Metagalaktika, Queer City

Comunismo queer

«La risposta al bigottismo di destra non può essere il fondamentalismo positivista di sinistra». Oltre le identity politics e la «neutralità della scienza», il manifesto di Georgy Mamedov e Oksana Shatalova, attivisti radicali del Kyrgyzstan

Il saggio che segue, è stato scritto nella città di Bishkek, capitale del Kyrgyzstan, una delle repubbliche centroasiatiche nate dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica. Originariamente pubblicato sulla piattaforma ArtsEverywhere, tradotto in inglese da Giuliano Vivaldi e in italiano da Enrico Gullo, è stato scritto da Georgy Mamedov e Oksana Shatalova. Attivisti culturali e organizzatori di eventi, Mamedov e Shatalova hanno aperto un centro di studi culturali radicali chiamato STAB (School of Theory and Activism – Bishkek). Si considerano pensatori e attivisti di sinistra non dogmatici. Dalla loro prospettiva etica e politica, cercano di evitare la superficialità nell’affrontare temi come l’internazionalismo, l’intersezionalità, il femminismo, e gli interventi di solidarietà con i gruppi sociali di esclusi nell’Asia postsovietica, dove il conservatorismo di Stato e certe orme di imperialismo neocapitalista stanno assumendo forme sempre più minacciose. Shatalova e Mamedov cercano di rivisitare l’eredità dell’unico, profetico Evald Ilyenkov, pedagogo sovietico e filosofo, marxista che dagli anni Sessanta agli anni Settanta lavorò coi bambini sordomuti in un internat (in epoca sovietica, un tipo di scuola dove gli studenti risiedevano permanentemente) vicino Mosca. Shatalova e Mamedov provano esaminare le teorie queer, o il concetto di queer di oggi (nei termini della loro definizione) attraverso la lente delle prassi radicali di Ilyenkov e Alexander Suvorov (uno studente di Ilyenkov che successivamente diventò ricercatore di psicologia), combattendo quindi le identity politics con gli strumenti del determinismo sociale.

Questo saggio è accompagnato da un’opera costituita da una serie di immagini dal titolo Queer City (2017), realizzata da Metagalaktika, un collettivo artistico di architetti e attivisti anonimi i cui progetti futuristici sostengono le lotte contro ogni forma di oppressione – sessismo, razzismo, omofobia, islamofobia e oppressione di classe. Usano mezzi diversi per i loro progetti: video, foto, illustrazioni e performance. In questo set di cartoline, lo spazio urbano quotidiano di Bishkek trascende in un nuovo mondo alternativo. Queer City mostra dieci luoghi di Bishkek connessi alla storia del movimento LGBT cittadino come se fossero visti nel 2047.

Metagalaktika, Queer City

Contro le risposte semplici

Nel maggio 2012, per dieci serate nel nostro spazio a Bishkek, abbiamo organizzato, insieme a Labrys (la più antica organizzazione LGBT del Kyrgyzstan), un «Workshop sulla protesta non alienata». Abbiamo raccolto attivisti LGBT, artisti e altre persone interessate per ideare delle immagini e degli slogan contro omofobia e transfobia. Tutti gli eventi del workshop, compresa la presentazione finale che si è tenuta il 17 maggio, cioè la Giornata Internazionale Contro Omofobia, Bifobia e Transfobia, erano aperti a un pubblico ampio e sono riusciti a ottenere copertura mediatica. È stata un’esperienza stimolante e abbiamo pensato di organizzare un evento ancora più grande per il 17 maggio dell’anno successivo. In ogni caso, questo «Workshop sulla protesta non alienata» era destinato a rimanere il nostro più grande evento pubblico a sostegno delle comunità LGBT. Nel 2013, omofobia e transfobia, che l’anno prima sembravano semplicemente una questione di pregiudizio arcaico, sarebbero diventate un fulcro importante delle politiche statali. Nel 2013 il parlamento russo avrebbe approvato una legge sulla «propaganda gay», dichiarando l’agenda LGBT la principale antagonista dei «valori tradizionali», la cui difesa e promozione sarebbe diventata la missione globale della Russia di Putin.

Il Kyrgyzstan è una degli stati ex sovietici più fedeli alla Russia. Molti abitanti si informano sui media russi e il politico più popolare in Kyrgyzstan è Vladimir Putin. Perciò non sorprende che l’omofobia politica si è rapidamente spostata dalla tv russa alla vita reale in Kyrgyzstan. Nell’autunno del 2013 le autorità hanno impedito la proiezione del film I Am Gay and Muslim al festival dei diritti umani Bir Duino (One World), e verso l’inizio del 2014, i deputati kyrgyzi stavano già stendendo la bozza della loro legge sulla «propaganda gay». Il disegno di legge si è «bloccato» tra la seconda e la terza revisione al parlamento, così non è stato convertito in legge; ma durante la fase di discussione, le destre radicali avevano già iniziato a percepire il progetto di legge come un’autorizzazione per la loro violenza contro le persone LGBT. La più drammatica manifestazione di violenza omofobica, provocata dal disegno di legge, è stata l’attacco da parte di attivisti di estrema destra a un evento di Labrys del 17 maggio 2015. L’evento si è svolto in una location privata e a porte chiuse, ma questo non ha impedito ai fascisti di interrompere il tutto attraverso minacce e violenze. All’inizio dello stesso anno, alcuni ignoti avevano anche attaccato la sede di Labrys, lanciando diverse molotov attraverso la recinzione. Essendosi svolto questo attacco di notte, non ci sono stati feriti o vittime; ma è stato solo per pura fortuna che non si è scatenato un incendio.

Nel 2017, gli eventi che abbiamo organizzato insieme alle organizzazioni LGBT kyrgyze si sono svolti a porte chiuse. Oggi, per le comunità LGBT del Kyrgyzstan, la sicurezza ha la precedenza sulle prese di posizione pubbliche. Questa breve cronologia delle restrizioni sociali per le persone LGBT evidenzia solo un aspetto della svolta conservatrice in Kyrgyzstan. In effetti, la lista dei gruppi molestati da questo assalto conservatore sta crescendo costantemente. Tra i primi della lista ci sono gli «Altri» più ovvi – persone LGBT e minoranze etniche, e poi attivisti per i diritti umani e ONG. Poi la lista cresce esponenzialmente: oggi, mentre il clero kyrgyzo blatera e discute sulla necessità di autorizzare legalmente la poliginia, ottanta deputati maschi hanno abbandonato un dibattito parlamentare dedicato alla discussione della condizione di donne e ragazze in Kyrgyzstan. Probabilmente la più breve e succinta definizione della svolta conservatrice potrebbe essere questa: un periodo di risposte semplici a questioni complesse. Una delle più popolari di queste risposte è la xenofobia – la ricerca di un capro espiatorio che destabilizza l’unità sociale e l’armonia. Questa risposta ha un carattere universale ed è applicabile a diverse circostanze; per esempio, le autorità cittadine di Bishkek hanno reagito in modo dolorosamente familiare all’ondata di indignazione popolare senza precedenti che si è scatenata contro le barbare politiche di abbattimento di alberi per l’ampliamento delle strade: chi protestava è stato registrato come provocatore, come parte delle cosiddette «terze forze» che beneficiano dalla disintegrazione della «stabilità sociale». In questo modo, è sufficiente rivendicare il proprio diritto a respirare aria fresca e a godersi l’ombra degli alberi per diventare Altro, un provocatore, un membro di gruppi da quinta colonna, un pervertito.

Scriviamo questo testo in un tentativo disperato di difendere la complessità, schierandoci contemporaneamente contro il bigottismo di destra e il fondamentalismo positivista di sinistra.

In ogni caso, nel contesto della svolta conservatrice, le risposte semplici non sono propugnate soltanto dalla destra. La sinistra in senso ampio, incluse femministe e attivist* LGBT, non hanno più remore a offrire risposte semplici a problemi complessi. E se la chiave per la stabilità e l’armonia per la destra sono categorie metafisiche come «purezza spirituale» e «valori tradizionali della famiglia», allora i fatti scientifici accertati sperimentalmente sono perfetti per offrire un terreno solido sul quale la sinistra può assestarsi. Positivismo e scientismo sono visti da molti a sinistra come l’unico argomento contro l’oscurantismo conservatore. Questo contribuisce alla moda di recitare il vangelo neurobiologico dando all’ipotesi biologica una certa aura di «ultima scoperta scientifica». I neurobiologi sono l’incarnazione contemporanea dei frenologi e degli eugenisti, pronti a tirar fuori le TAC, le risposte a posteriori, le spiegazioni e le valutazioni su praticamente ogni aspetto della natura umana, fino alla «bontà», all’«amore», all’«ipocrisia», per non parlare dell’orientamento sessuale.

Oggi, i media «progressisti» postsovietici discutono seriamente dei «geni dell’omosessualità» e delle «caratteristiche neurologiche del transgenderismo», e anche le persone di sinistra, le femministe e attivist* LGBT si accontentano di snocciolare tesi essenzialiste per sostenere le identity politics, quasi a provare che l’identità sia «innata», involontaria, e dunque inevitabile: «questo è il modo in cui Dio e i geni dei nostri genitori ci hanno fatto». Questo discorso positivista si manifesta anche nella ricerca di una base per la mobilitazione politica. Per molte femministe, per esempio, questa diventa il terreno della «separazione fondamentale tra uomini e donne», che in pratica si traduce in transfobia ed esclusione delle persone trans dalla lotta femminista. E per la sinistra postsovietica ogni interpretazione alternativa dei fatti scientifici va combattuta come se si dovesse fare una crociata contro il postmodernismo, buttando via praticamente tutto il pensiero critico della seconda metà del Novecento da Baudrillard a Foucault, a Butler e alla queer theory.

Queste risposte non ci soddisfano, e scriviamo questo testo in un tentativo disperato di difendere la complessità, schierandoci contemporaneamente contro il bigottismo di destra e il fondamentalismo positivista di sinistra. La nostra risposta «complessa» alle sfide della svolta conservatrice si genera all’intersezione di due campi teoretici che, a prima vista, non hanno niente in comune: le teorie queer contemporanee (o, in un senso più largo, il concetto di queer) e la filosofia sovietica radicale, rappresentata dalle intuizioni teoretiche del filosofo dialettico sovietico Evald Ilyenkov e del suo studente, lo psicologo non udente e non vedente Alexander Suvorov. La nostra risposta va formulata a partire dai tre (secondo noi) aspetti fondamentali del concetto di queer – anti-essenzialismo; analisi dell’esclusione e dello stigma; radicalismo etico e politico – che, ne siamo convinti, devono costituire una parte integrante del pensiero di sinistra contemporaneo. Questi stessi tre aspetti sono espressi nella concezione ilyenkoviana della personalità, che discuteremo nel dettaglio. Comunque, il nostro obiettivo non può essere ridotto all’indicazione di questa intersezione: il nostro ricorso all’esperienza della filosofia sovietica (che era inestricabilmente connessa con una visione di trasformazione attiva della realtà) ci consentirà di arricchire di radicalismo teorico e politico il programma che proponiamo, al quale per anni ci siamo riferiti con l’etichetta di queer communism.

L’orizzonte politico del concetto di queer diverge radicalmente dal movimento LGBT mainstream, il cui obiettivo è normalizzare sessualità e identità di genere eterogenee.

La nostra visione del queer va oltre la teoria queer accademica e si riferisce a un più largo ed eterogeneo campo di approcci, pratiche e politiche del corpo nel contesto delle relazioni sociali – incluse le pratiche di attivismo – a cui ci riferiamo quando parliamo del «concetto di queer». Nonostante la natura larga e l’eterogeneità di visioni e pratiche associate al concetto di queer, si può isolare una selezione di caratteristiche chiave, consentendo loro di esistere tutte sotto lo stesso termine.

Prima di tutto, il concetto di queer rappresenta una critica delle identity politics, perché alla sua base troviamo un radicale anti-essenzialismo, rappresentato per esempio dalla nozione che genere e sessualità – come altre identità – non sono naturali e innate, ma fenomeni sociali che dipendono da concrete condizioni culturali e storiche. Oppure, per dirla con le parole di David Halperin, l’identità queer è «un’identità senza essenza».

In secondo luogo, per il concetto di queer è fondamentale la connessione tra identità da un lato e stigma ed esclusione dall’altro. Hugh Ryan, attivista e scrittore queer, in un post dal titolo eloquente Why Everyone Can’t Be Queer («Perché non tutti possono essere queer»), attira l’attenzione sul fatto che la parola inglese queer è una definizione collettiva per le sessualità e le identità di genere marginalizzate, usata allo stesso tempo come insulto e come un’etichetta riappropriata da attivist* politic*. E il termine «marginalizzate», dal suo punto di vista, è cruciale per comprendere il significato politico del concetto di queer: «Non ha a che fare coi tuoi specifici comportamenti sessuali o con le tue identità; piuttosto, riguarda come queste cose sono giudicate dalla cultura che ti circonda. È questa l’essenza della queerness: essere queer significa essere giudicat* e formare una comunità con altr* che sono stat* giudicat* in modo simile».

Una conoscente donna, in una conversazione privata, ci ha descritto un meccanismo simile per individuare l’alterità, stavolta sul terreno etnico: «Potresti anche non sospettare minimamente di essere ebrea, ma la gente non mancherà di farti notare che lo sei». Di conseguenza, annunciare la propria queerness non significa oltrepassare tutte le identità possibili ed essere «semplicemente umani»: da questa prospettiva il concetto di queer perde interamente il suo contenuto politico. In senso politico, definirsi queer significa opporsi al sistema sociale di distribuzione dei beni e dei privilegi basato su una specifica identity politics che definisce un’identità come «normale» mentre vede le altre come «devianti». La dipendenza delle identità e dell’esclusione dalle condizioni storiche e culturali a cui sono connesse conduce a una conclusione etica e politica significativa: queste condizioni possono e devono essere cambiate.

In questo senso, definiamo il terzo aspetto del concetto di queer che può essere qualificato nei termini della sua radicalità etica e politica, la forma più estrema di pressione politica, una specie di «grado di queerness», cui i due aspetti precedenti possono essere condotti. L’orizzonte politico del concetto di queer in questo senso diverge radicalmente dal movimento LGBT mainstream, il cui obiettivo è normalizzare sessualità e identità di genere eterogenee. La normalizzazione è raggiunta accentuando similitudini e simultaneamente appianando le differenze: le persone omosessuali non sono diverse dalle persone eterosessuali in nessun modo, perché anche loro posseggono i valori dell’amore e della famiglia e vorrebbero avere dei bambini.

Per il queer invece, la normalizzazione è un concetto nemico. «Queer è il grido di battaglia della devianza», dichiara Ryan. Il concetto di queer non enfatizza identità e somiglianze, ma differenze e particolarità, e lancia una sfida al pensiero politico esistente che mette l’identità alla base dell’azione collettiva. Il concetto di queer propone una coalizione politica della differenza per sostituire una politica identitaria della somiglianza. In ogni caso, l’attenzione alle differenze non equivale a una esclusione di ciò che è comune. Nella politica della coalizione ciò che è comune non è una precondizione ma piuttosto il risultato, l’orizzonte di azione collettiva nel quale uno dei più importati principi del comunismo è realizzato – il libero sviluppo di ognun* è la condizione per il libero sviluppo di tutt*. Il progetto politico basato su una simile dialettica di particolare e universale è quello che noi chiamiamo queer communism, comunismo queer.

Metagalaktika, Queer City

Il comunismo queer insiste sull’idea che lo sfruttamento capitalistico non ha solo carattere universale – una maggioranza assoluta è costretta a vendere la propria forza-lavoro al Capitale – ma ha anche un carattere particolare: per donne, omosessuali, transgender, persone di gruppi etnici differenti, persone disabili e persone con problemi di salute mentale, crea delle specifiche condizioni di esclusione e sfruttamento. E il metodo queer-comunista per opporsi a questa sottomissione è di unirsi in un movimento comune che non presuppone la subordinazione dei bisogni specifici di diversi gruppi a un obiettivo universale, ma intende ogni bisogno particolare come un bisogno universale.

L’esperienza specifica dello sfruttamento inoltre definisce il modo in cui gruppi diversi immaginano un futuro senza sfruttamento, e perciò il movimento di liberazione comune dovrebbe sviluppare un’immagine del futuro più inclusiva possibile, in modo tale da riflettere i bisogni e le aspirazioni di gruppi molto diversi. Vale la pena a proposito ricordare una delle tesi chiave della femminista marxista Heidi Hartmann: «la lotta per istituire il socialismo deve essere una lotta nella quale gruppi con interessi diversi formano un’alleanza», e questi gruppi devono avere le proprie «organizzazioni e basi di potere».

Un’importante fonte teoretica e pratica per l’attuale pensiero di sinistra potrebbe essere la filosofia sovietica radicale. Un pensatore che può a tutti gli effetti essere considerato un queer communist era il teorico marxista sovietico Evald Ilyenkov. Recentemente, la sua eredità intellettuale ha attratto una certa attenzione da parte di teorici e studiosi, ma questo interesse ha un carattere largamente accademico. Vorremmo sottolineare qui la rilevanza del lascito di Ilyenkov per la lettura della situazione politica attuale.

Evald Ilyenkov (1924-1979) fu uno studioso di logica dialettica e della natura dell’«ideale». L’aspetto più importante del suo pensiero nel contesto del comunismo queer è rappresentato dalla concezione ilyenkoviana della personalità. Nell’opinione del professore di psicologia non udente e non vedente Alexander Suvorov (prima studente e poi successore della linea teorica portata avanti da Ilyenkov) è precisamente lo studio dello sviluppo armonioso e multisfaccettato della personalità che costituisce il cuore della filosofia ilyenkoviana. La base di questa concezione è il discorso teorico e politico, cui abbiamo fatto riferimento sopra parlando di anti-essenzialismo, e che retrospettivamente Suvorov chiama la «lotta contro il riduzionismo fisiologista».

Effettivamente, Ilyenkov dagli anni Cinquanta agli anni Settanta si è trovato al centro delle discussioni sui condizionamenti dello sviluppo della mente umana. Il dibattito andò avanti tra chi proponeva un approccio biogenetico e chi proponeva un approccio sociogenetico, cioè tra aderenti alla teoria «ereditaria» e difensori della teoria «ambientale» (il classico dibattito su natura e cultura). Ilyenkov in questa disputa era dalla parte della «cultura». Oggi, questi dibattiti sembrano aver perso rilevanza; sia la componente ereditaria sia quella ambientale sono ora considerati dalla psicologia contemporanea come fattori ugualmente influenti nello sviluppo mentale. Ma il conflitto tra bio- e socio- non è stato oltrepassato: è stato semplicemente «messo in pausa» e lasciato irrisolto. Per noi questo conflitto era e rimane politico – così come ogni «conoscenza scientifica (apparentemente) neutra» è politica, specialmente il sapere relativo alla natura umana – cosa che, come abbiamo già osservato, negli ultimi anni è stata sentita in maniera particolarmente acuta dai militanti di sinistra, dalle femministe e da attivist* LGBT.

Per Ilyenkov la personalità è un’espressione individuale (una sorta di avatar) di un sistema sociale storicamente formato.

In cosa consiste il concetto di personalità di Ilyenkov? Come è connesso alla politica attuale? Ampliando la teoria dell’attività, Ilyenkov affermava che la personalità è esclusivamente un prodotto sociale: «tutto ciò che è umano nell’uomo […] è al 100% (non al 90 e nemmeno al 99%) il risultato dello sviluppo sociale della società umana […]». Accogliere una qualsiasi formula «integrativa» (un riconoscimento dei condizionamenti biologici oltre che sociologici della personalità) sarebbe stato inaccettabile per Ilyenkov; considerava il fattore genetico come una mera precondizione naturale fra le altre, ma la sua priorità era focalizzare l’oggetto di ricerca. Secondo Ilyenkov, per essere veramente rigorosi nell’applicazione di questa formula «integrativa», sarebbe stato necessario parlare non di una conoscenza «socio-biologica» dell’essere umano, ma di una conoscenza «socio-bio-chimico-elettrofisico-micro-fisico-quantico-meccanica» dell’essere umano stesso.

La personalità, nella concezione di Ilyenkov, non è qualcosa che si trova «dentro» l’essere umano, ma qualcosa di «esterno» a lui/lei/l*i. La personalità è costituita da un sistema di relazioni con altre persone attraverso la loro attività sociale condivisa collettivamente e storicamente determinata, attraverso oggetti fatti da persone per se stesse e per le altre persone, comprese le parole. Ovvero: la personalità è un’espressione individuale (una sorta di avatar) di un sistema sociale storicamente formato. Ilyenkov si appoggia sulla definizione marxiana dell’essenza dell’uomo come «somma totale di tutti i rapporti sociali», chiarendo che  – non la somma totale ma l’insieme, «cioè non la somma meccanica di singole unità, ma la molteplicità presente nell’unità di tutte le relazioni sociali».

Nell’avvalorare empiricamente la sua concezione della personalità, Ilyenkov invocava gli esperimenti pedagogici del convitto specializzato (internat) per minori non udenti e non vedenti. L’obiettivo di questi esperimenti era la socializzazione e lo sviluppo personale dei/le minori non udenti e non vedenti, alcun* dei quali non erano in possesso nemmeno delle più semplici abilità autonome, o le avevano perdute dopo aver perso la vista e l’udito. La pratica pedagogica dell’internat consentiva a Ilyenkov di avvalorare la sua tesi che «l’ambiente» o «l’insieme delle relazioni sociali» determinasse non solo le più funzioni psicologiche più raffinate, ma anche le abilità motorie più elementari. Nell’opinione di Ilyenkov i processi psicologici che consideriamo «naturali», e che sembrano formarsi spontaneamente, sono in realtà costruiti dall’ambiente e non dal dispiegarsi autonomo di un programma genetico.

Prima che emergano funzioni psicologiche più raffinate, e come condizione per il loro emergere, le attività svolte da minori insieme a persone adulte sono necessarie: inizialmente per padroneggiare l’uso degli oggetti, poi l’uso delle parole. Ilyenkov racconta come gli insegnanti della sua scuola insegnavano ai loro allievi a usare un cucchiaio: «il lavoro delle mani secondo uno schema – secondo una traiettoria non definita da necessità biologiche, ma dalla forma e dalla disposizione degli oggetti creati dal lavoro umano, creati da esseri umani per gli esseri umani» richiede azioni «il cui schema non è stato stabilito a priori nello schema organico o nell’oggetto dell’azione (poniamo, per esempio, il porridge), ma solo nella forma e nello scopo del cucchiaio […]». Ilyenkov afferma che a un bambino deve essere insegnato anche il bipedismo. Un essere umano semplicemente non esiste prima della sua socializzazione: «gli arti anteriori di un neonato» possono solo potenzialmente «trasformarsi in braccia umane» (e come ricorda Suvorov, Ilyenkov una volta «si spinse fino a chiamare l’organismo di un neonato […] un “pezzo di carne”»). Da qui segue che non solo l’identità, ma ogni aspetto dell’umanità senza eccezioni, ogni tratto di personalità, si forma nel processo dell’interazione tra il bambino e le altre persone ed è, di conseguenza, malleabile e non predeterminato.

Questo anti-essenzialismo militante di Ilyenkov era ispirato da una logica marxiana storicizzante così coerente da provocare sgomento nei colleghi più cauti: «Alcuni compagni hanno paura che una simile posizione teorica possa condurre in pratica a una sottovalutazione delle caratteristiche biologiche e genetiche innate degli individui, oppure a una livellazione e standardizzazione […]. A me sembra che, al contrario, ogni concessione – anche la più piccola – all’illusione naturalistica nello spiegare la mente umana e l’attività della vita umana condurrà presto o tardi il teorico che fa questa concessione a consegnare ogni posizione materialista […]. Su questo punto si potrebbe dire “togli gli artigli e perdi l’intero volatile”. Perché si inizia con gli argomenti che riguardano l’origine genetica […] delle variazioni individuali in una o l’altra delle varie abilità umane, e si finisce a concludere che queste stesse abilità sono naturali e innate», e quindi a «perpetuare […] il modo di divisione del lavoro umano che è storicamente formato e acquisito».

Metagalaktika, Queer City

Una componente predominante del concetto Ilyenkoviano di personalità è la sua attenzione per i gruppi la cui oppressione è messa in luce dalla denominazione di questi gruppi col termine «minoranza». Ilyenkov si preoccupava della questione dell’autorealizzazione di persone con disabilità sensoriali. Come la personalità si sviluppa al di fuori delle costrizioni naturali, così la sua autorealizzazione è definita dall’insieme dei rapporti sociali e non dai «limiti biologici al potenziale di salute», una formula criticata da Suvorov perché dal suo punto di vista le «limitazioni» sono prodotte non da «possibilità di salute», cioè da precondizioni organiche dell’individuo, ma dalle sue condizioni sociali.

In altri termini, la società può facilitare l’autorealizzazione personale come può porre delle barriere al suo sviluppo; quest’ultima possibilità è definita da Suvorov come «patologia sociale»: «Mi riferisco qui alle possibilità non soltanto di essere in salute, ma anche di accesso alle infrastrutture sociali (edifici, trasporti) e culturali in generale (specialmente l’educazione). Perciò, le richieste più importanti delle persone con disabilità in tutto il mondo riguardano la creazione di “ambienti privi di barriere”: eliminare tutto ciò che ostacola l’accesso per le persone con limitate abilità fisiche ai luoghi delle infrastrutture sociali, di educazione e tutto il resto. Ma se il potenziale di inclusione nella natura umana è limitato (soprattutto socialmente, e solo in seconda e terza istanza dal punto di vista medico e patologico), allora queste restrizioni possono essere alleggerite o anche completamente rimosse eliminando ciò che ha fatto emergere la loro patologia sociale».

Suvorov segue la linea egualitaria di Ilyenkov, invocando «la creazione per tutte le persone senza eccezioni di condizioni reali per lo sviluppo delle loro abilità in ogni direzione». Questa uguaglianza non implica «un livellamento in basso»: non è cioè un pacchetto standard di beni pubblici per la «maggioranza statistica», ma un modo rigoroso di tenere in considerazione persone molto diverse.

In una lettera a Suvorov, Ilyenkov sottolineava come «non c’è un solo problema prodotto dalla sordo-cecità, magari anche microscopico, che non possa essere considerato un problema universale. La sordo-cecità li rende solo più acuti, nient’altro». L’idea per cui anche le questioni più specifiche sono, allo stesso tempo, universali richiede anche una soluzione corrispondente, che quindi sia simultaneamente particolare e universale. In altre parole, la soluzione universale degli specifici problemi delle persone disabili (e dovremmo aggiungere: delle donne, dei/le omosessuali, delle persone trans*, delle persone migranti) dovrebbe consistere nella compatibilità delle loro singole soluzioni.

Suvorov chiama «coalizione contro le condizioni estreme» questa pratica di unire l’esistenza e la soluzione ai problemi generali delle persone affette da disabilità e non affette da disabilità. L’invalidità è una condizione estrema sia per la persona invalida sia per le sue persone care, e l’unico modo per alleviare la gravità di questa situazione è di condividerla, creando una coalizione più larga possibile. Una «coalizione contro le condizioni estreme» può essere un progetto politico come può essere una pratica quotidiana. Suvorov ricorda come, per alleggerire il carico dei suoi familiari, chiedesse a una grande quantità di persone di dargli una mano per la sua sordo-cecità, per esempio chiedendo ai passanti per strada se potessero dargli una mano ad attraversare.

Una verità orribile e inumana non è una verità.

Infine, il lavoro teorico di Ilyenkov è carico di una radicalità etica e politica. Commentando sulla militanza anti-essenzialista del suo maestro, Suvorov opera una mossa intellettuale apparentemente inaspettatata, dichiarando che non è una questione di proporzioni tra componenti biologiche e sociali della personalità. La radicalità di Ilyenkov deriva non dalla sua negazione radicale dell’influenza di geni e ormoni (in effetti per la sua teoria, semplicemente il peso di quest’influenza non ha importanza), ma dal fatto che affidarsi al fattore biologico nello sviluppo della persona deresponsabilizza la società rispetto a quello stesso sviluppo.

In altre parole, l’anti-essenzialismo di Ilyenkov è da attribuire a una presa di posizione etica. Come sottolinea Suvorov, «Ilyenkov si concentra sulla natura sociale della personalità non perché sottostima il ruolo dei “fattori biologici”, ma perché è contrario a qualsiasi tentativo di sollevare la responsabilità di come viene incluso un bambino in questo “insieme di tutte le relazioni sociali”, ciò che rappresenta questo “insieme” e come questa personalità si forma nell’essere inclusa nell’insieme stesso […] Ilyenkov insiste categoricamente su questo, sulla misura del “cento per cento” della responsabilità dell’umanità per se stessa, per ogni “portatore e rappresentante autorizzato della cultura comune a tutti”».

In un’altra parte dello stesso testo Suvorov dichiara: «La formula classica della salute spirituale è la trinità di “verità, bontà e bellezza”. Preferisco un’altra sequenza per i termini di questa formula: bontà, bellezza e verità. La verità è ricollocata per ultima perché una verità orribile e inumana non è una verità». Questa dichiarazione estremamente significativa è scritta in opposizione al positivismo. La conoscenza positiva, secondo Ilyenkov e Suvorov, per principio non può limitare l’etica (che è impossibile escludere dalla sfera delle conoscenze riguardanti l’umanità); al contrario, l’etica dovrebbe limitare la conoscenza: il suo aspetto, il suo accento, la descrizione del problema.

Facciamo un esperimento mentale e immaginiamo l’inimmaginabile: i sessisti riescono a provare di aver ragione sul fatto che le donne hanno un più basso quoziente intellettivo. Che significato ha questo per la nostra comprensione della natura umana? Se usiamo il metodo e la logica di Ilyenkov e Suvorov, la nostra risposta sarà: nessuno. Una verità orribile e inumana non è una verità. Non è davvero la verità, nella misura in cui siamo obbligat* a eliminare questo segno di diseguaglianza e di patologia sociale e a ricostruire l’insieme delle relazioni sociali. In altri termini, l’approccio socio-determinista di Ilyenkov era condizionato non soltanto dalla coerenza di un metodo marxista, ma dalla scelta etica cosciente di un antifascista.

Suvorov riflette su questo punto nel suo testo Il condizionamento etico del lavoro di E.V. Ilyenkov: «i riferimenti al “biologico” sono spesso serviti e servono ancora […] al fine di giustificare tutto ciò che di anti-umano esiste, tutto ciò che di peggio c’è nell’essere umano […] e così Ilyenkov non poteva trattenersi quando qualche studioso prendeva quella posizione: “Lombroso, ovviamente, si è spinto troppo in là, ma c’è qualcosa nel suo lavoro…”. Era un antifascista, uno che ha preso parte alla Seconda Guerra Mondiale, fiutava immediatamente il nemico, e si precipitava immediatamente ad assaltare le fortezze teoretiche del nemico, per quanto scrupolosamente si mascherasse». Questa posizione è estremamente vicina al nostro modo di pensare: siamo convint* che il comunismo queer sia anzitutto una questione di etica.

La dialettica della libertà consiste in questo: per essere liber*, è necessario costruire rigorosamente la libertà, e, cosa ancora più importante, farlo attraverso gli sforzi dell’intera società.

La concezione della personalità di Ilyenkov aveva un senso pratico come teoria concepita per trasformare la realtà esistente in accordo con la famosa tesi marxiana per cui «i filosofi finora si sono limitati a interpretare il mondo in diversi modi, ora si tratta di trasformarlo». I lavori di Ilyenkov non sono, in questo senso, un’eccezione, ma parte del largo progetto della psicologia sovietica che mirava all’elaborazione di una teoria del «multisfaccettato e armonioso sviluppo della personalità», a partire dal paradigma culturale e storico di Lev Vygotsky. Un aspetto significativo di questa teoria era il suo essere fondamentalmente orientata alla pratica. La concezione della personalità di Ilyenkov era una parte consistente di questa ricerca, il cui grandioso obiettivo era di definire le condizioni sociali che favoriscono la realizzazione di un «multisfaccettato e armonioso sviluppo della personalità».

Una formula abbreviata da usare al posto di «multisfaccettato e armonioso sviluppo della personalità» potrebbe essere quelle nozioni molto suvoroviane di «bontà, bellezza e verità». O anche «libertà» e basta. Libertà per Ilyenkov è un sinonimo di personalità, l’ampio spettro delle varie possibilità di sviluppo della personalità nella realtà sociale. Da questo segue una conclusione che è tanto controintuitiva quanto caratteristica della visione del mondo della sinistra: se si prende in considerazione che la personalità è un costrutto sociale, allora la libertà – in quanto sinonimo di personalità – non potrà che essere anch’essa un costrutto sociale. In altri termini, la verità è costruita. La dialettica della libertà consiste in questo: per essere liber*, è necessario costruire rigorosamente la libertà, e, cosa ancora più importante, farlo attraverso gli sforzi dell’intera società. Un simile approccio che fa appello all’attività del sociale segna la distinzione tra il concetto di queer, che denaturalizza le differenze tra le persone, e il concetto di comunismo queer, che va un passo oltre e problematizza la ricostruzione dei rapporti sociali in modo che le differenze tra persone non siano più una ragione di stigma ed esclusione.

In questo senso, il concetto di comunismo queer di Ilyenkov e Suvorov sembra più radicale, coraggioso e determinato di quanto lo sia il concetto di queer di per sé. Il concetto di queer esamina la situazione esistente, ma con una tale apparente apertura sul futuro che si guarda bene dall’immaginare questo futuro in maniera chiara. Il concetto di comunismo queer è in disaccordo anche con le idee dei liberali, che promuovono l’isolamento autonomo della personalità: nella weltanschauung liberale, la libertà della personalità sembra saltare fuori dal nulla come le margherite, e su questo punto le idee dei liberali coincidono col biodeterminismo. Apparentemente, per le idee dei liberali la cosa importante è non impedire il libero dispiegamento della personalità, non intralciare «l’Io autentico» col biasimo e il rigetto, non potare con interventi inappropriati i petali dei giovani boccioli che crescono da sé e per sé. La nozione di intervento «inappropriato» e «repressivo» in opposizione alla «naturale» e «benevola» autorealizzazione, implica un approccio biogenetico, mentre un approccio sociogenetico porterebbe o a un atteggiamento arbitrario che produce patologia sociale, oppure al modello della libertà della personalità. Questo intervento non sostituisce in nessun modo l’attività della personalità in formazione. Al contrario, questa attività è in fondo necessaria, ma impossibile senza che venga proposta e iniziata da altri. Sia l’attività sia la reattività sono in questo caso parte di un processo dialettico unico che include, per dirla con Suvorov, «l’induzione da parte di coloro che guidano il processo, da un lato, e i propri tentativi dall’altro; sia lo sviluppo sia l’autosviluppo […], non quello che è incorporato “nei geni di mamma e papà”, ma quello che è incorporato nell’attività condivisa collettivamente».

Una «risposta» del genere, suggerita da pensatori marxisti, non è in alcun modo una risposta semplice, perché presuppone una responsabilità etica e politica enorme. Ma solo per questa strada, secondo noi, ci si oppone al fascismo, alla segregazione, allo sciovinismo, pericoli più o meno evidenti negli approcci biodeterministici. Per questo motivo, la sinistra non può permettersi delle risposte semplici.