conoscenze appena acquisite, combinandole con la sua esperienza pregressa nel mondo dei giochi di ruolo. Il risultato è il suo progetto più recente: The Game: The Game.

The Game: The Game è un videogioco narrativo a opzioni, in cui una giocatrice femmina si reca in un bar al fine di incontrare una sua amica. Mentre si trova nel locale, la ragazza viene abbordata da diversi tipi di uomini – tutti modellati sugli scritti di pick up artists professionisti – e ha la possibilità di reagire alle loro avance scegliendo una delle alternative proposte. Le opzioni comprendono: una reazione tendente al violento o comunque inequivocabilmente ostile; una reazione di garbato rifiuto; una reazione neutra in cui il personaggio donna sta vagliando le sue possibilità; una reazione di consenso attivo. A seconda della scelta di chi gioca, la controparte automatizzata adotterà una strategia apposita – ad esempio il famoso gaslighting in caso di reazione ostile, l’insistenza molesta in caso di educato diniego, e via di seguito.

Da The Game: The Game

Durante la presentazione del proprio lavoro al festival olandese Impakt, l’autrice ha fatto giocare collettivamente il pubblico presente in sala. La colonna sonora è degli Xiu Xiu, e ricorda quella di un thriller psicologico. Le grafiche hanno colori accesi e scuri, di solito rosso e viola, e sono molto saturate. Il punto di vista è quello della protagonista, che mentre gira per il bar in cerca della sua amica incontra diverse tipologie di seduttori.

Il primo è Julian, il tipo intenso, che le prende un braccio e le fa fare la giravolta. Il giocatore a questo punto può decidere se a) sorridere e lasciarlo fare, b) nonostante il disagio, permettergli di farti fare una giravolta per non metterlo in imbarazzo con un rifiuto, c) scuotere la testa ed allontanarsi, d) ridere istericamente e saltare su e giù.

Proseguendo il gioco, si arriva a un punto in cui il giocatore decide di ignorare Julian e continuare la sua serata. Al che lui in tono autoritario gli si para davanti e dice: «Sto parlando con te, come ti chiami?» Nella prova collettiva il pubblico ha risposto con l’opzione «Sei fastidioso, funziona di solito questa tattica?», al che Julian si guarda i piedi imbarazzato e inizia ad autocommiserarsi sperando di suscitare la compassione del giocatore. Oltre al tipo intenso, c’è poi quello sarcastico e pungente, quello creativo e sentimentale, e altri personaggi ben costruiti che a tutte le donne sarà capitato di incontrare almeno una volta nella vita. Il gioco ha tantissime variabili e più di cinquanta finali possibili, alcuni dei quali risultano vere e proprie violenze sessuali (prima di iniziare a giocare, non manca infatti un content warning).

Angela Washko ci tiene a sottolineare che niente di quello che viene rappresentato in The Game: The Game è inventato, bensì tutto frutto della sua ricerca. Lo script del videogioco ha lo stesso volume di un romanzo di quattrocento pagine. I dialoghi riportati sono stati ricostruiti attraverso la lettura dei testi e la visione di video di persone che esistono realmente e seducono donne per professione, alcuni anche in maniera lucrativa. Queste persone, inoltre, insegnano ad altri uomini le loro tecniche e pratiche, le quali spesso implicano di ignorare il fatto che le donne non appartengano tutte a un gruppo omogeneo e privo di distinzioni e, soprattutto, il loro consenso.

«Molto spesso, quando parliamo di sesso e consenso, parliamo di relazioni eterosessuali in cui una donna acconsente a fare sesso con un uomo, che cioè gli dà il permesso di farlo. Che soglia bassa di consenso!»

Del tema del «consenso» si sta parlando molto (o almeno ci si prova): eppure non è così facile definire o stabilire quando tale consenso è puro ed incontaminato. Ancora Laurie Penny, scrive che «il consenso non è un oggetto che puoi tenere in mano. Non è un regalo che può essere dato e poi maleducatamente requisito. Il consenso è uno stato dell’essere. Dare a qualcuno il proprio consenso – sessuale, politico, sociale – è un po’ come dargli attenzione. È un processo continuativo, è un’interazione tra due creature umane».

A proposito di The Game: The Game, Washko racconta quello che ha scoperto studiando la pick-up culture. Tra i capitoli fondamentali nei manuali dei cosiddetti «guru» del rimorchio, c’è spesso il superamento della «resistenza dell’ultimo minuto», ovvero quel momento in cui una donna decide di non sentirsi a suo agio con l’attività sessuale che sta svolgendo con il pick up artist di turno, e gli comunica che non farà sesso con lui. Gli esperti consigliano di superare questo momento il più in fretta possibile, in genere ignorando le obiezioni della controparte e continuando a fare quello che si stava facendo. Il risultato di questo comportamento è che spesso la donna, a posteriori, si senta a disagio e si vergogni di se stessa.

«Non capisco come qualcuno voglia andare con una persona che non sia 100% entusiasta di fare sesso con lui», riflette Washko. «Molto spesso, quando parliamo di sesso e consenso, parliamo di relazioni eterosessuali in cui una donna acconsente a fare sesso con un uomo, che cioè gli dà il permesso di farlo. Che soglia bassa di consenso! Perché non possiamo immaginare una cultura in cui le donne sono incoraggiate a comunicare con entusiasmo che sì, sono interessate, che hanno voglia di fare sesso con l’uomo in questione? Questa cultura della seduzione maschile – o almeno quella di molte delle figure che ho tracciato in The Game: The Game – non riconosce che anche le donne hanno una sessualità e sono capaci di esprimere i loro bisogni e desideri. E questo, purtroppo, viene spesso considerato come una minaccia alla mascolinità».

Da The Game: The Game

Il grosso dubbio che potrebbe sorgere riguardo a un videogioco del genere è: «Chi mai – e soprattutto quale donna – sceglierebbe di rivivere in un videogame l’esperienza fin troppo familiare di essere avvicinata da un viscido? E perché?». Washko risponde che «Per le donne ci sono modi in cui giocare a The Game: The Game volti al riconoscimento di certe tattiche ripetitive che si possono poi riscontrare in determinate situazioni. Si spera che creando familiarità con queste tattiche si crei anche più confidenza nel reagire ad esse».

Ma poi aggiunge anche che «molte delle persone di sesso femminile che hanno giocato a The Game: The Game si sono accorte che le esperienze del videogioco erano familiari al loro vissuto personale. In genere, alle donne viene costantemente chiesto di comportarsi in maniera particolare per gli uomini – che sia sorridere di più, o svolgere qualche servizio domestico, o parlare con uomini che non conoscono solo perché gli uomini si sentono di avere il diritto alla loro attenzione. L’ultimo caso in particolare è proprio ciò che avviene in The Game: The Game».

Ma The Game: The Game non si riduce alla semplice replica di esperienze fin troppo comuni alle giocatrici donne. Nota Angela Washko: «Se parliamo di uomini, spero che giocando a The Game: The Game si rendano conto di quanto certe esperienze riprodotte nel videogame siano di ordinaria amministrazione per tante giovani donne che decidono di passare del tempo da sole in un luogo pubblico. Alcuni uomini mi hanno detto di aver riconosciuto in loro stessi certi pattern comportamentali che, dopo aver partecipato al videogioco, hanno capito poter essere interpretati come minacciosi. La mia speranza è che questo progetto costringa gli uomini a ripensare il proprio comportamento e li incoraggi a supportare e difendere le donne negli spazi in cui decidono di passare il tempo». Anche se poi ammette: «Forse è una speranza un po’ idealista».