جهاد! (Benvenuti in Eurabia)

Tutto sul complotto della sinistra per l’islamizzazione forzata dell’Europa, dai “Protocolli dei Savi di Bruxelles” a Oriana Fallaci

Pubblichiamo un estratto da Complotti! Da Qanon alla pandemia, cronache dal mondo capovolto, il nuovo libro di Leonardo Bianchi in uscita in questi giorni per minimum fax, ringraziando l’editore per la disponibilità.

Il fantasma dell’«islamo-gauchismo»

Se c’è una cosa che Marine Le Pen – la leader di estrema destra del Rassemblement National, ex Front National – non si sarebbe mai aspettata, è di finire accusata di arrendevolezza verso l’Islam.

Eppure, è esattamente quello che è successo in un dibattito televisivo piuttosto acceso con il ministro dell’interno Gérald Darmanin, andato in onda l’11 febbraio del 2021 su France 2. A un certo punto, l’esponente di La République En Marche! ha incalzato Le Pen con queste parole: «Sei troppo debole nei confronti dell’Islam, non sei abbastanza dura. […] Dici che non c’è alcun problema con l’Islam, al limite solo con l’ideologia salafista».

Le Pen è rimasta a dir poco sorpresa. «L’Islam è una religione come un’altra», ha ribattuto, «e poiché sono profondamente attaccata ai valori francesi, vorrei preservare la libertà totale di organizzazione e la libertà totale di culto». Poi si è guardata intorno, ha cercato lo sguardo del conduttore e ha fissato Darmanin come a dire: davvero? A me, proprio a me, vieni a dire che sono «debole» contro l’Islam? Parliamo comunque di una persona che da decenni denuncia «l’imperialismo islamista» e ha fatto dell’islamofobia un marchio di fabbrica.

Darmanin e la sua forza politica lo sanno benissimo. L’insinuazione che la destra francese non sia «dura» contro l’Islam fa parte di una precisa strategia in vista delle presidenziali del 2022, tutta basata sulla certezza che Le Pen arriverà al secondo turno (come effettivamente sembra dai sondaggi). A rincarare la dose ci ha pensato anche la ministra dell’istruzione Frédérique Vidal. Qualche giorno dopo il dibattito su France 2, Vidal ha fatto un’apparizione su CNews – una specie di Fox News francese – per lanciare l’allarme sull’islamo-gauchisme (traducibile come «islamo-sinistra»), che sarebbe una sorta di «complicità intellettuale» tra accademici, partiti della sinistra radicale, ambienti integralisti islamici e terroristi jihadisti. Per circoscrivere questa insidiosa tendenza, la ministra e il governo di Macron hanno incaricato il Centro nazionale di ricerca scientifica (Cnrs) di condurre un’inchiesta sui docenti – soprattutto quelli che si occupano di tematiche post-coloniali, di genere e legate al razzismo – che farebbero parte di questa fantomatica «islamo-sinistra».

La decisione ha suscitato le vibranti proteste del mondo accademico e intellettuale francese. La Conferenza dei rettori delle università (Cpu) ha espresso il proprio «stupore» chiedendo di «andare oltre le rappresentazioni caricaturali e i discorsi da bar». L’ex condirettore di Le Monde Diplomatique Alain Gresh ha parlato di «polizia politica» dentro le università; altri invece hanno accostato il neologismo al maccartismo o al vecchio «giudeo-bolscevismo».

C’è l’idea che la minoranza musulmana costituisca una specie di «società parallela» che corrode dall’interno quella «sana» (leggi: non-musulmana).

L’analisi del Cnrs è stata condotta attraverso Politoscope, uno strumento per lo studio dell’attivismo politico online. Dall’analisi di 290 milioni di messaggi postati dal 2016 a oggi su Twitter e altri social viene fuori che le università francesi, com’era scontato, non sono un covo di pericolosi «cattivi maestri»; il vero problema sta nell’espressione «islamo-sinistra», che da anni viene usata a piene mani dalla «fasciosfera» (la rete informale di blog, pagine e siti dell’estrema destra francese, per certi versi molto simile all’alt-right statunitense).

In pratica, annota la giornalista Catherine Cornet su Internazionale, il governo sta dando spazio a idee e tormentoni dell’estrema destra nel tentativo di rosicchiare il consenso elettorale di Le Pen su un tema estremamente delicato e divisivo – specialmente in un paese che, dal 2012 a oggi, è stato colpito da 18 attentati terroristici di matrice jihadista. Un’altra parola d’ordine piuttosto controversa l’ha impiegata Emmanuel Macron in persona, nell’ottobre del 2020. Dopo la sconvolgente uccisione dell’insegnante Samuel Paty il presidente ha evocato il rischio del «separatismo islamico», spingendo molto per l’approvazione di una legge molto contestata contro il fondamentalismo religioso.

Ma dietro a questa formula, sottolinea un articolo di Foreign Policy, c’è implicitamente l’idea che la minoranza musulmana del paese costituisca una specie di «società parallela» che corrode dall’interno quella «sana» (leggi: non-musulmana). E quest’immagine rimanda a una precisa teoria del complotto: quella di «Eurabia», cioè «l’islamizzazione forzata» dell’Europa.

I Protocolli dei Savi di Bruxelles

La prima comparsa del termine risale agli anni Settanta, ma è solo qualche decennio più tardi che diventerà noto al grande pubblico. La persona che ha sistematizzato il concetto è Gisèle Littman, una donna di origini egiziane e di religione ebraica costretta a fuggire dal paese con la sua famiglia durante la crisi di Suez del 1956, per poi trasferirsi stabilmente in Svizzera. Nel corso degli anni Novanta e dei primi Duemila, usando lo pseudonimo di Bat Ye’or («La figlia del Nilo»), ha pubblicato una serie di libri in francese in cui dettaglia l’immensa cospirazione ordita dalle «élite europee» per svendere il continente – incluse la sua cultura, le sue radici, la sua religione e le sue alleanze geopolitiche con Stati Uniti e Israele – ai paesi arabi, in cambio soprattutto di petrolio.

Per Littman tutto parte dal generale Charles De Gaulle e dalla sanguinosa guerra d’indipendenza in Algeria, finita nel 1962. Ammettendo la sconfitta e rinunciando alla colonia, il presidente francese ha tradito l’esercito e i coloni cristiano-francesi, creando così un pericoloso precedente a favore delle «nazioni musulmane». Riciclando le tesi dell’estrema destra francese, che odiava De Gaulle al punto di cercare di assassinarlo più d’una volta, Littman intravede in quella capitolazione il primo passo verso l’introduzione della dhimmitudine (una parola coniata da lei stessa) in Europa, ossia una «sottomissione» che avrebbe trasformato le popolazioni locali in una schiera di sudditi con minori diritti rispetto ai musulmani. A tale scopo, sostiene la scrittrice, hanno lavorato anche associazioni e iniziative come l’Association de Solidarité Franco-Arabe, il Dialogo Euro-Arabo, il Comitato Europeo di Coordinamento delle Associazioni Amiche del Mondo Arabo e altre ancora, tutte sorte tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta.

Sulla carta, prosegue Bat Ye’or, queste iniziative servono a pianificare intese più o meno istituzionali tra le nazioni europee, la nascente Unione Europea e il mondo arabo. Il vero obiettivo è però molto più oscuro: rendere l’Europa una «civiltà post-giudeo-cristiana asservita all’ideologia del jihad e delle potenze islamiche che la diffondono». Il compendio del pensiero di Littman su questa «ideologia pianificata con freddo calcolo» esce nel 2005, e si intitola per l’appunto Eurabia: The Euro-Arab Axis (tradotto in Italia con il titolo di Eurabia. Come l’Europa è diventata anticristiana, antioccidentale, antiamericana, antisemita). In un’intervista con il quotidiano Haaretz in cui si parla del saggio, Littman prospetta un futuro decisamente apocalittico per il vecchio continente:

L’Europa sta attraverso un processo di «islamizzazione» che la farà diventare un satellite politico del mondo arabo e musulmano. I leader europei hanno deciso di allearsi con quel mondo, adottando il suo stesso atteggiamento ostile verso gli Stati Uniti e Israele. La cosa non si limita certo alla politica estera, ma riguarda quella interna – in particolare su temi quali la gestione dei flussi migratori, l’integrazione degli immigrati e l’idea che l’Islam faccia parte dell’Europa.

L’intera teoria non ha la minima aderenza alla realtà: è piuttosto una sovrainterpretazione di vicende storiche e rapporti geopolitici, mischiati con mezze verità e falsità belle e buone.

L’11 settembre e tutto quello che ne è conseguito – le guerre in Afghanistan e Iraq, gli attentati di Al-Qaeda in Europa e l’ondata reazionaria e islamofoba nei paesi occidentali – hanno regalato un’inaspettata popolarità ai libri di Bat Ye’or, e il termine Eurabia è stato adottato con entusiasmo dalla blogosfera di estrema destra.

Lo storico Robert Wistrich, scomparso nel 2015 e unanimemente considerato come uno dei più importanti studiosi di antisemitismo, ha scorto delle analogie narrative con i Protocolli dei Savi di Sion – arrivando a definire il libro di Littman «i Protocolli dei Savi di Bruxelles». Lo stesso Wistrich ha ricordato che fino agli anni Novanta Littman non era presa sul serio da nessuno, men che meno dal mondo accademico. Ma di colpo, ricostruisce sul Guardian il giornalista esperto di religioni Andrew Brown, le cose sono cambiate radicalmente.

L’11 settembre e tutto quello che ne è conseguito – le guerre in Afghanistan e Iraq, gli attentati di Al-Qaeda in Europa e l’ondata reazionaria e islamofoba nei paesi occidentali – hanno regalato un’inaspettata popolarità ai libri di Bat Ye’or, e il termine Eurabia è stato adottato con entusiasmo dalla blogosfera di estrema destra. I maggiori propagatori sono siti molto connotati politicamente come Gates of Vienna, Jihad Watch, Little Green Footballs e Brussels Journal. Il primo è stato fondato da Edward May, un programmatore di Washington D.C.; il secondo dal blogger americano Robert Spencer; il terzo da Charles Johnson, un ex chitarrista di Los Angeles con la passione per il web design; e l’ultimo da Paul Beliën, un giornalista belga di estrema destra.

Nel 2007, il movimento della «contro-jihad» – come si autodefinisce – si incontra a Bruxelles per la prima volta. Il convegno è organizzato dal partito nazionalista fiammingo Vlaams Belang, e vede la partecipazione, tra gli altri, di politici dello Ukip e degli Svedesi Democratici (un partito svedese di estrema destra), di Littman e di un blogger norvegese che si fa chiamare Fjordman. 

Peder Are Nøstvold Jensen – questo il vero nome di Fjordman – è un personaggio sui generis. Cresciuto in una famiglia di orientamento socialista, da adolescente ha militato per un breve periodo nella Lega dei giovani socialisti. All’università di Bergen ha studiato lingua e storia arabe; in seguito ha lavorato per il Consiglio norvegese per i rifugiati, una Ong umanitaria, passando un anno a Hebron nella West Bank occupata. L’esperienza lo radicalizza, convincendolo che l’Islam è un pericolo mortale per la civiltà europea. Una volta tornato in Norvegia, nel 2003, Jensen inizia a scrivere articoli antifemministi e islamofobi per alcuni dei blog citati in precedenza, firmandosi con il nickname «Norwegian Kafir». Nel 2005 cambia lo pseudonimo in Fjordman, diventando in breve una figura centrale del movimento «contro-jihadista» nonché il propagandista più accanito delle teorie di Bat Ye’or – tanto da pubblicare nel 2008 il libro Sconfiggere l’Eurabia.

Fjordman ricopre però un ruolo molto più tragico: quello di principale fonte d’ispirazione di Anders Behring Breivik. Quest’ultimo lo definisce il suo «autore contemporaneo preferito» e poco prima dei massacri di Oslo e Utøya gli invia per email il suo manifesto, pieno zeppo di brani copiati integralmente dai suoi scritti. Il titolo stesso («Una dichiarazione europea di indipendenza») rimanda a un post del blogger. In un comunicato pubblicato il 26 luglio del 2011, a quattro giorni dalla strage, Jensen si dissocia con fermezza dalle azioni di Breivik. «Chiunque commetta un atto del genere è un mostro», si legge. Ma il terrorista, in fondo, non ha fatto altro che applicare sul campo il messaggio insito nell’idea di Eurabia: siccome è in corso un’inarrestabile invasione musulmana del continente, non resta che fermarla con ogni mezzo possibile.

Oriana, guardaci da lassù

Esattamente com’è successo con il «marxismo culturale», nemmeno un simile spargimento di sangue ha fermato l’avanzata del mito di «Eurabia». Tutt’altro: secondo il regista Paul Greengrass, autore del film 22 luglio, «la visione del mondo e l’impianto intellettuale» di Breivik, di Fjordman e della «contro-jihad» si sono spostati «dai margini al centro della scena politica». Questo è dovuto principalmente a tre fattori. Il primo è che la linea di demarcazione tra l’ecosistema mediatico dell’estrema destra e i cosiddetti «media mainstream» si è fatta sempre più porosa. Il racconto dell’«islamizzazione forzata» è diventato un vero e proprio genere giornalistico a sé stante, composto da servizi e reportage sui quartieri in cui vige segretamente la sharia, sulle fantomatiche «no-go zone» (aree urbane «interdette» a non-musulmani) nelle città europee, sull’influenza surrettizia dell’Islam nelle scuole e perfino nelle tradizioni culinarie.

Il secondo è l’ascesa dei partiti della destra radicale populista. Se fino a non troppo tempo fa a parlare di Eurabia erano solo piccoli movimenti neofascisti o gruppi come Stop Islamisation of Europe, ora l’Eurabia è integrata nella propaganda di formazioni come l’AfD in Germania, l’Unione Democratica di Centro in Svizzera, il Partito del Progresso in Norvegia, il fpö in Austria, lo Ukip nel Regno Unito, il Rassemblement National in Francia e anche partiti centristi come En Marche.

L’Italia è stata per certi versi la capostipite di questa tendenza grazie a Oriana Fallaci, che ha introdotto e diffuso il concetto negli ultimi libri scritti prima di morire e nelle sue lunghe tirate sul Corriere della Sera. In una di queste, pubblicata nel 2006, scriveva che l’Europa:

non è più Europa ma Eurabia, e con la sua mollezza, la sua inerzia, la sua cecità, il suo asservimento al nemico si sta scavando la propria tomba. […] In ciascuna delle nostre città esiste […] una città straniera che parla la propria lingua e osserva i propri costumi, una città musulmana dove i terroristi circolano indisturbati e indisturbati organizzano la nostra morte.

Con una simile legittimazione intellettuale, i partiti di destra – su tutti Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia – hanno avuto gioco facile nel tirare in ballo il termine con estrema nonchalance.

Matteo Salvini ha affermato sui propri canali social che «questa non è integrazione! no all’Eurabia. Oriana, guardaci da lassù». Dal canto suo, il consigliere comunale di Forza Italia Alberto Ancarani ha addirittura visto «cellule di Eurabia» nella stazione di Ravenna.

Rilanciando un servizio del Tg2 sulla Svezia, in cui si parlava di interi quartieri «fuori controllo» dove «non entra la polizia» e «vige la sharia», il segretario leghista Matteo Salvini ha affermato sui propri canali social che «questa non è integrazione! no all’Eurabia. Oriana, guardaci da lassù». Dal canto suo, il consigliere comunale di Forza Italia Alberto Ancarani ha addirittura visto «cellule di Eurabia» nella stazione di Ravenna, riferendosi agli «atteggiamenti di prepotenza e di controllo del territorio da parte di etnie tutt’altro che amichevoli nei confronti degli italiani».

Va rilevato che discorsi del genere avvengono in totale spregio dei numeri effettivi del fenomeno, sia in Europa che in Italia. Per quando riguarda la nostra penisola, infatti, in vent’anni i cittadini di fede musulmana sono passati dallo 0,5% al 2,6% della popolazione; la percentuale sul totale degli stranieri è rimasta stabile al 32. Per mettere le cose in prospettiva, basti dire che nello stesso lasso di tempo i cristiani ortodossi sono passati da 222.000 a 1.520.000, cioè dal 23 al 30%. Nessuno però si sogna di parlare di «invasione ortodossa» – anche perché politicamente non paga. E infatti, argomenta Raphaël Liogier su Le Monde Diplomatique, l’ombra del «grande complotto islamico» serve ad alimentare «una logica di difesa culturale dei “valori” e dello “stile di vita” degli europei “autoctoni” messo in pericolo dalle minoranze etniche, di cui i musulmani incarnano l’aspetto più terrificante». Grazie allo spauracchio di Eurabia, i partiti della destra radicale populista – e quelli ancora più a destra – possono «oltrepassare il tradizionale steccato ideologico tra destra e sinistra» ed espandere il loro perimetro elettorale, presentandosi falsamente come «i difensori di quei valori, del progresso, della libertà, della democrazia, dell’indipendenza, della tolleranza e della laicità».

Il terzo fattore che ha determinato il successo della teoria di Littman, infine, è la sua convergenza con un’altra teoria del complotto altrettanto immaginifica e pericolosa: la «grande sostituzione», conosciuta anche come il «genocidio dei bianchi».

L’unione tra le due fantasie, scrive Andrew Brown, permette di ritrarre l’Islam e i musulmani «sia come una cospirazione, sia come una minaccia demografica» che in quanto tale va eliminata – esattamente come ha fatto Breivik, e come hanno provato a fare i suoi emuli.